ISSN 2385-1376
Testo massima
Segnalata dall’Avv. Aldo Bissi del Foro di Milano
Al fine di verificare la liceità di un contratto di mutuo ai sensi della normativa antiusura, è infondata la pretesa di sommare al tasso convenzionale pattuito per gli interessi corrispettivi il tasso concordato per gli interessi moratori.
Nel caso di inadempimento del debitore e conseguente decorrenza degli interessi moratori, infatti, questi si sostituiscono e non si aggiungono agli interessi corrispettivi, anche là dove, come frequentemente avviene, le parti avessero determinato il tasso di interesse moratorio in una misura percentuale maggiorata rispetto al tasso dell’interesse corrispettivo.
Nè può fondarsi una tale operazione sulla considerazione che il contratto preveda che in caso di ritardato pagamento delle rate, gli interessi moratori vadano calcolati sull’intera rata, in quanto simili pattuizioni non prevedono una sommatoria a livello di tassi tra l’interesse moratorio e quello corrispettivo ricompreso nella rata, ma semplicemente disciplinano l’applicabilità degli interessi moratori in conformità a quanto consentito dall’art. 3 della Delibera C.I.C.R. del 9.2.2000, in materia di capitalizzazione degli interessi.
Invero, allo stato non si può neppure procedere a una valutazione del carattere usurario o meno degli interessi di mora mediante un loro raffronto con il tasso soglia, stante la mancanza di un termine di raffronto, ossia proprio di un tasso soglia, che sia coerente con il valore che si vuole raffrontare.
Al di là delle astratte affermazioni della giurisprudenza di legittimità, infatti, è dirimente la considerazione che il TEGM, e conseguentemente il Tasso Soglia che dal primo dipende, sono determinati in forza di rilevazioni statistiche condotte esclusivamente con riferimento agli interessi corrispettivi, per cui non si può pretendere di confrontare la pattuizione relativa agli interessi di mora con il Tasso Soglia così determinato.
Così operando, infatti, si giungerebbe a una rilevazione priva di qualsiasi attendibilità scientifica e logica, prima ancora che giuridica, in quanto si pretenderebbe di raffrontare fra di loro valori disomogenei, in aperto contrasto con la ratio della legge 108/1996, con la quale si è inteso “oggettivizzare” la nozione di usura.
L’argomentazione è confortata dal D.L. 132/2014, convertito con la Legge 10.11.2014 n. 162, il quale ha introdotto un interesse legale di mora per le ipotesi in cui lo stesso non fosse stato oggetto di specifica pattuizione ad opera delle parti; tale interesse legale è stato parametrato con richiamo al tasso di interesse legale per le transazioni commerciali di cui al D. L.vo 231/2002, determinando in tal modo un tasso di interesse che per diverse tipologie contrattuali risulta essere superiore al Tasso Soglia trimestralmente rilevato dalla Banca d’Italia.
Se, pertanto, si dovesse opinare per l’ammissibilità di un raffronto degli interessi moratori con il Tasso Soglia attualmente disponibile, arriveremmo alla conclusione paradossale e per evidenti ragioni non condivisibile per cui il tasso di interesse moratorio previsto dallo stesso legislatore risulterebbe usurario per una molteplicità di contratti, con l’effetto di qualificare come illegittimo un tasso di interesse imposto dal legislatore.
Sono queste le argomentazioni con le quali il Tribunale di Milano, in persona del dott. Francesco Ferrari, con sentenza del 28 aprile 2016, ha fatto registrare un netto revirement giurisprudenziale circa l’annosa questione della rilevanza degli interessi di mora ai fini delle verifiche di usurarietà oggettiva.
La vicenda processuale come nella più “classica” delle controversie bancarie in tema di usura vede contrapposti gli attori (mutuatari) e la banca (mutuante), con la domanda dei primi, supportata da perizia contabile di parte, volta a sostenere il superamento delle soglie di usura da parte degli interessi di mora.
Sulla questione della rilevanza degli interessi moratori ai fini del riscontro di usurarietà oggettiva ex l.108/1996, dottrina e giurisprudenza non hanno certo “risparmiato inchiostro” negli ultimi anni, in particolare da quando il dibattito è stato “riacceso” per effetto della nota Cass.Civ. 9 gennaio 2013 n.350 («si intendono usurari gli interessi [
] promessi o comunque convenuti a qualunque titolo, quindi anche a titolo di interessi moratori»).
Proprio da quest’ultima pronuncia hanno preso le mosse i mutuatari nel caso di specie, invero mal interpretando sulla scia di una distorsione ermeneutica ben nota ai lettori di questa rivista il principio espresso dagli Ermellini, pretendendo di sommare il valore percentuale degli interessi di mora a quello degli interessi corrispettivi ai fini del raffronto con la soglia di usura.
Trattasi di una tesi difensiva ormai definitivamente smentita dalla giurisprudenza di merito dominante, che talvolta è addivenuta a pesanti condanne per “lite temeraria” (ex multis, Trib. Reggio Emilia, dott. Gianluigi Morlini, 06 ottobre 2015 ), ma che è il frutto di un “equivoco interpretativo” così lo definisce il Tribunale di Milano «dal momento che i precedenti giurisprudenziali invocati non sostengano in alcun modo la pretesa a sommare i due tassi di interesse, al fine di verificarne la legittimità o meno sul piano dell’usura, ma si limitano a evidenziare come il controllo dell’usurarietà degli interessi debba operare non solo con riferimento agli interessi corrispettivi, ma anche per quelli moratori».
Nè si può diversamente argomentare, facendo leva sulla circostanza che il contratto possa prevedere che, in caso di ritardato pagamento delle rate, gli interessi moratori vadano calcolati sull’intera rata. Una simile pattuizione sottolinea il Giudice lombardo non è altro che l’espressione di una modalità di determinazione della mora che tenga conto della disciplina ex art. 3 della Delibera C.I.C.R. del 9.2.2000, in materia di capitalizzazione degli interessi nei rapporti bancari e pertanto pienamente lecita.
La decisione in commento, tuttavia, ha il pregio di andare al di là di questa ormai ovvia premessa.
È noto infatti che le affermazioni degli Ermellini, più volte pronunciatisi sulla questione degli interessi di mora nel senso sopra accennato, sono sempre rimaste al rango di “enunciazioni astratte”, senza fornire una concreta soluzione sul piano pratico all’interrogativo decisivo: se la soglia di usura non tiene conto (ex ante) degli interessi di mora, come garantire oggettività ad un sistema che pretende (ex post) di raffrontare anche il tasso moratorio ad una soglia che non lo contempla?
Il problema è noto anche al Tribunale di Milano, che ne prende atto quando premette che il complesso meccanismo ideato dal legislatore del ’96 ha assegnato a Bankitalia il compito tecnico di rilevare trimestralmente il costo del denaro (determinando così le soglie di usura per il trimestre successivo alla pubblicazione), sulla scorta delle indicazioni e prescrizioni impartite dal Ministro dell’Economia e delle Finanze, che in tali indicazioni ha sempre previsto e disposto che le rilevazioni statistiche fossero condotte con riferimento esclusivamente ai tassi corrispettivi.
Al contrario, analoga rilevazione non viene richiesta con riferimento agli interessi di mora, in considerazione della loro differente natura di prestazione non necessaria, ma solo eventuale.
Deve pertanto ritenersi proseguendo nel ragionamento del Tribunale di Milano che il principio sancito dalla giurisprudenza di legittimità potrebbe essere condiviso solo «nella sua affermazione astratta», mentre «sicuramente più problematico diventa l’accertamento in concreto del carattere usurario, quando la verifica viene effettuata con riferimento agli interessi di mora».
Se, infatti, con la Legge 108/1996 si è inteso “oggettivizzare” la nozione di usura, introducendo l’istituto del tasso soglia, in modo che, superando le difficoltà probatorie in precedenza riscontrate in materia, gli interessi dovessero essere riconosciuti come usurari per il solo fatto che fossero stati pattuiti in misura superiore al tasso soglia rilevato per la tipologia di contratto omogenea a quella in verifica, non sarebbe coerente pretendere di confrontare la pattuizione relativa agli interessi di mora con il Tasso Soglia, determinato (a partire dal TEGM), in forza di rilevazioni statistiche condotte esclusivamente con riferimento agli interessi corrispettivi (oltre alle altre voci di costo rilevanti).
La conclusione del Giudice meneghino è una “presa d’atto”: «ad oggi una verifica in termini oggettivi del carattere usurario degli interessi moratori risulta preclusadalla mancanza di un termine di raffronto, ossia di un tasso soglia, che sia coerente con il valore che si vuole raffrontare».
Se ne deve dedurre che l’affermazione degli Ermellini resta valida e praticabile solo in riferimento alla possibile rilevanza degli interessi di mora ai fini della c.d. usura soggettiva, ipotesi residuale che prescinde dal raffronto con le soglie trimestrali e postula il riscontro di altri presupposti di fatto, ovviamente da provare in giudizio (sproporzione rispetto alla prestazione di denaro o di altra utilità, ovvero condizione di difficoltà economica o finanziaria del mutuatario).
La sentenza in commento dimostra di non “gradire” soluzioni “mediane”, come quella pur seguita da una parte della giurisprudenza che individua una differente soglia per gli interessi di mora, addizionando a quella ordinaria il valore del 2,1%, in ossequio alle rilevazioni (meramente statistiche ed interne) effettuate da Bankitalia a partire dal 2002.
Detta rilevazione nota il Tribunale oltre a essere “ufficiosa”, in quanto condotta in assenza di una istruzione in tal senso disposta dal Ministero delle Finanze, non solo non può considerarsi neppure scientificamente attendibile, non essendo conosciute le modalità di rilevazione statistica utilizzate e, al contrario, risultando essere stata condotta attraverso l’acquisizione di dati a campione, ma soprattutto risale a oltre dieci anni fa, senza essere stata aggiornata e rivisitata trimestralmente, come invece preteso dal legislatore.
Nessun compromesso, dunque.
E se la conclusione del ragionamento può apparire a taluno troppo “radicale”, il giudice milanese ne previene le obiezioni, portando a supporto un dato normativo dirimente: l’introduzione del “nuovo” tasso legale di mora (D.L. 132/2014 convertito con la Legge 10.11.2014 n. 162) di cui all’art.1284 cc comma quarto, a mente del quale «se le parti non ne hanno determinato la misura, dal momento in cui è proposta domanda giudiziale il saggio degli interessi legali è pari a quello previsto dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali».
«Se, pertanto, si dovesse opinare per l’ammissibilità di un raffronto degli interessi moratori con il Tasso Soglia attualmente disponibile» – conclude definitivamente il Tribunale – «arriveremmo alla conclusione paradossale e per evidenti ragioni non condivisibile, per cui il tasso di interesse moratorio previsto dallo stesso legislatore risulterebbe usurario per una molteplicità di contratti, con l’effetto di qualificare come illegittimo un tasso di interesse imposto dal legislatore».
Nessuno spazio, quindi, per le doglianze di parte attrice, né per una positiva valutazione di una perizia di parte evidentemente infondata, in quanto basata sulla ricostruzione di un “Tasso Effettivo di Mora” (chiamato TEMO), che muove dal presupposto di sommare spese e oneri agli interessi moratori, effettuando una analogia con il concetto di Tasso Annuo Effettivo Globale (TAEG), senza tenere conto che quest’ultimo parametro ha logica solo se riferito agli interessi corrispettivi e agli oneri accessori all’erogazione del credito, dovendo escludere tale accessorietà degli oneri rispetto all’interesse moratorio, che invece dipende non dall’erogazione del credito, quanto piuttosto dall’inadempimento del debitore.
La domanda è stata quindi integralmente rigettata, sia per l’infondatezza dei presupposti giuridici, sia per l’assoluta incoerenza della ricostruzione fattuale (aritmetica), con condanna al pagamento delle spese processuali.
IL COMMENTO
La pronuncia in commento è degna di nota per aver risolto con un’opzione netta, pragmatica e coerente la disputa intorno agli interessi di mora ed alla rilevanza di questi ultimi per la disciplina antiusura.
Non arrestandosi di fronte alle affermazioni astratte della Cassazione, il Tribunale ha optato per una soluzione (certamente “radicale” ma) che non lascia tanto spazio alle classiche obiezioni sulla presunta inequivocabilità della disciplina di interpretazione autentica del 2000-2001 («Ai fini dell’applicazione dell’articolo 644 del codice penale e dell’articolo 1815, secondo comma, del codice civile, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento»).
Di fatto, il sistema dell’usura oggettiva è stato congegnato per eliminare la discrezionalità interpretativa ed ancorare ad un parametro certo la valutazione di usurarietà. Pretendere di bypassare le rilevazioni ex ante effettuate dall’asse MEF-Bankitalia e di raffrontavi, ex post, un dato numerico incoerente, mette semplicemente “in crisi” il sistema.
Non può non notarsi, infine, che il Tribunale ha dimostrato di aderire ad una tesi già esposta sulle pagine di questa rivista, circa l’impossibilità di valutare la normativa antiusura prescindendo dall’introduzione dei nuovi “tassi legali di mora” ex art. 1284, quarto comma, cc.
Nell’articolo giuridico dal titolo “Disciplina antiusura e nuovi tassi legali di mora: usura legale?“ (a cura di DE SIMONE – IENCO), si era già compiutamente notato che il legislatore sarebbe incoerente nell’imporre ai privati il rispetto delle soglie di usura all’atto della pattuizione degli interessi di mora, prevedendo poi (per legge, appunto) tassi legali di mora superiori alle soglie stesse, per talune categorie di operazioni.
Testo del provvedimento
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