ISSN 2385-1376
Testo massima
Il comportamento illecito della parte, risultata soccombente e condannata per lite temeraria, è sanzionato con il risarcimento di tutti i danni conseguenti all’instaurazione di un processo evidentemente immotivato. La condanna in tal senso, ex art. 96, comma 1, c.p.c., presuppone la contemporanea presenza di un elemento soggettivo (dolo o colpa grave) e di uno oggettivo (danno sofferto, provato dalla parte che chiede il risarcimento o quantomeno desumibile dagli atti di causa).
In ogni caso, tuttavia, ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c., al fine di razionalizzare ed accelerare il processo, sanzionando i comportamenti che rallentino il rapido e regolare svolgimento dello stesso, il giudice, anche d’ufficio ed in assenza di specifica istanza di parte, può condannare il soccombente al pagamento, di una somma equitativamente determinata.
Non vi è dubbio che sia possibile procedere sia con condanna da lite temeraria per colpa grave ex art. 96, comma 1, c.p.c., sia con condanna al pagamento di una somma equitativamente determinata ex art. 96, comma 3, c.p.c., alla sola condizione che non si assista ad una duplicazione dell’importo della condanna.
Sono questi i principi che la Commissione Tributaria Regionale di Milano, Pres. Rel. Lamanna, con sentenza del 19/05/2015, n. 2088.
La questione controversa, nello specifico, nasceva da un iniziale diniego di rimborso Iva (per l’anno di imposta 2010), pari ad euro 800.000,00, a favore del contribuente, erroneamente motivato dall’Agenzia con l’asserita inesistenza della sede legale, presso la quale invece era stato addirittura notificato il provvedimento di diniego stesso, confermandone così la sua esistenza.
L’Amministrazione non aveva, inoltre, dato seguito all’istanza di autotutela presentata dal contribuente, costringendolo ad agire giudizialmente.
Soltanto nelle more del giudizio di primo grado, l’Agenzia convenuta provvedeva alla revoca del proprio provvedimento di diniego, a seguito del quale l’adita Commissione dichiarava cessata la materia del contendere e compensava le spese di lite tra le parti.
Il contribuente proponeva appello avverso tale decisione, lamentando che, con la sentenza gravata, l’Agenzia non fosse stata condannata al rimborso delle spese di lite, pur avendo essa stessa dato causa al procedimento, per effetto dell’indebito diniego alla legittima pretesa al rimborso. Il contribuente chiedeva altresì l’applicazione di una condanna aggiuntiva per responsabilità aggravata ai sensi dell’art 96, comma 1 o comma 3, c.p.c..
Secondo la Commissione Tributaria di Appello “la statuizione sulla compensazione delle spese pronunciata dal primo Giudicante appare sia immotivata nella forma, che ingiustificabile nel merito”, non avendo considerato che la revoca del diniego di rimborso abbia determinato un indebito allungamento dei tempi di recupero del credito, di per sé produttivo di danno patrimoniale per un’impresa.
Alla luce di ciò, la CTR ha accolto l’impugnativa e disposto la condanna dell’Agenzia alla rifusione delle spese di lite di entrambi i gradi di giudizio ai sensi dell’art 91 c.p.c., condannandola altresì, a titolo di risarcimento del danno da lite temeraria ex art 96, comma 1, c.p.c., ovvero di sanzione aggiuntiva ex art 96, comma3, c.p.c., nella misura di euro 15.000,00.
Il diniego di un rimborso per motivi futili integra una responsabilità aggravata, sanzionabile sia su richiesta del contribuente, sia d’ufficio.
È un importante precedente, in quanto sollecita i Giudici tributari ad una verifica d’ufficio del corretto operato dell’Amministrazione finanziaria.
Testo del provvedimento
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