ISSN 2385-1376
Testo massima
Tra il contratto di leasing finanziario, concluso tra concedente ed utilizzatore, e quello di fornitura, concluso tra concedente e fornitore allo scopo (ben noto a quest’ultimo) di soddisfare l’interesse dell’utilizzatore ad acquisire la disponibilità della res, si verifica un’ipotesi di collegamento negoziale (nella pur persistente singolarità di ciascun tipo negoziale) in forza del quale l’utilizzatore è legittimato a far valere la pretesa all’adempimento del contratto di fornitura, oltre che al risarcimento del danno conseguentemente sofferto.
Al contrario, in mancanza di una espressa previsione normativa al riguardo, l’utilizzatore può esercitare l’azione di risoluzione o riduzione del prezzo del contratto di vendita tra il fornitore ed il concedente (cui esso è estraneo) solamente in presenza di specifica clausola contrattuale con la quale gli venga dal concedente trasferita la propria posizione sostanziale. Il relativo accertamento, trattandosi di questione relativa non alla legitimatio ad causam bensì alla titolarità attiva del rapporto, è rimesso al giudice del merito in relazione al singolo caso concreto.
Questo il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite della Suprema Corte, Pres. Rovelli Rel. Spirito, con la sentenza n. 19785, depositata in data 05.10.2015.
LA VICENDA PROCESSUALE
La pronuncia in commento, che ha sancito il definitivo superamento di un orientamento giurisprudenziale ormai risalente, è intervenuta all’esito di una complessa vicenda processuale in materia di leasing finanziario, avviata con l’azione di risoluzione contrattuale proposta dall’utilizzatore nei confronti del fornitore, relativamente al contratto di fornitura di un bene (intercorso tra concedente e fornitore), a sua volta collegato al leasing intervenuto invece tra utilizzatore e concedente. In particolare, l’utilizzatore lamentava l’inadempimento del fornitore, chiedendo la condanna del convenuto al risarcimento del danno ovvero alla riduzione del prezzo di compravendita versato al concedente.
Il Tribunale adito, in parziale accoglimento della domanda dell’utilizzatore, dichiarava la risoluzione del contratto di fornitura per fatto e colpa del fornitore, condannando quest’ultimo alla restituzione di quanto percepito nella vendita, respingendo la domanda risarcitoria.
Avverso tale sentenza proponeva appello il fornitore. La Corte di merito, in riforma della sentenza di primo grado, dichiarava la carenza di legittimazione attiva dell’utilizzatore, con conseguente rigetto di tutte le domande da questi proposte.
Veniva dunque proposto ricorso per cassazione da parte dell’utilizzatore, il quale assumeva che “la corte di appello avrebbe erroneamente affermato la carenza della sua legittimazione attiva alla risoluzione della vendita sull’erroneo presupposto che l’esercizio diretto dell’azione contrattuale da parte dell’utilizzatore del bene in leasing nei confronti del fornitore, non derivando da una previsione generale di legge, sia ammissibile solo in presenza di specifica clausola contrattuale, nella specie inesistente”.
Il giudizio stante il particolare rilievo del quesito sotteso veniva rimesso alle Sezioni Unite, palesandosi l’esigenza di un intervento chiarificatore “in ordine alla questione di massima di particolare importanza, concernente – con riguardo ai presupposti sostanziali e processuali di applicazione dell’art. 1705 c.c., comma 2, alla locazione finanziaria – le azioni direttamente proponibili dall’utilizzatore nei confronti del venditore e, segnatamente, quella di risoluzione della vendita per inadempimento di quest’ultimo”.
LA QUALIFICAZIONE GIURIDICA
Con l’ordinanza di rimessione, veniva chiesto alle Sezioni Unite di fornire indicazioni di diritto ed interpretative al fine di chiarire se
“
in caso di leasing finanziario, l’utilizzatore sia legittimato – oltre che a far valere la pretesa all’adempimento del contratto di fornitura e al risarcimento del danno conseguentemente sofferto – anche a proporre domanda di risoluzione del contratto di vendita tra il fornitore e la società di leasing, come effetto naturale del contratto di locazione finanziaria, oppure se tale legittimazione sussista solamente in presenza di specifica clausola contrattuale con la quale venga trasferita la posizione sostanziale, del concedente all’utilizzatore”.
Le Sezioni Unite hanno preliminarmente individuato la chiave di volta della questione nella esatta configurazione strutturale del contratto de quo, “posto che, se lo si ravvisa come contratto unitario plurilaterale, è agevole farne discendere l’esperibilità dell’azione di risoluzione da parte dell’utilizzatore contro il fornitore, dovendosi considerare anche quest’ultimo parte del contratto di compravendita. Il problema si pone, invece, se l’interprete tiene ben distinti, nella vicenda, il contratto di vendita (tra fornitore/venditore e concedente/acquirente) e contratto di locazione (tra concedente/proprietario/locatore della cosa ed utilizzatore/locatario della stessa), pur riconoscendo l’indiscutibile collegamento esistente tra i due”. In tale seconda ipotesi, l’utilizzatore risulterebbe dunque terzo rispetto al contratto di vendita concluso tra concedente e fornitore.
L’aspetto nevralgico consiste nell’eventuale esperibilità in conseguenza del sopra evidenziato collegamento negoziale tra i contratti di leasing e di fornitura dell’azione di risoluzione contrattuale, da parte dell’utilizzatore, della vendita intercorsa tra fornitore e concedente.
Il precedente orientamento giurisprudenziale aveva fornito risposta positiva a tale quesito, configurando la locazione finanziaria quale rapporto trilaterale (concedente fornitore utilizzatore) e riconoscendo in essa “un’operazione giuridica unitaria, nella quale ognuno dei contraenti è consapevole di concludere un accordo con le altre parti interessate dall’affare; ciascun contraente assume volontariamente obblighi nei confronti delle altre due parti; il fornitore si obbliga, nei confronti del concedente, a trasferirgli la proprietà e, nei confronti dell’utilizzatore, a consegnargli il bene e a dargli le garanzie della vendita; il concedente si obbliga a pagare il prezzo del bene al fornitore e a consentirne il godimento ali ‘utilizzatore; questi a sua volta si obbliga a rimborsare al concedente con gli interessi e le spese il finanziamento ottenuto“.
Tale orientamento è stato gradualmente superato da quello che ha invece ricondotto la struttura del leasing finanziario ad un’ipotesi di collegamento negoziale, come precisato dalle Sezioni Unite con la pronuncia in commento.
In altri termini, il leasing finanziario “realizza un’ipotesi di collegamento negoziale tra contratto di leasing e contratto di fornitura, quest’ultimo venendo dalla società di leasing concluso allo scopo, noto al fornitore, di soddisfare l’interesse del futuro utilizzatore ad acquisire la disponibilità della cosa” (Cass. n. 17145/06). Ed il nesso di collegamento tra i due contratti viene normalmente in evidenza proprio “in virtù di clausole di interconnessione, per cui nel contratto di vendita tra fornitore e società di leasing viene convenuto che il bene oggetto del negozio sia acquistato allo scopo di cederlo in godimento al cliente della società (il quale in precedenza ha provveduto ad indicarlo specificamente) ed è previsto anche che il bene sia consegnato direttamente dal fornitore all’utilizzatore” (cfr. Cass. n. 16158/07, n. 9417/14).
In quest’ordine di idee, come precisato dalle Sezioni Unite, si è fatto ricorso alla disposizione dell’art. 1705 c.c., comma 2 (mandato senza rappresentanza), per dedurne che l’utilizzatore ha la legittimazione a far valere le azioni intese all’adempimento del contratto di fornitura ed al risarcimento del danno da inesatto adempimento, con esplicita o talvolta implicita esclusione dell’azione di risoluzione.
Per effetto di questa evoluzione giurisprudenziale si è dunque ammesso che l’utilizzatore possa agire contro il fornitore per l’adempimento o per il risarcimento, ma si è escluso categoricamente che possa agire anche per la risoluzione, tenuto conto che a questa conseguirebbero necessariamente effetti nella sfera giuridica del concedente. Traslando tali principi dal piano sostanziale a quello processuale, verrebbe dunque a porsi un problema di legittimazione attiva (in capo all’utilizzatore), non configurandosi alcuna ipotesi di litisconsorzio necessario tra fornitore, utilizzatore e concedente.
In altri termini, per quanto sia indubbio che “la vicenda sia necessariamente trilatera, nel senso che coinvolge necessariamente tre soggetti, per effetto del richiamato collegamento negoziale, allo stesso tempo va rimarcato che i due contratti (collegati) mantengono la loro sostanziale autonomia”. L’utilizzatore, cioè, rimane terzo rispetto al contratto di fornitura ed il fornitore resta terzo rispetto al contratto di locazione.
“In quest’ordine di idee, la sottrazione della vicenda dall’ambito del rapporto plurilaterale e la sua sussunzione in quello del contratto collegato fa sì che le parti possano gestire separatamente i distinti rapporti contrattuali, secondo le rispettive funzioni, assegnando rilevanza giuridica a quelle sole interdipendenze che realmente condizionano l’attuazione dell’operazione economica”.
Nella pratica, il richiamato collegamento negoziale si realizza mediante apposite clausole previste in ciascuno dei due contratti. Nel caso in cui nessuna clausola contrattuale consenta all’utilizzatore la sperimentazione dell’azione risolutiva del contratto di fornitura, non può eludersi la regola base in tema di effetti del contratto, ossia quella in virtù della quale il contratto ha forza di legge tra le parti, non può essere sciolto che per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge e non produce effetto rispetto ai terzi che nei casi previsti dalla legge.
Del pari, deve dunque escludersi che l’utilizzatore possa autonomamente esercitare contro il fornitore l’azione di riduzione del prezzo che, quale rimedio sinallagmatico, andrebbe a modificare i termini dello scambio nel rapporto tra concedente e fornitore. Il relativo accertamento, trattandosi di questione concernente non la legitimatio ad causarti bensì la titolarità attiva del rapporto, è rimesso al giudice del merito in relazione al singolo caso concreto.
In ordine ai vizi della res concessa in locazione finanziaria che la rendano inidonea all’uso, è necessario distinguere l’ipotesi in cui gli stessi siano emersi prima della consegna (rifiutata dall’utilizzatore) da quella in cui siano emersi successivamente alla stessa perché nascosti o taciuti in mala fede dal fornitore. Il primo caso va assimilato a quello della mancata consegna, con la conseguenza che il concedente, in forza del principio di buona fede, una volta informato della rifiutata consegna, ha il dovere di sospendere il pagamento del prezzo in favore del fornitore e, ricorrendone i presupposti, di agire verso quest’ultimo per la risoluzione del contratto di fornitura o per la riduzione del prezzo. Nel secondo caso, l’utilizzatore può esercitare azione diretta verso il fornitore per l’eliminazione dei vizi o la sostituzione della res, mentre il concedente, una volta informato, ha i medesimi doveri di cui alla precedente ipotesi. Ad ogni modo, l’utilizzatore può sempre agire contro il fornitore per il risarcimento dei danni, compresa la restituzione della somma corrispondente ai canoni già eventualmente pagati al concedente.
In conclusione, le Sezioni Unite hanno rigettato il ricorso, ritenendo che la sentenza della Corte di merito si fosse attenuta ai principi di diritto sopra indicati.
Testo del provvedimento
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