ISSN 2385-1376
Testo massima
In tema di esecuzione forzata, qualora il giudice dell’esecuzione, in sede di verifica della titolarità dei diritti reali del debitore sul bene pignorato, ne accerti un’estensione minore rispetto a quella prospettata nel pignoramento, l’atto è efficace e l’esecuzione può proseguire rispetto al diritto, nella minore estensione o quota, di cui il debitore risulti l’effettivo titolare purché, con tale atto di impulso del processo esecutivo, non si dia luogo alla costituzione di nuovi diritti sul bene oggetto del pignoramento, fatta salvo, peraltro, la pretesa del creditore, il quale annetta espressamente carattere di inscindibilità al diritto pignorato, insistendo sulla vendita dei diritti sul bene come da lui erroneamente individuato e non di altro o minore.
Non si può cioè far discendere dall’art. 24 Cost. una sorta di diritto di agire in giudizio “a qualunque costo” (e quindi anche a fronte di posizioni giuridiche palesemente temerarie), postulando invero quella disposizione che l’esercizio del diritto abbia comunque luogo nel rispetto dei canoni di buona fede e lealtà processuale (riconducibili peraltro ad altra disposizione di rango costituzionale: l’art. 2 Cost. nella parte in cui richiama i doveri di solidarietà politica, economica e sociale).
Questi i principi espressi dal Tribunale di Napoli Nord, Dott. Antonio Cirma, con ordinanza dell’11.11.2015.
Nel caso de quo, il debitore proponeva opposizione ex art. 617, comma 2, c.p.c. avverso l’atto di pignoramento promosso dalla banca, al fine di ottenere, previa sospensione dell’esecuzione, la dichiarazione di illegittimità e nullità dell’atto esecutivo, sul presupposto dell’irregolare modalità di esercizio dell’azione esecutiva.
La tesi sostenuta dal debitore esecutato si fonda, in particolare, sull’impignorabilità degli immobili oggetto dell’espropriazione, deducendosi che, a seguito di scioglimento della comunione legale per effetto del deposito dell’accordo di separazione, il creditore avrebbe dovuto pignorare solo la metà degli immobili e non l’intera proprietà.
Si costituiva ritualmente la banca procedente, la quale chiedeva il rigetto della domanda e della sospensiva e la condanna ai sensi dell’art. 96 c.p.c..
Il Tribunale, in accoglimento delle eccezioni spiegate dall’istituto di credito, ha rigettato l’istanza di sospensione dell’esecuzione e condannato il debitore per lite temeraria.
Ed invero il Giudice, aderendo a consolidata giurisprudenza di merito, ha ritenuto che la nullità dell’atto esecutivo non potesse essere dichiarata a seguito di pignoramento di una quota superiore rispetto a quella di cui il debitore esecutato sia effettivamente titolare. In questo caso il pignoramento è, infatti, valido nei limiti della quota di cui l’esecutato è effettivamente titolare.
Il Tribunale ha ritenuto, inoltre, che nel caso di specie sussistessero anche i presupposti per la condanna dell’opponente a titolo di responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96, terzo comma, c.p.c., essendo palese la colpa grave nella manifesta infondatezza della spiegata opposizione, non supportata da sia pur minima diligenza, in quanto diretta unicamente a procrastinare e/o ritardare il recupero del credito da parte del creditore (se non altro in termini di maggiori costi per attività legale e/o comunque di disincentivo all’esecuzione).
Il giudice, pertanto, ha condannato l’opponente al doppio delle spese legali.
Si segnalano i seguenti precedenti:
OPPOSIZIONE A PRECETTO: INAMMISSIBILE IL RECLAMO AVVERSO LA SOSPENSIONE DELL’EFFICACIA ESECUTIVA DEL TITOLO
L’ORDINANZA RIENTRA NELLA CATEGORIA DEI PROVVEDIMENTI SOMMARI NON CAUTELARI
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LITE TEMERARIA: ECCEZIONI SCIATTE, GENERICHE, SOLLEVATE CON FORMULE STANDARD SANZIONATE CON CONDANNA EX ART. 96 COMMA 3 C.P.C.
LA CONTESTAZIONE DI UNA VARIAZIONE UNILATERALE PEGGIORATIVA SENZA ALCUNA INDICAZIONE INTEGRA IPOTESI DI COLPA GRAVE
Sentenza Tribunale di Mantova, dott. Marco Benatti 13-10-2015 n.942
Testo del provvedimento
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