ISSN 2385-1376
Testo massima
Il giudizio di opposizione allo stato passivo ha natura impugnatoria ed è retto dal principio di immutabilità della domanda, pur non configurandosi come appello, ma quale procedimento autonomo, integralmente regolato dall’art. 99 della legge fallimentare (R.D. n. 267 del 1942).
Detto giudizio si presenta a carattere tipicamente sostitutivo, tale da promuovere il diretto riesame delle stesse situazioni fatte valere con la domanda di ammissione al passivo, né comporta la necessità di far valere specifici motivi di gravame, stante la inapplicabilità della normativa propria del giudizio di appello.
Il giudizio in parola, pertanto, non attribuisce al giudice dell’opposizione la devoluzione piena ed automatica del contenzioso, ma onera il ricorrente della censura del provvedimento, con le preclusioni previste dalla richiamata norma.
Proposta, dunque, opposizione allo stato passivo in conseguenza della mancata ammissione del credito vantato dal professionista per l’attività stragiudiziale prestata nei confronti del soggetto poi fallito, in quanto unitariamente considerata con l’attività giudiziale, fatta valere con l’opposizione la sussistenza dell’attività predetta e richiesta la determinazione degli onorari sia per la fase stragiudiziale che per quella giudiziale, è legittimo il riesame, da parte del giudice del gravame, di entrambi i profili (nella specie respinto il primo, in quanto ritenuta non provata la prestazione di attività stragiudiziale, ed accolto il secondo limitatamente all’unica attività riconosciuta, ovvero quella giudiziale).
Questo il principio affermato dalla Corte di Cassazione, Sezione Prima, Pres. Ceccherini Rel. Di Virgilio, con sentenza n. 12047, depositata in data 10.06.2015.
La sentenza in commento ribadisce un principio che si trova già affermato in giurisprudenza, ossia quello relativo alla natura impugnatoria del giudizio di opposizione allo stato passivo, nonostante lo stesso non si configuri quale appello, bensì quale procedimento autonomo integralmente regolato dall’art. 99 della legge fallimentare.
Il particolare caso giunto allo scrutinio della Suprema Corte, riguardava la vicenda di un avvocato il cui credito per compensi professionali, relativi alla prestazione svolta a favore della società fallita, era stato ammesso dal Giudice delegato al fallimento solo con riferimento alla attività giudiziale e non anche stragiudiziale (in quanto non provata).
Deduceva l’avvocato che, una volta affermata dal Giudice Delegato la unitarietà della prestazione, stante la strumentalità della attività stragiudiziale rispetto a quella giudiziale, lo stesso Giudice avrebbe dovuto calcolare il compenso sommando le due domande, essendo rimasto incontestato, per difetto di impugnazione da parte della curatela, il criterio di determinazione dell’onorario, stabilito dal G.D. nella media tra il minimo ed il massimo della tariffa forense su cui, quindi, si sarebbe formato giudicato.
In buona sostanza, le valutazioni espresse dal Giudice delegato sulla unitarietà del compenso, obbligavano il Giudice della opposizione al passivo ad esaminare tutta la causa petendi, secondo la qualificazione giuridica adottata dal G.D., di talché vi sarebbe stata violazione dell’art.112 c.p.c., che impone la pronuncia su tutta la domanda. Formatosi il giudicato sul criterio di liquidazione fatto proprio dal G.D. nella media tra minimo e massimo della tariffa forense rimarrebbe, però, preclusa la adozione di un diverso criterio di determinazione dell’onorario stesso.
In questo senso, i quesiti posti al Supremo Collegio, ai quali lo stesso ha dato risposta negativa rigettando il ricorso, ribadendo:
1) la natura impugnatoria del giudizio di opposizione allo stato passivo del fallimento, benché lo stesso non possa configurarsi come un vero e proprio appello, in quanto dotato di una sua autonomia così come previsto dall’art. 99 L.F.;
2) il carattere immutabile della domanda e tipicamente sostitutivo del procedimento, tale da promuovere il diretto riesame delle situazione fatte valere con la domanda di ammissione al passivo;
3) la non necessità di far valere specifici motivi di gravame in assenza di una disciplina, per quanto attiene l’art. 99 L.F., corrispondente alle norme degli art. 345 e 346 c.p.c., ancorché debba considerarsi operante il principio devolutivo, per cui il giudice della opposizione deve essere investito da apposita domanda sulla base dell’immanente principio dispositivo, certamente valevole per il giudizio de quo;
4) di conseguenza, la parte che si duole della non correttezza del provvedimento del Giudice delegato è onerata a censurare specificamente il provvedimento con tutte le preclusioni di cui al comma 4 della norma citata, previste anche per parte resistente ex successivo comma 6, che riguardano, invero, la necessità di indicare nel ricorso, a pena di decadenza, le eccezione processuali e di merito non rilevabili di ufficio nonché i mezzi di prova di cui intenda avvalersi e dei documenti prodotti.
In tale contesto, il giudizio di opposizione allo stato passivo si atteggia certo come giudizio di carattere impugnatorio, però non del progetto dello stato passivo depositato dal curatore, ma del provvedimento del Giudice delegato per cui l’opponente deve censurare quest’ultimo e non il progetto (cfr. Tribunale di Roma, 17/03/2014).
Essendo fondato sul principio dispositivo nonché sulle ordinarie regole di distribuzione dell’onere probatorio, va da sé che grava sull’opponente l’onere di dimostrare l’esistenza del credito di cui si chiede l’ammissione.
Nel caso di specie, l’avvocato non aveva dimostrato lo svolgimento della attività stragiudiziale, mentre per quanto riguarda le altre questioni giuridiche sollevate, la Cassazione ha ritenuto che le stesse non fossero meritevoli di accoglimento, estendendosi la cognizione del giudice del gravame al diretto esame della fondatezza della domanda dell’avvocato, correttamente determinata nel quantum, sulla base dell’applicato criterio da parte del G.D. della misura media tra minimo e massimo della tariffa forense e della mancata prova dello effettivo svolgimento della attività stragiudiziale
Una particolare questione che merita di essere segnalata in quanto connessa con la stessa natura impugnatoria del procedimento di opposizione allo stato passivo, riguarda il tema del c.d. ius novorum, specificamente previsto nel giudizio ordinario di appello dall’art. 345 c.p.c.. La natura impugnatoria del giudizio di opposizione, ancorché quest’ultimo non possa configurarsi come un vero e proprio appello, non determinerebbe alcuna preclusione sulla base della citata disposizione processuale, con la conseguenza che il curatore non sarebbe tenuto a circoscrivere le proprie difese nell’ambito delle eccezioni dedotte nella fase precedente poiché il thema probandum può essere ampliato dalla curatela con nuove allegazioni istruttorie e con la formulazione di eccezioni in senso ampio, non preventivamente sottoposte all’esame del giudice delegato, al fine di non comprimere il diritto di difesa (v. Cass. 04/06/2012 n. 8929).
Secondo un precedente orientamento (Cass. 22/03/2010 n. 6900), il curatore non potrebbe proporre domande nuove rispetto a quelle proposte nel grado precedente, quali le domande riconvenzionali, non essendo tali domande previste dal comma 5 dell’art. 99 L.F.; quest’ultimo, invero, contiene la precisa indicazione del contenuto della memoria difensiva del curatore fallimentare e specificamente delle difese che in quella sede devono essere svolte a pena di decadenza, comprensiva delle eccezione e delle prove, mentre non fa eccezione di eventuali domande riconvenzionali.
Deve, al riguardo, tuttavia rilevarsi che la contraddizione fra gli anzidetti due orientamenti è soltanto apparente, laddove si ponga mente alla decisione di altra Cassazione (04/06/2012 n. 8829), la quale ha precisato che il riesame a cognizione piena del risultato della cognizione sommaria del rito della verifica, demandato al giudice della opposizione, esclude l’immutazione del thema disputandum, ossia la ammissibilità di domande nuove non proposte nel grado precedente, ma non l’immutabilità del thema probandum, aperto a nuove allegazioni istruttorie da considerarsi ammissibili proprio in funzione di agevolare il diritto di difesa del curatore, anche attraverso eccezioni non sottoposte all’esame del G.D., in ossequio a quello che la Corte definisce “principio della parità della armi”, evincibile, peraltro, dal dato testuale del comma 7 dell’art. 99 L.F., secondo cui il curatore che intende costituirsi, deve farlo depositando memoria difensiva contenente, a pena di decadenza, l’indicazione precisa delle difese, contenenti le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio e delle prove.
Il giudizio di opposizione al passivo non può essere considerato una prosecuzione della fase di verifica dei crediti e, quindi, anche sulla base del ricordato principio dispositivo che lo caratterizza, è stato precisato che, comunque, il creditore è onerato della produzione documentale già oggetto di allegazione nella fase di verifica , non potendo provvedervi ex officio il Giudice e non essendo sufficiente avanzare con il ricorso introduttivo istanza di acquisizione, a meno che quest’ultima non debba interpretarsi come autorizzazione, richiesta fin dall’atto introduttivo, al ritiro della documentazione, consentendo di escludere che l’opponente sia rimasto colpevolmente inattivo nell’assolvimento dell’onere, posto a suo carico, di indicare i documenti posti alla base della opposizione (cfr. Cass. 19.11.2009 n.24445; Cass. 8.11.2010 n. 22711; Cass. 16.01.2012 n. 493; Cass. 14.07.2014 n. 16101). Viene fatto salvo il potere di produrre documentazione attestante l’esistenza del credito, diversa da quella in precedenza allegata, solo quando essa sia ritenuta dal Giudice indispensabile per la decisione ed il creditore opponente si sia trovato incolpevolmente nella provata impossibilità di assolvere all’incombente (Cass. 18.03.2010 n 6621).
Testo del provvedimento
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