ISSN 2385-1376
Testo massima
La presunzione, sancita dall’art. 51, comma 2, n. 7, D.P.R. n. 633 del 1972, in virtù della quale le movimentazioni bancarie di denaro, risultanti dai dati acquisiti dall’Ufficio, si presumono conseguenza di operazioni imponibili, può essere vinta dal contribuente solo con la prova liberatoria che dei movimenti egli ha tenuto conto nelle dichiarazioni, ovvero che questi non si riferiscono ad operazioni imponibili, nonché con la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni, ovvero alla loro estraneità alla sua attività, con conseguente non rilevanza fiscale delle stesse.
In relazione ai conti intestati ai soci, in particolare, la riferibilità alla società contribuente delle somme movimentate sui predetti conti, intestati a soci o anche ai loro congiunti, può essere giustificata da alcun elementi sintomatici, quali la ristretta compagine sociale ed il rapporto di stretta contiguità familiare tra l’amministrazione, o i soci, ed i loro congiunti intestatari dei conti bancari sottoposti a verifica.
La suindicata massima della Cassazione è stata espressa nella sentenza n. 12276 del 12.06.2015, con cui la Suprema Corte, Sezione Tributaria, Pres. Bielli Rel. Valitutti, ha ritenuto legittima l’imputazione alla società contribuente intimata delle ingenti movimentazioni bancarie riscontrate sui conti dell’amministratore e dei suoi familiari, “non risultando forniti da questi ultimi elementi di prova di segno contrario, idonei a superare la presunzione legale suindicata”.
Il contenzioso ha avuto origine dall’impugnazione di un avviso di accertamento a fini IVA, emesso nei confronti di una S.r.l., a seguito della verifica della contabilità aziendale e delle indagini finanziarie sui conti degli amministratori e dei loro familiari. L’atto impositivo veniva impugnato dalla contribuente dinanzi alla CTP di Potenza, che procedeva all’accoglimento parziale del ricorso, dichiarando non dovute le sanzioni e gli interessi per il mancato versamento dell’IVA risultante dalle liquidazioni trimestrali, ed annullando, nel resto, l’avviso di rettifica impugnato.
A tale pronuncia seguiva la prosecuzione del giudizio davanti alla CTR della Basilicata, che confermava la legittimità della pretesa. A giudizio della commissione regionale, le movimentazioni riscontrate dai verbalizzanti, sui conti bancari intestati all’amministratore della società ed ai suoi familiari, non erano sufficienti a consentire all’A.F. di imputare alla società l’imposta evasa.
Avverso la citata sentenza, il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate (unico vero soggetto legittimato a proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale, così come rilevato in via pregiudiziale dalla Corte), formulavano ricorso per cassazione denunciando la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51.
A tal riguardo, per il primo motivo di ricorso, la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione ha chiarito che la CTR avesse errato nel ritenere che le movimentazioni riscontrate dai verbalizzanti, sui conti bancari intestati all’amministratore della S.r.l. ed ai suoi familiari, non fossero idonee a consentire all’Amministrazione finanziaria di imputare alla società l’imposta evasa, trattandosi di soggetti distinti dalla contribuente. Considerava, per contro, la ricorrente che l’estensione delle indagini bancarie a soggetti diversi dalla società, ma ad essi legate da un rapporto di immedesimazione organica, come l’ amministratore, fosse da ritenersi pienamente legittima. Tanto più che la ristretta compagine sociale della s.r.l. intimata, facente capo ad un unico, ristretto, gruppo familiare, legittimerebbe di per sé la presunzione – in difetto di elementi di prova di segno contrario – di riferibilità delle risultanze dei conti bancari intestati all’amministratore o ai soci, ed anche ai loro stretti congiunti, alla stessa società sottoposta a verifica fiscale.
Invero, la Cassazione ha riconosciuto la legittimità dell’accertamento fondato sulle movimentazioni bancarie non giustificate degli amministratori della società e dei loro familiari, osservando che “la presunzione in virtù della quale le movimentazioni bancarie di denaro, risultanti dai dati acquisiti dall’Ufficio, si presumono conseguenza di operazioni imponibili, può essere, pertanto, vinta dal contribuente solo qualora il medesimo offra la prova liberatoria che dei movimenti egli ha tenuto conto nelle dichiarazioni, ovvero che questi non si riferiscono ad operazioni imponibili. (Cass. 9573/2007; 21132/2011; 1418/2013). E, tuttavia, a tal fine, non è sufficiente una prova generica circa ipotetiche distinte causali dell’affluire di somme sui conti correnti, essendo, per contro, necessario che il contribuente fornisca la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni, ovvero della loro estraneità alla sua attività, con conseguente non rilevanza fiscale delle stesse (Cass. 1739/2007; 13818/2007; 9146/2010; 21303/2013)”.
Dalla lettura degli articoli 32, primo comma del DPR n. 600 del 1973 e 51, secondo comma, DPR n. 633 del 1972, è agevole desumere che i versamenti ed i prelevamenti bancari diano origine ad una presunzione legale relativa di maggiori ricavi o di maggiori imponibili IVA non dichiarati (salvo la prova di determinate circostanze contrarie); si tratta di presunzione che la legge trae da un fatto noto (versamento o prelevamento bancario), per risalire ad un fatto ignoto (occultamento di imponibile), dispensando da qualunque prova il fisco.
A tal riguardo, con la sentenza del 8 giugno 2005, n. 225 la Corte costituzionale aveva chiarito che “una presunzione siffatta non appare, poi, lesiva del canone di ragionevolezza di cui all’art. 3 della Costituzione, non essendo manifestamente arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati dai conti correnti bancari effettuati da un imprenditore siano stati destinati all’esercizio dell’attività d’impresa e siano, quindi, in definitiva, detratti i relativi costi, considerati in termini di reddito imponibile. Deve, infine, escludersi la violazione del principio di eguaglianza in danno dei titolari di conti bancari, essendo la disponibilità di tali conti elemento idoneo a legittimare il rilievo meramente probatorio attribuito al prelievo non giustificato di somme”.
Ed ancora. Giurisprudenza ormai costante ritiene che pur in assenza di un’espressa disposizione normativa, risulti ormai fuor di dubbio l’estendibilità delle indagini ai conti di terzi, ossia di soggetti non direttamente interessati dall’attività di controllo, ma legati da “alcuni elementi sintomatici”, come il rapporto di stretta contiguità familiare, l’ingiustificata capacità reddituale dei prossimi congiunti nel periodo di imposta, l’infedeltà della dichiarazione e l’attività di impresa compatibile con la produzione di utili, incombendo in ogni caso sulla società contribuente la prova che le ingenti somme rinvenute sui conti dei soci o dei loro familiari non siano ad essa riferibili (Cass. 374/2009; 26173/2011; 5849/2012; 20668/2014; 26829/2014).
Con riguardo al caso di specie, inoltre, se il soggetto sottoposto a verifica è una società di capitali a ristretta base, questo è elemento fortemente presuntivo che debbano ascriversi alla stessa società le movimentazioni sui conti bancari dei soci e perfino dei loro familiari.
Per quanto qui di interesse, il solo accoglimento di questo motivo di ricorso ha comportato la cassazione dell’impugnata sentenza, con rinvio ad altra sezione della CTR della Basilicata, che dovrà procedere a nuovo esame della controversia, pronunciandosi anche sulla domanda subordinata della contribuente, concernente la rideterminazione delle sanzioni, rimasta assorbita dalla decisione cassata.
Testo del provvedimento
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