ISSN 2385-1376
Testo massima
In materia di validità del contratto bancario sottoscritto solo dal cliente, la produzione in giudizio ovvero l’adozione di comportamenti concludenti posti in essere dalla stessa banca e documentati per iscritto, realizzano un valido equivalente della sottoscrizione mancante.
Sul punto non può condividersi in alcun modo il principio di diritto affermato dalla sentenza Cass. Sez I n.5919/2016, la quale si pone in aperto e consapevole contrasto con tutta la granitica giurisprudenza espressa dalla stessa Cassazione, sicché se ne deve concludere che all’interno della sezione vi sia un contrasto la cui composizione a sezioni unite si attende almeno per mettere un punto fermo in un senso o nell’altro. Peraltro il principio affermato nella citata sentenza non può estendersi a fattispecie differenti da quella strettamente all’esame della Suprema Corte, relativa alla validità di contratti di intermediazione finanziaria e non a contratti di conto corrente.
Così si è espresso il Tribunale di Padova, in persona del dott. Giorgio Bertola, con sentenza del 29 maggio 2016, resa nell’ambito di una “classica” azione di ripetizione dell’indebito bancario, promossa da una società correntista sul presupposto della asserita illiceità, usurarietà, indeterminatezza delle condizioni economiche di un contratto di conto corrente.
Tra le doglianze di parte attrice, tra l’altro, la deduzione di nullità del contratto bancario, in quanto sottoscritto dal solo cliente e non dall’istituto di credito.
Sul punto, il giudice veneto si è dovuto misurare con il recente ed inaspettato revirement della prima sezione della Corte di Cassazione, in tema di validità dei contratti bancari sottoscritti dal solo cliente. Il riferimento è alla sentenza degli Ermellini n.5919/2016, con la quale è stato recentemente affermato che «la documentazione depositata in giudizio dalla banca (contabili, attestati di seguito, estratti conto) non possiede i caratteri della “estrinsecazione diretta della volontà contrattuale”, tale da comportare il perfezionamento del contratto, trattandosi piuttosto di documentazione predisposta e consegnata in esecuzione degli obblighi derivanti dal contratto il cui perfezionamento si intende dimostrare e, cioè, da comportamenti attuativi di esso e, in definitiva, di comportamenti concludenti che, per definizione, non possono validamente dar luogo alla stipulazione di un contratto formale».
Il giudice ha ripercorso i passaggi salienti della decisone degli Ermellini, notando come in realtà essa fosse stata resa su una questione del tutto peculiare e differente rispetto a quella sollevata dagli attori nel caso di specie.
Si trattava, nella fattispecie all’attenzione della Suprema Corte, della disputa relativa alla validità di contratti di intermediazione finanziaria e dei rapporti tra contratto quadro (non sottoscritto) e singoli ordini di investimento.
Invero, nella citata decisione, i giudici di legittimità avevano confermato il principio per il quale, in tema di contratti per cui la legge prescrive la forma scritta ad substantiam, la produzione in giudizio del contratto e/o la prova scritta di comportamenti c.d. concludenti equivale a prova della sottoscrizione, precisando tuttavia che nel caso di specie la documentazione prodotta dalla banca non potesse qualificarsi come “estrinsecazione diretta della volontà contrattuale”, ma piuttosto come manifestazione di condotte attuative.
Ebbene, siccome la controversia riguardava proprio la validità degli ordini di investimento resi in attuazione di un contratto c.d. quadro del quale non si era data diretta prova della sottoscrizione, la banca era rimasta soccombente, anche in considerazione del fatto che la produzione in giudizio potesse valere al massimo come sottoscrizione ex nunc, inidonea a sorreggere la validità di ordini di investimento (a quel punto) pregressi e contestati dall’investitore.
Così ricostruito il percorso argomentativo che aveva portato gli Ermellini a rivedere il consolidato orientamento in materia di omessa sottoscrizione del contratto bancario, il Tribunale patavino ha ritenuto senza alcun dubbio di doversi distaccare dall’orientamento richiamato, per due essenziali ragioni: in primis a dire del giudicante il principio affermato dalla Suprema Corte è «in aperto e consapevole contrasto con tutta la granitica giurisprudenza pregressa espressa dalla stessa Cassazione (per esempio anche con la 4564/2012) peraltro della medesima prima sezione [
] sicché se ne deve concludere che all’interno della sezione vi sia un contrasto la cui composizione a sezioni unite si attende almeno per mettere un punto fermo in un senso o nell’altro»; in secondo luogo, la diversità del caso di specie (relativo ad un contratto di conto corrente acceso molti anni addietro e attuatosi senza contestazioni sino al giudizio de quo) ha indotto il Tribunale a ritenere comunque inestensibile l’ultimo arresto degli Ermellini alla fattispecie da regolare.
All’esito del descritto iter argomentativo, il Giudice padovano ha pertanto respinto ogni domanda di parte attrice, condannandola alla rifusione delle spese di lite.
A margine del discorso sulla sottoscrizione del contratto bancario, si segnala la conferma di un importante principio in materia di ripetizione di indebito, già oggetto di riflessione su questa Rivista in sede di commento della recente ordinanza del Tribunale di Civitavecchia del 9 aprile 2016: l’inammissibilità dell’azione di ripetizione allorquando il conto corrente sia ancora aperto, circostanza che esclude ogni possibile condanna a restituire alcunché, in mancanza dello stesso presupposto dell’azione ex art. 2033 cc (cioè un pagamento ripetibile), come peraltro confermato dalla stessa Cass. Civ. n.798/2013.
IL COMMENTO
Si “riaccende” il contenzioso relativo alla validità dei contratti bancari, predisposti su moduli della banca e non sottoscritti dal funzionario di quest’ultima.
Invero la questione sembrava definitivamente chiusa, data l’enorme mole di pronunce di legittimità nelle quali si era costantemente affermato che la produzione in giudizio della scrittura da parte di chi non l’ha sottoscritta, sia ogni altra manifestazione di volontà del contraente che non abbia firmato, risultante da uno scritto diretto alla controparte e dalla quale emerga l’intento di avvalersi del contratto, realizzano un valido equivalente della sottoscrizione mancante, purché la parte che ha sottoscritto non abbia in precedenza revocato il proprio consenso ovvero non sia deceduta (cfr., tra le tante, Cass. 16.10.1969 n. 3338; Cass. 22.5.1979 n. 2952; Cass. 29.4.1982 n. 2707; Cass. 18.1.1983 n. 469; Cass. 17.6.1994 n. 5868; Cass. 11.3.2000 n. 2826; Cass. 1.7.2002 n. 9543; Cass. 17.10.2006 n. 22223; da ultimo Cass. 22.3.2012 n. 4564).
Su questa condivisa premessa, proprio in relazione al contratto di conto corrente, gli Ermellini avevano concluso, decidendo un caso analogo, che l’intento della banca di concludere il contratto, da essa non sottoscritto, «risulterebbe comunque, oltre che dal deposito del documento in giudizio, dalle manifestazioni di volontà da questa esternate ai ricorrenti nel corso del rapporto di conto corrente da cui si evidenziava la volontà di avvalersi del contratto (bastano a tal fine le comunicazioni degli estratti conto) con conseguente perfezionamento dello stesso» (cfr. Cass. Civ. 22.3.2012 n. 4564).
Per effetto del deposito del contratto sottoscritto dal solo cliente e della prova dell’invio degli estratti conto, il contratto si intende perfezionato fin dall’originaria sottoscrizione, atteso che la banca dichiara per facta concludentia la volontà di volersi avvalere degli effetti negoziali di tale contratto, per il quale non sono ovviamente necessarie formule sacramentali.
Se l’ultimo arresto della giurisprudenza di legittimità aveva contribuito a “rimescolare le carte”, la pronuncia del Tribunale di Padova, discostandosene nettamente ed apertamente, ha il pregio di averne sottolineato le incongruenze, delimitandone altresì l’ambito applicativo ed escludendo che possa trovare terreno fertile al di là della singolare fattispecie che in quel caso era all’esame della Suprema Corte.
Per approfondimenti si rinvia, ex multis, alla consultazione dei seguenti contributi in Rivista:
CONTRATTI BANCARI: VALIDI ED EFFICACI, ANCHE IN MANCANZA DELLA FIRMA DELLA BANCA
IL CLIENTE È TENUTO A DIMOSTRARE LA VIOLAZIONE DEL REQUISITO DELLA FORMA SCRITTA EX ART. 117 TUB
Il cliente che invochi in giudizio la nullità del contratto intercorso con la banca, deducendone la mancata sottoscrizione da parte di quest’ultima, è tenuto a dimostrare che il perfezionamento dell’accordo sia avvenuto in violazione dell’obbligo della forma scritta, previsto a pena di nullità, ex art. 117 TUB.
In ogni caso, qualora la banca produca in giudizio il documento contenente le indicazioni imposte dal citato articolo 117, la mancanza, sull’atto di una firma del soggetto predisponente non consente di affermare che il contratto sia nullo.
Sentenza, Tribunale di Napoli, dott. Massimiliano Sacchi, 11-07-2015 n.8647
CONTRATTI BANCARI: SU MODULI PRESTAMPATI, NON È NECESSARIA FIRMA FUNZIONARIO
Nell’ambito dei contratti bancari necessitante forma scritta ad substantiam, la firma del funzionario di banca, non potendo avere potere certificativo della firma del cliente, deve essere intesa come esternazione della volontà negoziale del funzionario, in nome e per conto dell’istituto, tanto più laddove il regolamento contrattuale sia già stato predisposto dalla banca stessa, nel corpo del testo si faccia ripetutamente riferimento al ‘contratto’ così stipulato, l’efficacia di tale contratto non risulti subordinata all’approvazione di altro organo della banca ed il contratto sia poi stato effettivamente eseguito da tutte le parti.
Sentenza | Tribunale di Reggio Emilia, dott. Gianluigi Morlini | 28-04-2015
Testo del provvedimento
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Numero Protocolo Interno : 298/2016