ISSN 2385-1376
Testo massima
Le associazioni dei consumatori non possono far valere in via d’urgenza il divieto di anatocismo di cui al novellato art.120, secondo comma, TUB.
La conferma arriva dal Tribunale di Parma, in persona della dott.ssa Antonella Ioffredi, che con ordinanza del 26 giugno 2015 ha respinto la richiesta inibitoria d’urgenza formulata da un’associazione consumeristica ai sensi del combinato disposto degli artt. 140, comma 8 del Codice del Consumo e 669-bis e ss. Cpc.
A mancare, come già chiarito di recente dal Tribunale di Torino (dott. Luca Martinat, 16.06.2015), è infatti il c.d. periculum in mora, in quanto non possono ravvisarsi “giusti motivi di urgenza” di per sé, genericamente, nel carattere diffuso di un danno ad una collettività di consumatori indeterminata.
Di fatto, resta sfornito di applicazione immediata il nuovo articolo 120, comma 2 TUB, che sancirebbe secondo l’interpretazione favorevole ai consumatori-correntisti il divieto assoluto di produzione di interessi anatocistici.
La questione è nota e richiede un breve riepilogo delle innovazioni normative e delle recenti decisioni giurisprudenziali.
La legge n.147/2013, in vigore dal 1 gennaio 2014, ha modificato il testo dell’art. 120, secondo comma, del Testo Unico delle disposizioni in materia Bancaria e Creditizia (TUB), nei termini che seguono:
“Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che:
a) nelle operazioni in conto corrente sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori;
b) gli interessi periodicamente capitalizzati non possano produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale”;”
Il legislatore demanda al CICR (come già accadeva con la formulazione previgente, attuata poi con la delibera del Comitato del 9 febbraio 2000) il compito di chiarire un dettato normativo obiettivamente oscuro e di darvi piena operatività, fornendo le modalità applicative della novella.
In mancanza allo stato di una delibera interministeriale che vada a sostituire (formalmente) la precedente normativa regolamentare, proliferano decisioni giurisprudenziali contrastanti, sulle richieste dei consumatori di dare immediata applicabilità a quello che sembrerebbe (pur nell’oscuro dettato del legislatore del 2013) un divieto tout court di produzione di interessi anatocistici.
Sulle pagine di questa rivista si è già dato atto delle note ordinanze del Tribunale di Milano del 3 e 4 aprile 2015, che avevano suscitato l’allerta del mondo bancario, aderendo alla tesi consumeristica dell’immediata vigenza dell’art.120, secondo comma TUB.
In seguito, il Tribunale di Cosenza (prima), con provvedimento del 27 maggio 2015 ed il già citato Tribunale di Torino (poi) si erano espressi in senso contrario.
Con la pronuncia in commento si aggiunge un ulteriore “tassello” al dibattito giurisprudenziale (e mediatico) scaturito dalle pronunce milanesi.
La tutela inibitoria non può trovare accoglimento, non essendovi alcun pregiudizio immediato alle ragioni dei clienti.
Riprendendo le parole del Tribunale di Torino, trova conferma la tesi per la quale “il decorso di un notevole lasso di tempo dall’inizio della condotta contestata nella piena notorietà della condotta stessa, prima dell’introduzione del giudizio cautelare, fa venire meno quelle esigenze di tempestività dell’intervento giudiziale sottese alla necessità di tutela del consumatore”.
A ciò il Tribunale di Parma aggiunge l’ulteriore considerazione che il periculum in mora “cade” di fronte al lungo lasso di tempo intercorrente tra la (formale) entrata in vigore del novellato art. 120, secondo comma, TUB e la proposizione del ricorso da parte dell’Associazione istante.
Per tutte queste ragioni, il giudice emiliano ha respinto il ricorso, confermando tutte le criticità emerse intorno ad una normativa “infelice”, che lascia troppo margine di discrezionalità ai Tribunali chiamati a pronunciarsi sul punto.
In questa sede non possono che ribadirsi tutti i dubbi espressi su questa Rivista circa la possibilità di applicare immediatamente il (presunto) divieto di anatocismo in questione.
La novella del 2013 “pecca” in termini di chiarezza, logicità e ragionevolezza in sé del dettato normativo, circostanza che da sola potrebbe valerne l’incostituzionalità.
L’espressione “gli interessi periodicamente capitalizzati non possano produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale” è oscura ed in sé contraddittoria, tanto che il Tribunale di Torino aveva già affermato che “il dato letterale
PARREBBE CONSENTIRE una prima capitalizzazione degli interessi”, formulazione che va nettamente in contrasto con la successiva “nelle successive operazioni di capitalizzazione [gli interessi] sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale”.
Ed infatti, la contraddizione è tutta nei termini che seguono: o gli interessi sono “divenuti capitale” e dunque non è più dato distinguersi tra obbligazione accessoria e obbligazione principale, ovvero gli interessi conservano la propria natura (dunque non sono capitalizzati!) ed allora potrebbe sì ritenersi che la successiva produzione di interessi integri una fattispecie anatocistica.
Si è poi già sottolineato che la normativa sembra in aperto contrasto con il diritto comunitario, essendo la capitalizzazione degli interessi una pratica comune in tutti gli Stati Membri dell’Unione, nessuno dei quali prevede un divieto tout court come quello (che sembrerebbe) sancito dal legislatore italiano.
Un simile divieto sembrerebbe pertanto in contrasto con il Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), nella parte relativa alla libera prestazione dei servizi, libertà di stabilimento ed alla libera circolazione dei capitali e ciò ne determinerebbe l’incostituzionalità, per il tramite dell’art.117, comma 1 Cost. (“La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”).
A ciò si aggiunga che l’irragionevolezza della tesi che propende per l’immediata applicazione del divieto di anatocismo non considera le esigenze (tecnico-contabili) del sistema bancario di adeguare i complessi sistemi informatici alla novella normativa, rischiando di mettere in pericolo la stessa tutela del risparmio, di cui all’art. 47 Cost.
Sembra, alfine, che la tesi consumeristica sia connotata da troppe contraddizioni e troppe controindicazioni per poter essere accolta. L’ultimo arresto del Tribunale di Parma lo conferma, ponendosi, peraltro, in espresso contrasto con le ordinanze meneghine dello scorso aprile.
Testo del provvedimento
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