ISSN 2385-1376
Testo massima
In tema di revocatoria fallimentare relativa a pagamenti eseguiti dal fallito, il principio secondo il quale grava sul curatore l’onere di dimostrare la effettiva conoscenza, da parte del creditore ricevente, dello stato di insolvenza del debitore va inteso nel senso che la certezza logica dell’esistenza di tale stato soggettivo (vertendosi in tema di prova indiziaria e non diretta) può legittimamente dirsi acquisita non quando sia provata la conoscenza effettiva, da parte di quello specifico creditore, dello stato di decozione dell’impresa (prova inesigibile perché diretta), né quando tale conoscenza possa ravvisarsi con riferimento ad una figura di contraente “astratto” (prova inutilizzabile perché correlata ad un parametro, del tutto teorico, di “creditore avveduto”), bensì quando la probabilità della “scientia decoctionis” trovi il suo fondamento nei presupposti e nelle condizioni (economiche, sociali, organizzative, topografiche, culturali) nelle quali si sia concretamente trovato ad operare, nella specie, il creditore del fallito.
Poiché la legge non pone limiti in ordine ai mezzi a cui può essere affidato l’assolvimento dell’onere della prova da parte del curatore, gli elementi nei quali si traduce la conoscibilità possono costituire elementi indiziari da cui legittimamente desumere la “scientia decoctionis“. E in tale contesto, i protesti cambiari, in forza del loro carattere di anomalia rispetto al normale adempimento dei debiti d’impresa, si inseriscono nel novero degli elementi indiziari rilevanti, con la precisazione che trattasi non già di una presunzione legale “juris tantum”, ma di una presunzione semplice che, in quanto tale, deve formare oggetto di valutazione concreta da parte del giudice del merito, da compiersi in applicazione del disposto degli artt. 2727 e 2729 c.c., con attenta valutazione di tutti gli elementi della fattispecie.
Questi i principi affermati dalla Corte di Cassazione, sez. prima, Pres. Ceccherini Rel. Didone, con la sentenza n. 504 del 14 gennaio 2016.
La pronuncia trae origine dalla domanda ex art. 67 L. Fall. proposta dal curatore del fallimento nei confronti di una S.r.l., diretta ad ottenere la revoca dei pagamenti effettuati nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento.
Avverso la decisione del Tribunale, che accoglieva la domanda in primo grado, la Corte di Appello di Salerno riteneva che, in ordine alla scientia decoctionis della società convenuta, essa non fosse adeguata poiché il curatore avrebbe dovuto provare che la società accipiente aveva una conoscenza effettiva e non meramente potenziale dell’insolvenza della debitrice.
In particolare, dei protesti (oltre cento) e della pendenza di procedure esecutive mobiliari (otto) a carico della convenuta, non era stata fornita la prova della conoscenza effettiva e concreta da parte della debitrice al momento dei pagamenti.
Contro la sentenza di appello il curatore del fallimento proponeva ricorso per Cassazione basato su due motivi: la violazione di norme di diritto, lamentando che la Corte di merito aveva ritenuto che, ai fini della prova della scientia decoctionis, fosse necessario provare la diretta conoscenza dello stato di insolvenza e che non fosse possibile fornire la prova stessa a mezzo di presunzioni; il vizio di motivazione, lamentando che la Corte di merito aveva valutato solo atomisticamente gli indizi prospettati dalla curatela, in ordine alla conoscenza dello stato di insolvenza.
La Suprema Corte, nell’affermare la fondatezza del ricorso, ripercorre le problematiche sottese alla prova della conoscenza dello stato di insolvenza quale presupposto della revocatoria fallimentare, problema di carattere generale attinente alla particolarità della prova dei fatti psichici.
A tal proposito, infatti, mentre per gli atti anormali di gestione ex art. 67, primo comma, L. Fall. è sufficiente che il curatore provi il compimento dell’atto anormale e la sua collocazione temporale, per gli atti normali di gestione ex art. 67, secondo comma, L. Fall. il curatore deve provare, altresì, che il terzo era a conoscenza dello stato di insolvenza.
La Corte sottolinea come i fatti psichici, in quanto fatti interni, possono esser provati soltanto in via indiretta attraverso un meccanismo in virtù del quale la prova del fatto interno discende dalla prova diretta di un fatto materiale, assunto quale premessa, la cui esistenza dimostra, con ragionevole sicurezza, l’esistenza del fatto interno o psichico.
Riprende nel ragionamento il costante orientamento della giurisprudenza, secondo cui vertendosi in tema di prova indiziaria e non diretta, il contenuto dell’onere probatorio a carico del curatore, a proposito della conoscenza dello stato di insolvenza da parte del creditore ricevente, non può coincidere con la prova della conoscenza effettiva, né può legittimamente dirsi acquisita facendo riferimento ad una figura di contraente astratto.
La Suprema Corte esprime il principio secondo cui la prova della scientia decoctionis trova, invece, il suo fondamento nei presupposti e nelle condizioni (economiche, sociali, organizzative, topografiche, culturali) nelle quali si sia concretamente trovato ad operare il creditore del fallito.
In conclusione, dunque, la conoscenza da parte del terzo contraente dello stato d’insolvenza dell’imprenditore deve essere effettiva e non meramente potenziale, senza tuttavia coincidere con la conoscibilità oggettiva ed astratta delle condizioni economiche della controparte.
Nel caso di specie, l’avvenuta pubblicazione di una pluralità di protesti, inserendosi nel novero degli elementi indiziari rilevanti che formano l’oggetto di valutazione del giudice di merito (in applicazione del combinato disposto ex artt. 2727 e 2729 c.c.), può assumere rilevanza presuntiva tale da esonerare il curatore dalla prova che gli stessi fossero noti al convenuto in revocatoria, risultando traslato su quest’ultimo l’onere di dimostrare il contrario.
Da ultimo, affrontando il secondo motivo di ricorso, la Corte censura la sentenza del giudice di secondo grado laddove, dando atto dell’esistenza di quasi cento protesti, aveva omesso di valorizzarli unitamente agli altri indizi dei quali, invece, aveva tenuto conto il primo giudice. In effetti, scomponendo il corredo indiziario addotto dall’attore in singole circostanze, il giudice di merito si è limitato ad un loro vaglio separato escludendone la valenza probatoria, senza accertare se, benchè singolarmente sfornite di tale valore, suddette evenienze non fossero state in grado di acquisirlo se fossero state valutate unitariamente.
Sulla base di tali considerazioni gli Ermellini, pertanto, hanno cassato la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame e per regolamento delle spese alla Corte di Appello di Salerno in diversa composizione.
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