ISSN 2385-1376
Testo massima
Commento a cura dell’Avv. Antonio Cardile del Foro di Messina
Il trattamento pensionistico non è assimilabile a quello stipendiale; per quest’ultimo infatti non opera il limite dell’impignorabilità del minimo indispensabile per vivere, trattasi di un inconveniente che per quanto socialmente doloroso non dà luogo ad alcuna illegittimità costituzionale della normativa de qua, proprio in ragione dell’esigenza di non vanificare la garanzia del credito, ferma la discrezionalità del legislatore di introdurre limiti appositi.
Questo il principio espresso dal Tribunale di Messina, sez. seconda, Dott.ssa Ivana Acacia, nell’ordinanza del 18 maggio 2016.
Interessante pronunzia del Tribunale di Messina, che costituisce una delle prime applicazioni dei principi recentemente espressi dalla Corte Costituzionale in materia di limiti di pignorabilità della retribuzione.
La vicenda prende spunto da un pignoramento presso terzi gravante sullo stipendio di un lavoratore dipendente, che ha proposto opposizione all’esecuzione alla luce della propria precaria situazione economica (caratterizzata da una precedente cessione del quinto dello stipendio, dalla necessità di corrispondere i canoni di locazione e da esborsi periodici per i canoni di locazione della casa di abitazione e per gli alimenti per i figli).
Il debitore ha sostenuto che il proprio stipendio debba ritenersi impignorabile in quanto di esiguo ammontare ed al di sotto della c.d. “soglia di sopravvivenza”.
Il Tribunale, con ordinanza collegiale depositata il 18 maggio 2016, ha revocato l’ordinanza di sospensione con cui il Giudice dell’Esecuzione aveva sospeso il processo esecutivo, ribadendo la necessità di bilanciamento di due contrapposti interessi: quello di soddisfare le normali esigenze di vita (cui ha diritto il debitore inadempiente esecutato, dipendente pubblico o privato) e quello – del creditore procedente – di vedere riconosciute e realizzate le proprie ragioni creditorie.
In particolare il Tribunale di Messina, richiamando il recentissimo pronunciamento della Consulta (Corte Costituzionale, sentenza 21 ottobre 3 dicembre 2015, n. 248), ha confermato la pignorabilità degli stipendi di chi guadagna “poco”, chiarendo che è sempre possibile il pignoramento del quinto dello stipendio anche se di minimi importi, diversamente da quanto invece avviene nel caso in cui venga pignorata una pensione.
Condivisibilmente il trattamento pensionistico non è stato ritenuto “assimilabile a quello stipendiale; per quest’ultimo infatti non opera il limite dell’impignorabilità del minimo indispensabile per vivere“, trattandosi di “un inconveniente che per quanto socialmente doloroso” è rispondente al dettato costituzionale “in ragione dell’esigenza di non vanificare la garanzia del credito”.
Il tutto in conformità a quanto a suo tempo precisato dalla Corte Costituzionale con ordinanza n. 225/2002 che, dichiarando manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del 1° comma dell’art. 545 c.p.c. nella parte in cui predetermina la pignorabilità dello stipendio o salario nella misura di un quinto, ha evidenziato che “
il legislatore, nella sua discrezionalità, al fine di assicurare il contemperamento dell’interesse del creditore
con quello del debitore, che percepisca da un privato uno stipendio o un salario, ha previsto un limite fisso percentuale ragionevolmente contenuto (articolo 545, 4 comma, c.p.c.) non essendo obbligato a rimettere in ogni caso la determinazione del limite ad una scelta del Giudice
”.
Il contemperamento tra le ragioni creditorie ed esigenze del debitore, pertanto, si realizza proprio nella previsione del limite del “quinto pignorabile”: trattandosi invero – di una percentuale la somma pignorabile è tanto minore quanto più basso è il reddito, senza così comportare sacrifici “eccessivi” per il debitore.
La tutela della certezza dei rapporti giuridici, inscindibilmente collegata agli strumenti di protezione del credito personale, non consente in alcun caso di negare la pignorabilità degli emolumenti, ma soltanto di attenuarla entro il limite predetto.
Dal calcolo del quinto pignorabile, pertanto, il Tribunale ha escluso solo le somme versate in favore dei figli, trattandosi di un credito alimentare, condannando l’opponente in virtù del principio della soccombenza di cui all’art. 91 c.p.c anche alla rifusione delle spese processuali.
Testo del provvedimento
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