ISSN 2385-1376
Testo massima
Il crediti del professionista derivanti dall’attività di consulenza ed assistenza prestata in favore del debitore ammesso al concordato preventivo, per la redazione e la presentazione della relativa domanda, sono prededucibili nel fallimento consecutivo ai sensi del novellato art. 111, comma 2, legge fallimentare (R.D. n. 267 del 1942).
Questo è quanto statuito dalla Sezione Prima della Corte di Cassazione, Pres. Ceccherini Rel. Cristiano, con la sentenza n. 4486, depositata in cancelleria il 5 marzo 2015, con la quale la Corte ha avuto occasione di affrontare e chiarire le problematiche relative alla prededucibilità dei crediti nel caso in cui a proporre la domanda sia il professionista che ha prestato la propria attività in favore del debitore in una fase antecedente l’ammissione al concordato preventivo e propedeutica alla stessa.
La Corte, con la sentenza in commento, ha fatto chiarezza sulla portata dell’art. 111, comma 2, della Legge Fallimentare, circoscrivendo la prededucibilità ed àncorandola a quei crediti sorti “in occasione” o “in funzione” delle procedure concorsuali.
Dell’argomento la Corte di Cassazione aveva già avuto modo di occuparsi nel 2012 (cfr. Cass. Civ. n. 3402/2012), laddove aveva statuito, in merito all’art. 111 L. fall., che “Ai fini della prededucibilità dei crediti nel fallimento, il necessario collegamento occasionale o funzionale con la procedura concorsuale, ora menzionato dall’art. 111 l. fall., va inteso non soltanto con riferimento al nesso tra l’insorgere del credito e gli scopi della procedura, ma anche con riguardo alla circostanza che il pagamento del credito, ancorché avente natura concorsuale, rientri negli interessi della massa e dunque risponda agli scopi della procedura stessa, in quanto utile alla gestione fallimentare“.
Il caso posto all’esame della Corte di Cassazione con la sentenza in commento, trae origine dalla richiesta formulata da alcuni professionisti, sia in proprio che nella qualità di soci di uno studio legale, di essere ammessi in prededuzione allo stato passivo del fallimento di una Società che avevano seguito e per la quale avevano prestato la propria opera. In particolare essi avevano chiesto l’ammissione in prededuzione degli importi spettanti per l’attività di consulenza ed assistenza giudiziale svolta per predisporre ed illustrare al tribunale la domanda di concordato preventivo. Chiedevano, inoltre, l’ammissione in privilegio di un ulteriore credito ad essi spettante per le prestazioni professionali rese anteriormente in favore della società.
Il Giudice Delegato adito riconosceva la prededuzione solo per un importo minimo, definito facendo riferimento esclusivamente all’attività prestata dai professionisti successivamente all’ammissione della società alla procedura concorsuale minore. Il restante importo, inerente l’attività professionale prestata ante ammissione alla procedura, veniva ammesso al chirografo. A tale conclusione il giudice perveniva anche in virtù di una ulteriore considerazione: i professionisti in questione avevano chiesto l’ammissione in prededuzione, in proprio e nella qualità di soci di uno studio legale, mentre, secondo l’orientamento del magistrato sarebbe da escludersi che ai componenti di uno studio legale possa essere riconosciuto il privilegio di cui all’art. 2751 bis, n.2, c.c., introducendo così il secondo tema posto all’attenzione della Corte di Cassazione.
I professionisti impugnavano la decisione assunta con decreto dal Tribunale di Milano e ricorrevano in cassazione.
La Corte, motivando l’accoglimento del ricorso, ha confermato un orientamento ormai consolidato in materia di prededucibilità nel fallimento dei crediti del professionista “derivanti dall’attività di consulenza ed assistenza prestata al debitore ammesso al concordato preventivo“.
Il ragionamento della Corte si muove nell’ottica di sostituire il dato strettamente temporale con l’elemento funzionale, tanto più che l’elemento temporale non è neanche menzionato dalla norma. L’art. 111, co.2, l. fall non fa alcun riferimento, infatti, ad eventi collegati cronologicamente a prestazioni precedenti o susseguenti al deposito della domanda. Né tantomeno simili nessi sono ricavabili in via interpretativa.
Ciò che rileva, invece, è il concetto di prestazioni eseguite “in occasione” o “in funzione” delle procedure concorsuali, ossia di prestazioni che hanno un nesso causale con la procedura e la presentazione della relativa domanda, pur se relative ad un periodo antecedente la stessa.
Come sottolineato dagli stessi professionisti che hanno proposto il ricorso in cassazione, la fissazione di un requisito di carattere temporale risulterebbe di difficile ed incerta individuazione. E, ad ogni modo, non sarebbe in grado di racchiudere tutte le prestazioni professionali legate, in qualche modo, alle procedure concorsuali, creando un discrimine, del tutto arbitrario, in ragione della definizione di un ipotetico arco temporale, tra prestazioni che per loro stessa natura non è detto avvengano entro determinati limiti temporali.
Meglio invece ancorare la prededucibilità alla corretta gestione fallimentare e, di conseguenza, aspirare ad una disciplina che si riveli in tal modo utile anche agli interessi della massa. Meglio, pertanto, privilegiare l’adeguatezza funzionale della prestazione ed il collegamento funzionale tra la stessa e l’utilità che i creditori ne abbiano tratto. La stessa Cassazione (cfr. Cass. Civ. n. 1513/2014), ha evidenziato, tuttavia, come, a volte, la prededucibilità richieda un giudizio a posteriori, in quanto solo a seguito di determinati eventi è possibile ricostruire il nesso funzionale tra prestazione d’opera e conseguente fallimento.
Conseguenza di tale lettura dell’art. 111, co.2 della l. fall. è la rilevazione della presenza, nella stessa, di una eccezione al principio della par condicio creditorum. Ciò, in quanto essa si configura, in tal modo, quale norma generale applicabile alla pluralità delle procedure concorsuali, sancendo la prededucibilità di tutti i crediti sorti in funzione delle stesse. Scopo della norma sarebbe quello di favorire il ricorso alle forme di soluzione concordata delle situazioni di crisi dell’impresa.
Il secondo motivo del ricorso, pur esso ritenuto fondato dalla Corte di Cassazione, riguardava la possibilità di applicare la disciplina di cui all’art. 2751 bis, n. 2 del c.c. anche nei confronti del professionista che avesse organizzato il proprio lavoro in forma associativa. Ciò che rileva, per la Corte, ai fini dell’applicabilità della disciplina ex art. 2751 bis, n. 2, è che “il credito è tutelato dalla norma in quanto nascente da una prestazione d’opera intellettuale, la cui titolarità ed il cui oggetto non mutano per il solo fatto che colui che la rende ha inteso organizzare il suo lavoro in forma associativa“. La lettura fornita dalla Corte pone un distinguo fondamentale tra prestazione d’opera ed organizzazione del lavoro. Che quest’ultima sia svolta in forma associativa o meno non incide in alcun modo sulla prestazione, che è, invece, l’elemento che rileva ai fini delle presenti valutazioni. Occorrerà piuttosto verificare se l’incarico sia stato conferito al singolo professionista oppure allo studio quale entità collettiva.
Testo del provvedimento
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