ISSN 2385-1376
Testo massima
Segnalata dall’Avv. Roberto Rusciano del Foro di Napoli
In tema di efficacia del nuovo art. 120 TUB come modificato dalla legge di stabilità del 2014, affermare una cogenza immediata del divieto di anatocismo introdotto dalla detta normativa, diversamente da quanto avvenuto nel recente passato sempre in subiecta materia, comporterebbe una ingiustificata sperequazione giuridica tra gli istituti di credito e gli altri soggetti interessati a detto fenomeno, ma anche tra gli stessi utenti del sistema bancario, i quali, non essendo tutti debitori e negativamente esposti alla capitalizzazione degli interessi passivi, potrebbero, in quanto creditori, essere, invece, ben favorevoli all’applicazione di detto istituto relativamente agli interessi attivi.
Il nuovo art. 120 TUB non ha efficacia immediata in quanto l’iter normativo delineato dal legislatore non è giunto a conclusione essendo indispensabile la delibera CICR, come previsto dall’art. 161, V comma TUB.
La necessità di una precisa regolamentazione del predetto divieto in tutti i suoi aspetti ed implicazioni, prima della sua effettiva entrata in vigore, sembra altresì trovare giustificazione anche in esigenze di armonizzazione della nuova e ben più rigorosa disciplina nazionale con quella in vigore nel resto dell’UE.
Questi sono i principi ribaditi dal Tribunale di Bologna, in composizione collegiale, Pres. Rel. Giovanni Salina, con ordinanza del 25 marzo 2016.
IL DATO NORMATIVO
ART.120 COMMA 2 D.LGS. 1 SETTEMBRE 1993, N. 385 TUB (COME MODIFICATO DALL’ART. 1, COMMA 629, L. 27 DICEMBRE 2013, N. 147)
2. Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che:
a) nelle operazioni in conto corrente sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori;
b) gli interessi periodicamente capitalizzati non possano produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale.
ART.161 COMMA 5 D.LGS. 1 SETTEMBRE 1993, N. 385 TUB
5. Le disposizioni emanate dalle autorità creditizie ai sensi di norme abrogate o sostituite continuano a essere applicate fino alla data di entrata in vigore dei provvedimenti emanati ai sensi del presente decreto legislativo.
ART. 101 TFUE (ex articolo 81 del TCE) primo paragrafo lettere B e C
1. Sono incompatibili con il mercato interno e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato interno ed in particolare quelli consistenti nel:
a) fissare direttamente o indirettamente i prezzi d’acquisto o di vendita ovvero altre condizioni di transazione;
b) limitare o controllare la produzione, gli sbocchi, lo sviluppo tecnico o gli investimenti;
c) ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento;
d) applicare, nei rapporti commerciali con gli altri contraenti, condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, così da determinare per questi ultimi uno svantaggio nella concorrenza;
e) subordinare la conclusione di contratti all’accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari, che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun nesso con l’oggetto dei contratti stessi.
2. Gli accordi o decisioni, vietati in virtù del presente articolo, sono nulli di pieno diritto. Terzo paragrafo
3. Tuttavia, le disposizioni del paragrafo 1 possono essere dichiarate inapplicabili:
– a qualsiasi accordo o categoria di accordi fra imprese,
– a qualsiasi decisione o categoria di decisioni di associazioni di imprese, e
– a qualsiasi pratica concordata o categoria di pratiche concordate, che contribuiscano a migliorare la produzione o la distribuzione dei prodotti o a promuovere il progresso tecnico o economico, pur riservando agli utilizzatori una congrua parte dell’utile che ne deriva, ed evitando di:
a) imporre alle imprese interessate restrizioni che non siano indispensabili per raggiungere tali obiettivi;
b) dare a tali imprese la possibilità di eliminare la concorrenza per una parte sostanziale dei prodotti di cui trattasi.
ART. 1 REGOLAMENTO (CE) 1/2003 DEL CONSIGLIO
1. Gli accordi, le decisioni e le pratiche concordate di cui all’articolo 81, paragrafo 1, del trattato che non soddisfano le condizioni di cui all’articolo 81, paragrafo 3, del trattato sono vietati senza che occorra una previa decisione in tal senso.
2. Gli accordi, le decisioni e le pratiche concordate di cui all’articolo 81, paragrafo 1, del trattato che soddisfano le condizioni di cui all’articolo 81, paragrafo 3, del trattato non sono vietati senza che occorra una previa decisione in tal senso.
3. Lo sfruttamento abusivo di una posizione dominante ai sensi dell’articolo 82 del trattato è vietato senza che occorra una previa decisione in tal senso.
IL CASO
Nella fattispecie in esame, l’Associazione dei Consumatori, con ricorso ex art. 140 c. VIII D.lvo n. 206/05 (cod. cons.), chiedeva che il Tribunale, in via cautelare, inibisse alla Banca di dare corso a qualsiasi ulteriore forma di anatocismo degli interessi passivi con riferimento ai contratti di conto corrente denominati “Conto Family Start” e “Conto Bfree“, già in essere o da stipulare con i consumatori.
Con ordinanza resa in data 7/12/2015, il Tribunale di Bologna, in composizione monocratica, rigettava il ricorso proposto dall’Associazione, condannando quest’ultima alla rifusione delle spese di lite in favore della Banca resistente.
Avverso la suddetta ordinanza, l’Associazione, con ricorso ex art. 669 terdecies c.p.c., proponeva reclamo al Collegio, chiedendo che l’adito Tribunale, previa revoca dell’impugnato provvedimento, in via principale, adottasse le misure cautelari precedentemente invocate.
Si costituiva l’istituto di credito convenuto, il quale contestava la fondatezza dei motivi di gravame ex adverso dedotti, chiedendone l’integrale rigetto del proposto reclamo.
*****
Con riferimento alla tematica delle modalità di calcolo degli interessi – ed alla luce dell’emanazione dell’articolo 1, comma 629, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Legge di Stabilità per il 2014), che ha modificato l’art. 120 del Testo Unico Bancario (TUB) – si è registrata un’evoluzione della giurisprudenza di merito, che ha assunto su tale importante materia orientamenti discordanti, nonostante il breve lasso di tempo in cui le decisioni stesse sono state pronunciate.
Ciò è avvenuto in considerazione del fatto che il novellato art. 120 TUB sembra aver introdotto nell’ordinamento giuridico statale il divieto di anatocismo, ovverosia, di produzione di interessi sugli interessi, con formulazione quantomeno imprecisa e, in ogni caso, suscettibile di esegesi diverse e, tra di loro, non del tutto compatibili.
Al riguardo, il Collegio adito ritiene che il legislatore ha introdotto un divieto di anatocismo “regolamentato”, ovverosia ha affidato al comitato interministeriale il compito di adottare una delibera che disciplini modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, anche al fine di evitare situazioni di arbitraria o anche solo diversificata disciplina dell’istituto de quo, nonché ingiustificate disparità di trattamento o, comunque, differenti ed inique applicazioni di detto divieto tra i diversi consumatori ed utenti, non tutti necessariamente esposti al fenomeno della capitalizzazione degli interessi passivi.
Orbene, a giudizio del Collegio, la necessità di dare una specifica e preventiva regolamentazione all’attività bancaria con riferimento al fenomeno dell’anatocismo in ogni suo aspetto – oltre a trovare giustificazione anche in esigenze di armonizzazione della nuova e ben più rigorosa disciplina nazionale con quella in vigore nel resto dell’UE che, invece, consente detta pratica bancaria – determina lo slittamento dell’entrata in vigore del predetto divieto fino al momento in cui il complesso e progressivo iter normativo delineato dal legislatore non sia giunto a conclusione, appunto, con l’adozione della menzionata delibera del CICR che preciserà le modalità, non meramente contabili, di concreta attuazione del divieto.
Invero, il Collegio bolognese ha giustappunto osservato che nel passato, la precedente modifica dell’art. 120 TUB operata con D.lvo. 342/99, che aveva stabilito la legittimità dell’anatocismo bancario, era stata anch’essa differita fino all’adozione di apposita delibera da parte del CICR, che venne poi emanata in data 9/2/2000.
Pertanto, ha ritenuto che affermare una cogenza immediata del divieto di anatocismo introdotto dalla legge di stabilità del 2014, diversamente da quanto avvenuto nel recente passato sempre in subiecta materia, comporterebbe una ingiustificata sperequazione giuridica tra gli istituti di credito e gli altri soggetti interessati a detto fenomeno, ma anche tra gli stessi utenti del sistema bancario, i quali, non essendo tutti debitori e negativamente esposti alla capitalizzazione degli interessi passivi, potrebbero, in quanto creditori, essere, invece, ben favorevoli all’applicazione di detto istituto relativamente agli interessi attivi.
Né si può sostenere il contrario, ovverosia che l’anatocismo sia, di per sé, una pratica illegittima e che, quindi, l’operatività non immediata del divieto de quo cristallizzerebbe una situazione di illegittimità.
Sul punto, il Collegio ha osservato che l’anatocismo, oltre ad essere praticato ordinariamente in altri Paesi dell’UE, trova generale regolamentazione anche nel nostro ordinamento giuridico attraverso il tuttora vigente art. 1283 c.c. che ne sancisce la piena legittimità, sia pur in presenza di determinati presupposti.
Le considerazioni svolte dal Collegio trovano, inoltre, conforto nella disciplina contenuta nell’art. 161 TUB secondo cui “le disposizioni emanate dalle autorità creditizie ai sensi di norme abrogate o sostituite continuano a essere applicate fino alla data di entrata in vigore dei provvedimenti emanati ai sensi del presente decreto legislativo”. Detto articolo, in altre parole, subordina l’entrata in vigore della nuova disciplina dell’art. 120 TUB all’emanazione della normativa di tipo secondario regolamentare richiamata dal medesimo decreto.
In ogni caso, volendo prescindere anche dall’accertamento del fumus boni iuris, il Collegio ha ritenuto che, nel caso di specie, non ricorrono, comunque, i giusti motivi di urgenza richiesti dalla legge per l’adozione, in via cautelare, dell’invocata inibitoria poiché le allegazioni contenute (peraltro, soltanto) nell’originario ricorso cautelare e poi riportate in reclamo risultano assolutamente generiche ed apodittiche, in quanto non configurano alcuna situazione di concreto e significativo pericolo di danno e di urgenza tale da giustificare un immediato intervento giudiziario di natura cautelare.
Infatti, il Collegio ha osservato che in relazione ai danni potenziali di modesta entità esistono i rimedi di natura ordinaria, quali il rito sommario di cognizione ex art. 702 bis c.p.c. e la c.d. class action di cui all’art. 140 bis cod. cons, che appaiono idonei a soddisfare gli interessi dei consumatori con tempistiche più ridotte e, quindi, più consone alla natura degli interessi in gioco.
Alla luce delle considerazioni sopra esposte, il Collegio ha ritenuto opportuno non accogliere le richieste dell’Associazione dei Consumatori rigettando il reclamo e compensando le spese di lite.
IL COMMENTO
Con riferimento alla tematica delle modalità di calcolo degli interessi – ed alla luce dell’emanazione dell’articolo 1, comma 629, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Legge di Stabilità per il 2014), che ha sostituito l’art. 120 del Testo Unico Bancario (TUB) – si registra un’evoluzione della giurisprudenza di merito, non più limitata alle sole ordinanze del Tribunale di Milano del 25 marzo e 3 aprile 2015, che ha assunto su tale importante materia orientamenti discordanti, nonostante il breve lasso di tempo in cui le decisioni stesse sono state pronunciate.
Si riportano di seguito i tratti rilevanti delle pronunce note sul tema, seguendo nell’esposizione un ordine cronologico delle stesse.
Il 27 maggio 2015 il Tribunale di Cosenza ha emesso un’ordinanza nell’ambito di un procedimento per la concessione della provvisoria esecuzione di un decreto ingiuntivo in pendenza di opposizione, in cui è affermato che non “possono essere valorizzate le contestazioni inerenti alla validità della clausola anatocistica, per effetto della disciplina di riforma introdotta con la legge di stabilità 2014 che ha modificato la previsione di cui all’art. 120 TUB, considerato che, in difetto della delibera CICR, dubbia appare l’operatività di detta previsione”.
Sulla stessa linea si pongono le ordinanze emesse dal Tribunale di Torino, il 16 giugno 2015 e dal Tribunale di Parma, il 26 giugno 2015. Entrambi i Tribunali hanno respinto i ricorsi presentati nei confronti di due banche, in quanto hanno escluso, “con effetto assorbente sulle altre questioni”, la sussistenza del “periculum in mora”.
I due provvedimenti richiamando tra l’altro le premesse di cui all’ordinanza collegiale del Tribunale di Milano del 3 aprile 2015 (che è arrivata tuttavia a conclusioni di segno opposto) hanno concluso che i giusti motivi di urgenza non possono ravvisarsi, di per sé, genericamente, nel carattere diffuso di un danno ad una collettività di consumatori indeterminata e che il periculum in mora vada escluso anche in considerazione del considerevole lasso di tempo intercorso tra l’entrata in vigore dell’art. 120 TUB nuova formulazione (1° gennaio 2014) e la proposizione del ricorso.
Il Tribunale di Parma ha poi confermato il proprio orientamento con l’ordinanza del 30 luglio 2015, con la quale ha respinto il reclamo proposto dal ricorrente per difetto di periculum in mora, sia con riguardo ai contratti in essere che con riguardo ai contratti futuri. Tra l’altro, l’ordinanza rileva che “al di fuori di un quadro regolamentare unico e coerente, l’intervento giudiziale rischia di creare disparità tra operatori economici, colpendo solo le banche che siano state convenute in giudizio”.
Anche il Tribunale di Torino ha confermato il proprio orientamento con l’ordinanza del 5 agosto 2015, con cui ha respinto il reclamo proposto avverso la precedente citata ordinanza del 16 giugno.
Oltre a ribadire il difetto del periculum in mora, il Collegio ha rilevato una situazione di fumus bonis iuris “obiettivamente controvertibile”, essendo “quindi assai dubbio se prevalgano le considerazioni accolte dal Tribunale di Milano e dalla prevalente giurisprudenza di merito” o le contrapposte considerazioni del Tribunale di Torino che, sia pure in estrema sintesi, si basano sui seguenti elementi: (i) “si potrebbe anche argomentare che la norma, proprio in base all’interpretazione letterale, non intende essere immediatamente precettiva in quanto rimanda ad una delibera CICR le modalità ed i criteri per la produzione degli interessi, ponendo peraltro dei limiti alla normativa di rango inferiore e cioè prescrivendo che la stessa dovrà osservare il divieto di anatocismo”; (ii) “il dato letterale, che espressamente fa riferimento a interessi periodicamente capitalizzati e a successive operazioni di capitalizzazione, espressioni che, essendo contenute in una norma specifica in materia bancaria, potrebbero anche essere interpretate in senso tecnico e non nel senso di semplice conteggio”; (iii) “il disposto dell’art. 161 co. 5 TUB, articolo non modificato secondo cui . Sul punto è sostanzialmente ininfluente che la legge 147/13 preveda l’entrata in vigore il 1° gennaio 2014 in quanto l’entrata in vigore della legge (per completezza osserva il Collegio che trattandosi della legge di stabilità per il 2014 è ovvio che fosse entrata in vigore il 1 gennaio 2014) non esclude l’applicabilità dell’art. 161 TUB cit., né la necessità dell’emanazione della delibera CICR”; (iv) il possibile contrasto dell’interpretazione proposta dalla prevalente giurisprudenza di merito con la normativa comunitaria”.
Di segno opposto è invece l’ordinanza del Tribunale di Cuneo del 29 giugno 2015 che ha accolto il ricorso proposto, proibendo alla banca soccombente di dar corso a qualsiasi capitalizzazione degli interessi passivi su contratti di conto corrente (già in essere o ancora da stipulare) ed ordinando alla stessa: (i) l’inserimento, entro 15 giorni dalla notificazione del provvedimento, sul proprio sito web, del dispositivo dell’ordinanza e di darne comunicazione ad ogni singolo correntista; (ii) la pubblicazione, entro 30 giorni dalla comunicazione del provvedimento, del dispositivo su alcuni quotidiani.
Contrariamente a quanto previsto dal Tribunale di Torino e di Parma, il Tribunale di Cuneo ha ritenuto sussistente il periculum in mora in quanto, sebbene il ricorrente abbia atteso alcuni mesi prima di agire, tuttavia tale atteggiamento non può dirsi “ingiustificatamente inerte” alla luce della formulazione non brillante della norma, della necessità di attendere un’interpretazione della stessa e dell’opportunità di attendere l’emanazione della delibera del CICR.
Sulla stessa linea si è posta l’ordinanza del 1° luglio 2015 con la quale il Tribunale di Milano ha inibito ad una banca ogni forma di capitalizzazione degli interessi passivi e ogni pratica anatocistica in tutti i contratti di conto corrente con i consumatori, precisando altresì come il divieto di anatocismo non comporti alcun profilo di illegittimità con il diritto europeo, in quanto l’eliminazione di una condizione gravosa quale l’anatocismo può, al contrario, agevolare la penetrazione delle banche estere nel mercato italiano.
Anche il Tribunale di Biella, con l’ordinanza del 7 luglio 2015 ha fatto divieto di dar corso a qualsiasi forma di anatocismo e comunque di capitalizzazione degli interessi passivi, con riferimento ai contratti di conto corrente, ed ha altresì negato l’esistenza di alcun conflitto della nuova disciplina con il diritto europeo. A supporto di tale ultima affermazione, il Tribunale ha asserito che la Corte di Giustizia, decidendo la causa C-591/10, ha segnalato l’insussistenza nell’ordinamento europeo di un diritto alla corresponsione di interessi anatocistici e rimesso al giudice nazionale la verifica della compatibilità delle norme di diritto interno con i principi generali dell’Unione Europea, nonché alla legislazione nazionale il compito di stabilire se gli interessi debbano essere semplici o composti. E’ peraltro da tenere presente che tali principi non sono stati espressi dalla Corte di Giustizia nell’ambito di rapporti bancari, bensì sono scaturiti dal diritto di un imprenditore a ripetere somme indebitamente percepite dal governo inglese a titolo di imposte (IVA).
Il Tribunale di Milano, con l’ordinanza del 13 luglio 2015, ha nuovamente confermato il proprio orientamento ed inibito alla banca di dare corso a qualsiasi ulteriore forma di capitalizzazione degli interessi passivi con riferimento ai contratti di conto corrente già in essere o ancora da stipulare con consumatori.
Con l’ordinanza dell’8 agosto 2015, il Tribunale di Milano a seguito del reclamo proposto dalla banca avverso la precedente citata ordinanza del 1° luglio ha confermato che la norma dell’art. 120, comma 2, TUB, è immediatamente precettiva, ed escluso nuovamente che la stessa si ponga in contrasto con normativa o principi generali dell’ordinamento comunitario. Il Collegio ha altresì revocato l’ordine alla banca – contenuto nell’ordinanza oggetto di reclamo – di curare entro 30 giorni dalla comunicazione dell’ordinanza la pubblicazione del dispositivo dell’ordinanza stessa su alcuni quotidiani.
Da segnalare anche l’ordinanza del Tribunale di Siena del 4 agosto 2015 resa nel corso di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo che ha ritenuto la previsione di cui all’odierno art. 120, secondo comma, TUB, non applicabile “alla capitalizzazione della quota di interessi conglobata in ciascuna rata, che si verifica nei contratti di finanziamento in occasione della risoluzione o della decadenza dai termini di pagamento per effetto delle clausole conformi al dettato dell’art. 3 delibera Cicr 9 febbraio 2000″. Ciò in quanto l’art. 120, secondo comma, TUB, contiene: alla lettera a) una previsione letteralmente limitata ai contratti di conto corrente? alla lettera b) prescrizioni riferite esclusivamente agli interessi “periodicamente capitalizzati”, con esclusione quindi della capitalizzazione una tantum che si verifica ai sensi della disposizione sopra indicata. Il Tribunale ha evidenziato altresì, ritenendola assorbita, la questione di compatibilità tra il dettato dell’art. 120 TUB, che pare imporre a livello strettamente nazionale un nuovo, peculiare e più complesso sistema di contabilizzazione nei rapporti bancari di durata, e il generale divieto ex art. 101, terzo paragrafo e primo paragrafo lettera C e lettera B, TFUE, di pratiche concordate che creino segmentazioni del mercato unico europeo o che abbiano per oggetto o effetto di limitare gli investimenti.
Il Tribunale di Roma, con l’ordinanza del 20 ottobre 2015 ha inibito alla banca, richiamando più volte i contenuti delle ordinanze del Tribunale di Milano, di dare corso a qualsiasi forma di capitalizzazione degli interessi passivi con riferimento ai contratti di conto corrente già in essere o che verranno in futuro stipulati con consumatori, nonché di predisporre, utilizzare ed applicare clausole anatocistiche nei predetti contratti. Il Giudice – dopo avere premesso che, non risultando ancora ufficialmente adottata la delibera da parte del CICR, la questione dibattuta “sull’immediata efficacia o meno del divieto di anatocismo mantiene inalterata la sua rilevanza ed attualità ai fini della decisione” – ha altresì evidenziato come il nuovo testo dell’art. 120, secondo comma, del TUB abbia “introdotto il divieto dell’anatocismo nelle operazioni bancarie” e come sia da escludere, anche alla luce della proposta di delibera CICR posta in consultazione dalla Banca d’Italia, che “la delibera CICR possa prevedere una qualche forma di capitalizzazione degli interessi passivi e quindi prevedere una soluzione differente da quella chiaramente adottata dal legislatore”.
Da ultimo, è da segnalare l’ordinanza del 7 dicembre 2015 con la quale il Tribunale di Bologna ha respinto il ricorso volto ad inibire alla banca di dar corso a qualsiasi ulteriore forma di capitalizzazione degli interessi passivi (con riferimento ad alcuni contratti di conto corrente già in essere o da stipulare con i consumatori). Il Giudice, dopo aver posto l’accento sulla “ineludibile ambiguità della riformulazione legislativa”, si è concentrato sull’aspetto – considerato dirimente ai fini della decisione – concernente “la precettività, immediata ovvero differita all’emanazione della delibera CICR, della norma in commento (
)” ed ha ritenuto non immediatamente precettiva la norma, rilevando la necessarietà, a tal fine, dell’emanazione della delibera da parte del CICR. Ciò sulla base, tra l’altro: I) di quanto previsto dallo stesso “art. 120 TUB, che rimanda ad una delibera CICR le modalità ed i criteri per la produzione di interessi”; II) del disposto di cui all’art. 161, 5° comma, TUB, che dimostra come “in tale materia l’iter legislativo non può essere definito/completato se non all’esito dell’emanazione anche della normativa secondaria”; III) della stessa proposta di delibera CICR che “all’art. 5 prevede che la delibera si applica agli interessi maturati a partire dal 1° gennaio 2016, con previsione di adeguamento dei contratti in corso entro il 31 dicembre 2015 (2° comma) e di derogabilità solo in senso più favorevole al cliente (3° comma)”.
Dall’esame della rassegna testè riportata, nonostante le oscillazioni ancora presenti in giurisprudenza, non paiono convincenti le argomentazioni che assegnano valore immediatamente precettivo al novellato art. 120 TUB ed al relativo divieto di anatocismo.
Le ragioni della critica a tale ultimo approccio si ritrovano interamente nella pronuncia oggi in commento, alla luce della quale possono trarsi i seguenti punti fermi:
1) il nuovo art. 120 TUB non può avere efficacia immediatamente precettiva, in quanto l’iter normativo delineato dal legislatore non è obiettivamente giunto a conclusione, essendo indispensabile la delibera CICR, come previso dall’art. 161 V comma TUB;
2) il dettato dell’art. 120, secondo comma TUB, che pare imporre a livello strettamente nazionale un nuovo, peculiare e più complesso sistema di contabilizzazione nei rapporti bancari di durata è manifestamente incompatibile con il generale divieto ex art. 101, terzo paragrafo e primo paragrafo lettera C e lettera B TFUE, per cui il giudice può procedere alla disapplicazione di una normativa nazionale che imponga o favorisca comportamenti imprenditoriali in contrasto con il principio della tutela della concorrenza (sentenza 09.09.2003 nel procedimento C-198/01).
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Testo del provvedimento
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Numero Protocolo Interno : 179/2016