ISSN 2385-1376
Testo massima
L’azione inibitoria cautelare di cui all’art.140, comma ottavo del Codice del Consumo non è esperibile per censurare l’applicazione di interessi anatocistici in asserita violazione del “nuovo” art. 120 comma secondo, TUB, per mancanza del “periculum in mora“.
Ad affermarlo è il Tribunale di Rimini, in persona del dott. Dario Bernardi, con ordinanza del 17 febbraio 2016, che ha invertito nettamente la tendenza avviata con le note ordinanze del Tribunale di Milano del 25 marzo e 3 aprile 2015 (Cfr. MAIMERI, Art. 120, comma 2, TUB e le decisioni del Tribunale di Milano ), così respingendo in via preliminare l’azione cautelare promossa da un’associazione dei consumatori contro una banca.
Scopo del ricorso, inibire all’istituto di credito l’applicazione di interessi anatocistici in dedotta violazione del “nuovo” art. 120, secondo comma, TUB con riferimento ad una serie di contratti di conto corrente (conclusi o da concludersi), con la richiesta “accessoria” di pubblicazione dell’eventuale provvedimento di accoglimento del ricorso anche mediante specifico avviso sulla home page del sito web dell’istituto di credito e su quotidiani di rilevanza nazionale, e di comunicazione ad ogni correntista consumatore del relativo dispositivo con le stesse modalità contrattualmente previste per la comunicazione degli estratti conto.
Dal proprio canto, la banca resistente, costituitasi in giudizio, contestava in toto la domanda, sia in punto di mancanza dei presupposti per dar corso all’azione inibitoria cautelare ex art. 140 comma 8° cod. cons., sia – quanto al fumus, per l’inapplicabilità concreta del “divieto di anatocismo” ex art. 120 secondo comma TUB (nuova formulazione) in difetto della delibera CICR di attuazione, come già sostenuto da copiosa giurisprudenza.
Appurata preliminarmente la legittimazione attiva della associazione di consumatori, in quanto l’adozione da parte della banca di modelli contrattuali con previsioni anatocistiche, in asserito contrasto con una previsione normativa di nullità, sarebbe sfociata in violazione «alla correttezza, alla trasparenza ed all’equità nei rapporti contrattuali», il Tribunale di Rimini ha nettamente respinto le domande della ricorrente, per difetto di periculum in mora, lasciando sullo sfondo la questione di merito circa l’applicabilità del “nuovo” art. 120, secondo comma, TUB in mancanza della conclusione dell’iter normativo-amministrativo prescritto dalla disposizione stessa.
Ebbene, venendo all’analisi dei presupposti dell’azione, il giudice romagnolo si è soffermato preliminarmente sulla distinzione tra inibitoria ordinaria e c.d. azione inibitoria cautelare ex art. 140, comma ottavo, del Codice del Consumo, osservando come quest’ultima postuli la sussistenza di un quid pluris, caratterizzato dai «giusti motivi di urgenza».
Tale nozione non si identifica certamente con quella di «pregiudizio irreparabile» ex art. 700 cpc «trattandosi di formulazione evidentemente più ampia e meno preclusiva rispetto a quella dettata in materia di provvedimenti d’urgenza e, dunque, con l’azione cautelare potrebbe essere tutelata una situazione di ritardo che potrebbe importare un pregiudizio non irreparabile».
Ciò posto, il pregiudizio ad avviso del Tribunale deve comunque sussistere e rivestire «un’entità tale da renderne necessaria la trattazione in via d’urgenza». In altri termini, la tutela c.d. cautelare non può che essere limitata ai soli casi di pregiudizio «non bagatellare», pena altrimenti la perfetta corrispondenza tra azione inibitoria ordinaria ed azione inibitoria d’urgenza.
Venendo poi all’analisi della ricorrenza o meno, nel caso di specie, dei detti giusti motivi di urgenza ed, in tale ottica, nella pronuncia in esame sono stati subito posti alcuni punti fermi:
1). i motivi di urgenza non possono essere individuati nel semplice carattere di diffusività della lesione, perché gli interessi “collettivi” riguardano già la molteplicità dei consumatori;
2). i giusti motivi di urgenza non possano nemmeno essere ravvisati nella potenziale reiterabilità della lesione, che deriverebbe dall’inserimento delle clausole avversate all’interno di contratti di durata (per loro natura destinati a produrre i loro effetti nel tempo). Se fosse sufficiente tale circostanza a legittimare l’azione inibitoria cautelare, allora tale azione sarebbe sempre esperibile in materia di contratti di durata;
3). l’urgenza non può essere reclamata neppure mediante un generico richiamo alla normativa europea, in quanto è pur vero che la direttiva comunitaria 98/27 CE del 19.05.1998 impone agli Stati membri di dotare gli organi preposti alla tutela consumeristica di strumenti in grado di ordinare la con la debita sollecitudine e, se del caso, con provvedimento d’urgenza, la cessazione o l’interdizione di qualsiasi violazione in materia, ma è altrettanto vero che «al legislatore europeo interessa la tempestività della tutela. Non interessa la forma. Dunque, una tutela tempestiva (“sollecita”) in forma ordinaria è sufficiente a rispettare le esigenze europee».
In altri termini ad avviso del Tribunale – l’effettività della tutela non coincide necessariamente con le forme del procedimento cautelare, da intendersi viceversa come extrema ratio, per i casi in cui il giudizio ordinario non sia in grado di garantire una definizione sollecita, in presenza di determinati pregiudizi.
Esposta tale premessa normativa e metodologica, con apprezzabile approfondimento tecnico, la pronuncia de quo è giunta all’analisi concreta delle possibili “dimensioni” del pregiudizio lamentato dall’associazione ricorrente, al fine di qualificarlo in termini di urgenza.
Ebbene, sul punto il Tribunale ha ricostruito una serie di ipotesi prognostiche circa la quantificazione massima degli interessi (debitori) anatocistici verificabili in relazione ad una serie indefinita di rapporti di conto corrente.
Prendendo in considerazione l’ipotesi tipica e maggiormente onerosa di finanziamento in conto corrente (mediante carte di credito revolving) si è dedotto che il massimo importo applicabile a titolo di interessi anatocistici su base annua può normalmente quantificarsi in euro 50 circa applicando il tasso medio rilevato dai decreti del M.E.F. ed in euro 100 circa applicando il tasso soglia rilevato dai medesimi decreti (che costituisce il limite di legge oltre il quale la banca non può farsi “dare o promettere” interessi, pena violazione della normativa antiusura).
Analizzate le cifre, il periculum è stato ovviamente derubricato a «pericolo di danno bagatellare e assai circoscritto», come tale inidoneo «a fare scattare la tutela cautelare», anche considerato che «normalmente a fronte di maggiori affidamenti vi è maggiore capacità reddituale del debitore».
Orbene, considerato anche che i tempi per ottenere la tutela inibitoria c.d. ordinaria, azionabile ai sensi dell’art. 702 bis cpc, possano di norma ritenersi «del tutto ragionevoli e solerti», il Tribunale ha concluso per il rigetto del ricorso, in assenza del necessario periculum in mora.
Pur assorbendo la questione in punto di fumus (l’applicabilità o meno del “nuovo” divieto di anatocismo ex art. 120, secondo comma, TUB), la pronuncia in commento appare degna di nota per il netto revirement del giudice romagnolo rispetto ad una giurisprudenza che, all’indomani dell’entrata in vigore della Legge di Stabilità per il 2014 (e quindi della novella della disposizione “chiave” in materia di anatocismo bancario), aveva forse “troppo agevolmente” accordato la tutela inibitoria cautelare alle associazioni dei consumatori, anche a fronte di una questione tutt’altro che definita in punto di iter normativo, nonché di difficile applicazione dal punto di vista tecnico-contabile.
L’argomento è stato più volte oggetto di riflessione su questa Rivista ed in particolare si rinvia all’analisi della pronuncia del Tribunale di Bologna, Pres.- Rel. Giovanni Salina, del 25 marzo 2016, corredata da una nota in cui si passano in rassegna i più recenti orientamenti giurisprudenziali sul tema.
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Testo del provvedimento
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Numero Protocolo Interno : 263/2016