ISSN 2385-1376
Testo massima
Nel caso di assistenza e difesa di una parte contro più parti aventi la stessa posizione processuale, all’avvocato compete un unico onorario, indipendentemente dalla riunione delle più cause nelle quali assistenza e difesa è esercitata, non potendo l’onere della mancata riunione essere posto a carico del cliente.
L’applicazione dell’art. 5, comma 4, D.M. 127/2004, non esclude la possibilità di liquidare unitariamente la parcella dovuta in dodici giudizi identici, con difese identiche e identico iter processuale, essendo sostanzialmente equiparabile la posizione di chi difenda più persone aventi posizioni processuali identiche a quella di chi difenda una sola parte nei confronti di più parti in situazione processuali del tutto identiche, seppure a fronte di cause non riunite.
Con la decisione in rassegna, la n. 17147 del 26.08.2015, la Corte di Cassazione, Sezione Seconda, Pres. Oddo Rel. Parziale, è pervenuta all’affermazione del sopra enunciato principio di diritto, affermando che, da una parte non può gravare l’onere della mancata riunione sul cliente, e, dall’altro, che in tali ipotesi l’unico onorario può essere percentualmente aumentato soltanto se la prestazione abbia comportato l’esame di particolari situazioni di fatto o di diritto.
Per la Suprema Corte, quindi, non è esclusa la possibilità di liquidare unitariamente la parcella dovuta in più giudizi identici, con difese identiche e identico iter processuale, indipendentemente dalla riunione delle cause nelle quali l’attività difensiva è stata esercitata.
In verità la questione non è nuova ai giudici di piazza Cavour, i quali già in passato sono stati investiti della fattispecie in esame.
In particolar modo, occorre richiamare la sentenza della Cassazione n. 21064 del 01.10.2009, ove si è specificato che ai fini della determinazione del compenso dovuto al difensore che abbia assistito in giudizio una pluralità di parti, deve procedersi a una sola liquidazione delle spese processuali, a meno che l’opera defensionale, pur se formalmente unica, non abbia comportato la trattazione di differenti questioni in relazione alla tutela di posizioni giuridiche non identiche. La fattispecie di cui al riferito comma 2 dell’art. 2 del decreto n. 55/2014 sui parametri, si riferisce all’ipotesi di pluralità di soggetti aventi nello stesso processo una posizione giuridica, sostanziale e processuale comune (Cass. 13 dicembre 1993, n. 11203; Cass. 19febbraio 1993, n. 2026).
La regola del compenso unico aumentabile in caso di difesa di più parti è stata estesa dall’art. 4, comma 1, del decreto n. 55/2014 anche al caso della difesa di una parte contro più parti. Infatti la norma statuisce che “la disposizione di cui al periodo precedente si applica quando più cause vengono riunite, dal momento dell’avvenuta riunione e nel caso in cui l’avvocato assiste un solo soggetto contro più oggetti”.
Ebbene, pare che i termini della vicenda sembrano ruotare tutti intorno al discrimen tra identità o meno delle posizioni giuridiche tutelate nei diversi giudizi.
Sul punto si è già chiarito che identità di “posizione processuale” vuol dire identità di petitum e di causa petendi, come può avvenire nei giudizi di divisione o tra coeredi costituiti in giudizio (Cass. 3 aprile 1969, n. 1101), ovvero quando più parti richiedono un identico provvedimento.
Il fattore della identità della causa petendi e petitum è ciò che in sostanza legittima il litisconsorzio facoltativo come disciplinato dall’art. 103 c.p.c., con ciò differenziandosi dal precedente articolo 102 c.p.c., ovvero l’ipotesi di litisconsorzio necessario.
Causa petendi. Letteralmente “ragione del domandare” indica l’insieme dei fatti che, alla luce della norma di legge invocata, hanno l’effetto di costituire il diritto oggettivo fatto valere in giudizio con la domanda proposta.
L’incidenza della causa petendi sulla disciplina del processo è notevole. Rappresentando, infatti, assieme al petitum, uno degli elementi oggettivi che contribuiscono all’identificazione dell’azione esercitata.
In quanto elemento identificativo della domanda, la causa petendi interviene anche quando occorra determinare la sussistenza di vincoli di connessione oggettiva tra cause diverse. Può accadere infatti che tra due cause distinte si verifichi un’identità (anche parziale) della fattispecie costitutiva, o addirittura che una causa, rientrando nella fattispecie costitutiva di un altro diritto, si ponga come questione pregiudiziale rispetto alla decisione sul rapporto sostanziale dedotto in giudizio in via principale.
Col termine petitum, si fa invece riferimento al contenuto della domanda stessa, ovvero al suo oggetto. A tal proposito, si è soliti distinguere tra petitum immediato e petitum mediato a seconda che la domanda di tutela giurisdizionale sia rivolta nei confronti del giudice, o della parte convenuta. Nel primo caso, ci si riferisce al contenuto del provvedimento richiesto al giudice, ovvero la natura della tutela richiesta (sentenza di mero accertamento, condanna, etc). con il termine petitum mediato, ci si riferisce, invece, alla cosa oggetto della domanda, ovvero al bene della vita che si vuole ottenere dal convenuto.
Il fattore che consente il cumulo processuale soggettivo è dato dalla connessione oggettiva, ossia l’identità del petitum e/o causa petendi fra le azioni esperite in giudizio.
Come anticipato, la vicenda oggetto dell’odierno commento origina dal ricorso per cassazione proposto da due avvocati, che lamentavano l’applicazione di un unico onorario (sia pure aumentato), per la difesa di una parte nei confronti di più parti aventi la stessa posizione processuale, sul dato fattuale e, prima ancora, normativo per cui la tariffa approvata con d.m. n. 127/2004 prevede in tal caso, l’applicazione di un unico onorario soltanto laddove i giudizi separati proposti nei confronti della parte difesa siano stati riuniti. Lamentavano altresì, la liquidazione di un unico onorario nonostante dell’attività difensiva fossero stati incaricati due professionisti.
La tematica è meritevole di particolare attenzione, poiché offre lo spunto e l’occasione per esaminare la molteplicità di aspetti che investono le problematiche relative alla determinazione dei compensi dovuti ai professionisti (avvocati) in ipotesi di specie.
In verità, occorre far luce su due questioni, e prima ancora rispondere ad un duplice interrogativo: come si calcolano gli onorari spettanti al professionista (avvocato) nell’ipotesi di processo cumulativo? E la seconda, la proposizione separata di cause connesse sotto il profilo dell’identità oggettiva ad opera di più parti difese dal medesimo avvocato come può incidere sulla quantificazione degli onorari?
Ebbene, il presente commento, data la limitazione dello stesso, si limiterà ad affrontare soltanto il primo dei due quesiti, lasciando al secondo una risposta soltanto marginale e sommaria, seppure di altrettanto importante attenzione.
La norma di riferimento è costituita dall’art. 5 comma 4 d.m. 8 aprile 2004, n. 127, in base al quale se in una causa l’avvocato assista e difenda più persone aventi la stessa posizione processuale l’onorario unico può essere aumentato per ogni parte oltre la prima del 20% fino ad un massimo di dieci e, ove le parti siano in numero superiore, del 5% per ciascuna parte oltre le prime dieci e fino ad un massimo di venti. La stessa disposizione trova applicazione, ove più cause vengano riunite, dal momento dell’avvenuta riunione e nel caso in cui l’avvocato assista e difenda una parte contro più parti quando la prestazione comporti l’esame di particolari situazioni di fatto o di diritto.
Tale disposizione è stata interpretata dalla giurisprudenza di legittimità nei termini che di qui fanno seguito. a) l’aumento dell’unico onorario spettante al difensore di più persone aventi la medesima posizione processuale è demandato di volta in volta al potere discrezionale del giudice, ed opera anche ove, trattandosi di più processi distinti, sia mancato un provvedimento di riunione (Cass. 2 settembre 2009, n. 19089); b) l’esercizio di tale potere discrezionale, che non comporta l’introduzione di un minimo inderogabile della tariffa, non è sindacabile in sede di legittimità (Cass. 2 febbraio 2007, n. 2254); c) tale facoltà di aumento non è estensibile né alle spese, né ai diritti di procuratore, e si riferisce, in caso di riunione di cause, alla sola attività difensiva svolta dopo la riunione (Cass. 22 luglio 2009, n. 17095); d) nell’ipotesi in cui la riunione dei processi derivi da litisconsorzio facoltativo, poiché l’attività professionale si estende allo studio delle posizioni e situazioni sostanziali e processuali di ciascuna parte avversa, all’esame degli scritti difensivi relativamente diversificati, alla ricerca di atti e documenti particolari per ciascuna di esse, alla stesura di tante comparse quanti sono gli avversari, è necessario che, ai fini della liquidazione dell’ onorario, dei diritti e delle spese, il giudice esamini le posizioni di ciascuna parte e l’attività concreta svolta dal difensore rispetto a ciascuna di esse, frazionando, secondo il suo prudente apprezzamento, le voci degli onorari relative alle prestazioni comuni ai litisconsorti, nonché quelle attinenti alle spese ed ai diritti di procuratori, ed applicando per intero a chi di dovere quelle riguardanti le posizioni peculiari di ciascuno degli avversari (Cass. 26 febbraio 1994, n. 1968); e) la norma in commento presiede anche alla liquidazione, a carico del soccombente, del compenso spettante al difensore di più parti vittoriose con identica situazione processuale, in base al principio generale secondo cui il soccombente non può essere tenuto a rimborsare alla parte vittoriosa più di quanto questa debba al difensore, in relazione all’attività concretamente svolta (Cass. 12 agosto 2010, n. 18624); f) non essendo norma di carattere eccezionale, posto che i criteri di liquidazione che la informano sono improntati al generale principio di corrispondenza e di adeguatezza dell’onorario del professionista all’opera effettivamente prestata, l’art.5, quarto comma cit. è suscettibile di applicazione analogica all’ipotesi, governata dal medesimo principio, della difesa dell’unico cliente contro più parti (Cass. 15 gennaio 1996, n. 257).
Ma andiamo con ordine.
La vicenda prende avvio dall’espletamento di un incarico professionale conferito da uno stesso cliente a due avvocati per una molteplicità (12 nel numero esatto) di contenziosi aventi ad oggetto identiche situazioni sostanziali nei confronti di ulteriori e diverse parti processuali, ed instaurando così 12 differenti giudizi non riuniti (seppure l’identità oggettiva della posizione giuridica sottostante).
Ebbene, il Tribunale di Latina, accertato che l’attività difensiva in questione, fosse stata effettivamente espletata e atteso che trattavasi di un unico cliente e gli incarichi professionali riguardavano questioni del tutto similari; che le difese erano state, perciò del tutto identiche, sia per quel che riguarda la memoria di costituzione che i verbali di causa, ritenne opportuno applicare, in forza del citato art. 5 comma 4 della tariffa professionale (approvata con d. n. 392/1990), la liquidazione con un’unica parcella per entrambi i difensori.
Il criterio riportato nel DM 392/90, – affermava l’organo giudicante pur non richiamato nel successivo 585/94, può essere comunque utilizzato dal giudice come orientamento nella “valutazione comparativa dell’attività difensiva svolta dall’avvocato per il medesimo cliente in altre controversie aventi analogo oggetto ed involgenti argomenti comuni e spesso ripetitivi”. (Cass. 2001 n. 15757).
È perciò “demandato al potere discrezionale del giudice di merito lo stabilire, di volta in volta, in caso di assistenza e difesa di più parti aventi la stessa posizione processuale, ed anche ove – trattandosi di più processi distinti – sia mancato un provvedimento di riunione, l’aumento dell’unico onorario a norma dell’art. 5, comma 4 della tariffa professionale approvata con d. n. 392/1990 (
)”.
Quanto sinora affermato, veniva impugnato dai due professionisti, i quali tutt’al contrario lamentavano che il Tribunale di merito, avesse erroneamente ritenuto di poter liquidare unitariamente le 12 parcelle, emesse per i 12 distinti giudizi, rilevando che solo il DM 392 del 1990 consentiva la liquidazione unitaria anche nel caso di mancata riunione, che non era, tuttavia, consentito dal DM 2004, n. 127 applicabile al caso di specie.
Di qui, sempre ad avviso delle parti ricorrenti, la violazione e falsa applicazione di legge, ex art. 111 Costituzione, in combinato disposto con il Regolamento adottato con Decreto Ministeriale 8 aprile 2004 n. 127 del Ministero della Giustizia, Determinazione degli onorari dei diritti e delle indennità spettanti agli avvocati per le prestazioni giudiziali in materia civile, amministrativa, tributaria, penale e stragiudiziali, con riferimento alle disposizioni di cui agli artt. 5 comma 4, e 7 in combinato disposto con il D.M. 585/945, all’art. 2233 c.c., all’art. 45 Cod. Deont. Forense, ed all’art. 36 Cosi.
“Il Tribunale di Latina, pur nella vigenza, del D.M. 127/2004… – ha ritenuto di applicare al caso di specie la legge 392/90”, che prevede che “nel caso di procedimenti distinti relativi a pluralità di parti aventi identica posizione processuale, pur in mancanza di un formale provvedimento di riunione, vada comunque liquidata un unica parcella, eventualmente aumentata nella misura prevista dalla tariffa predetta”.
Tale normativa non può, tuttavia, essere applicata al caso di specie in quanto la vigente disciplina, in materia di tariffe forensi, è il D.M. 127/2004, il quale, recepite altresì le disposizioni di cui al D.M. 585/94, all’art. 5, comma 4 recita: “Qualora in una causa l’avvocato assista e difenda più persone aventi la stessa posizione processuale l’onorario unico può essere aumentato… La stessa disposizione trova applicazione, ove più cause vengano riunite, dal momento dell’avvenuta riunione e nel caso in cui l’avvocato assista e difenda una parte contro più parti quando la prestazione comporti l’esame di particolari situazioni di fatto o di diritto”.
Nel caso in esame, – proseguono i ricorrenti -, “poiché i procedimenti sopraindicati non sono stati oggetto di provvedimento di riunione… non ricorrono gli estremi che consentono al giudicante di decurtare discrezionalmente l’onorario richiesto procedendo alla liquidazione di un onorario unico soggetto all’aumento percentuale previsto dalla legge, a fronte dell’avvenuta trattazione di n. 12 procedimenti”.
Questi i motivi di ricorso, gli stessi motivi che vagliati scrupolosamente dai giudici ermellini, venivano dichiarati infondati e inammissibili con conseguente rigetto del ricorso de quo.
La Suprema Corte, in verità, non ha fatto altro che recepire integralmente quanto già affermato dal giudice di merito in sentenza, allineandosi con l’orientamento ormai consolidato della stessa giurisprudenza di legittimità.
Il Tribunale, – contrariamente a quanto osservato dalle parti ricorrenti ha fatto corretta applicazione del d.m. n. 127/2004, ritenendo, in base all’art. 5, 4 comma, che fosse possibile nel caso in questione liquidare un unico onorario. (
) Quest’ultimo, seppure senza diffusamente motivare sul punto, ha ritenuto che la specificità della vicenda consentisse di procedere ad un’unica liquidazione.
Dodici identici giudizi, con identica questione posta e di limitato e circoscritto contenuto, per i quali, difensori ricorrenti, svolsero identiche difese. Non solo. Ma da quanto risulta dagli atti, le dodici diverse cause, seppure non formalmente riunite, furono trattate contemporaneamente nelle stesse udienze con evidenti economie e ripetitività delle stesse attività procuratorie.
Così, a giudizio della Suprema Corte, valorizzando l’ultima parte della norma citata che, nel prevedere testualmente due distinte ipotesi (“la stessa disposizione trova applicazione, ove più cause vengano riunite, dal momento dell’avvenuta riunione e nel caso in cui l’avvocato assista e difenda una parte contro più parti quando la prestazione comporti l’esame di particolari situazioni di fatto o di diritto”) ribadisce, da un lato, il principio per cui, nel caso di assistenza e difesa di una parte contro più parti aventi la stessa posizione processuale all’avvocato compete un unico onorario, indipendentemente dalla riunione delle più cause nelle quali la assistenza o difesa è esercitata, non potendo l’onere della mancata riunione essere posto a carico del cliente (la disposizione si applica, a prescindere dall’esistenza, o meno, di un’ipotesi di litisconsorzio necessario, laddove a fronte di diversi giudizi con questioni sostanzialmente identiche sia stato apprestato un sistema difensivo unico per tutti i clienti), e, dall’altro, quello che in tale ipotesi l’unico onorario può essere percentualmente aumentato soltanto se la prestazione abbia comportato l’esame di particolari situazioni di fatto o di diritto.
I criteri così stabiliti valgono sia nei confronti del cliente sia nei confronti della parte soccombente (Cass. 16 dicembre 1982 n. 6935, in questa Rivista 1983, 1530. Per ulteriori riferimenti v. M. de Tilla, La professione di avvocato, II, Milano 1994, 359.
Proprio con riguardo alla liquidazione degli onorari a carico della parte soccombente, la disposizione dell’art. 5 non comporta l’introduzione di un minimo inderogabile della tariffa, bensì importa l’esercizio di un potere discrezionale del giudice, senza che lo stesso sia vincolato all’aumento previsto ogni qualvolta si verifichi l’ipotesi in essa considerata (Cass. 21 marzo 1994 n. 2649, Giust. civ. Mass. 1994; Cass. 7 aprile 1994 n. 3273, ivi 1994.).
Va da sé, dunque, che la pretesa creditoria così come proposta dai due professionisti e, alla luce degli orientamenti giurisprudenziali in materia, non poteva che essere rigettata.
Si era fatto cenno all’inizio del presente commento, dell’ulteriore ed inversa ipotesi che si verifica allorché il medesimo difensore di più parti, pur potendo cumulare in un solo processo cause tra loro connesse (in senso proprio o improprio) per oggetto e/o titolo, instauri separati giudizi, tanti quanti le parti patrocinate, per poi pretendere distinte liquidazioni di spese, diritti e onorari, e si era già premesso di procedere ad una breve e sommaria trattazione.
La domanda di partenza era la seguente: La proposizione separata di cause connesse ad opera di più parti difese dal medesimo avvocato come può incidere sulla quantificazione degli onorari?
Ebbene se la situazione è quella per cui un medesimo avvocato che si trovi a difendere ed assistere più parti, e pur potendo cumulare in un solo processo cause tra loro connesse per oggetto e/o titolo, proceda ad instaurare una pluralità di giudizi separati, tanti quanti le parti patrocinate, per poi pretendere distinte liquidazioni, ben si possono immaginare quali siano gli effetti distorsivi di una simile prassi operativa.
Si tratta, in verità, di ipotesi assai frequenti e per nulla isolate, che proprio in vista di quella paventata ipotesi di abuso del processo, hanno indotto la Suprema Corte a volgere verso l’applicazione di una sola liquidazione delle spese, come se il processo fosse stato unico sin dall’inizio. Al riguardo, così motiva, la S.C.: “La giurisprudenza della Corte ha già avuto modo di affrontare il tema dell’utilizzo dello strumento processuale con modalità tali da arrecare non solo un danno al debitore senza necessità o anche solo apprezzabile vantaggio per il creditore ma anche da interferire con il funzionamento dell’apparato giudiziario ed ha ritenuto una tale condotta lesiva sia del canone generale di buona fede oggettiva e correttezza, in quanto contrastante con il dovere di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., sia contraria ai principi del giusto processo in quanto la inutile moltiplicazione dei giudizi produce un effetto inflattivo confliggente con l’obiettivo costituzionalizzato della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost.” (sez. un., sent. 15 novembre 2007, n. 23726).
Testo del provvedimento
SEGNALA UN PROVVEDIMENTO
COME TRASMETTERE UN PROVVEDIMENTONEWSLETTER - ISCRIZIONE GRATUITA ALLA MAILING LIST
ISCRIVITI ALLA MAILING LIST© Riproduzione riservata
NOTE OBBLIGATORIE per la citazione o riproduzione degli articoli e dei documenti pubblicati in Ex Parte Creditoris.
È consentito il solo link dal proprio sito alla pagina della rivista che contiene l'articolo di interesse.
È vietato che l'intero articolo, se non in sua parte (non superiore al decimo), sia copiato in altro sito; anche in caso di pubblicazione di un estratto parziale è sempre obbligatoria l'indicazione della fonte e l'inserimento di un link diretto alla pagina della rivista che contiene l'articolo.
Per la citazione in Libri, Riviste, Tesi di laurea, e ogni diversa pubblicazione, online o cartacea, di articoli (o estratti di articoli) pubblicati in questa rivista è obbligatoria l'indicazione della fonte, nel modo che segue:
Autore, Titolo, in Ex Parte Creditoris - www.expartecreditoris.it - ISSN: 2385-1376, anno
Numero Protocolo Interno : 445/2015