ISSN 2385-1376
Testo massima
In tema di procedimento esecutivo, qualora il credito, di natura esclusivamente patrimoniale, sia di entità economica oggettivamente minima, difetta, ex art. 100 cpc, l’interesse a promuovere l’espropriazione forzata, dovendosi escludere che ne derivi la violazione dell’art. 24 Cost. in quanto la tutela del diritto di azione va contemperata, per esplicita od anche implicita disposizione di legge, con le regole di correttezza e buona fede, nonché con i principi del giusto processo e della durata ragionevole dei giudizi ex art. 111 Cost. e 6 CEDU.
Questo il principio sancito dalla terza sezione della Suprema Corte di Cassazione, Sezione Terza, Pres. Rel. Salmé, con la sentenza n. 4228, depositata il 3 marzo 2015.
La sentenza in esame scaturisce dal ricorso promosso da un creditore contro la sentenza del Tribunale di Bergamo, che aveva accolto l’opposizione all’esecuzione promossa dal debitore ai sensi art. 615 c.p.c.
Il Giudice del merito non aveva infatti ritenuto giustificabile l’azione promossa da un creditore il quale, nonostante avesse ricevuto l’integrale pagamento della somma precettata pari ad 17.854,94, aveva comunque attivato la procedura esecutiva nella forma del pignoramento presso terzi, deducendo, in quel procedimento, l’esistenza di un credito residuo per una somma compresa tra 12,00 ed 21,00, così come dovuta a titolo di interessi maturati tra la data di notifica dell’atto di precetto e la data del pagamento.
Il creditore proponeva dunque ricorso per cassazione deducendo, in particolare la violazione dell’art. 1218 c.c. e dell’art. 24 Cost., evidenziando come nessuna norma possa autorizzare il giudice ad eliminare un credito qualunque ne sia l’entità.
La Cassazione ha tuttavia rilevato che l’interesse a proporre l’azione esecutiva, quando abbia ad oggetto un credito di natura esclusivamente patrimoniale, nemmeno indirettamente connesso ad interessi giuridicamente protetti di natura non economica, non può ricevere tutela giuridica se l’entità del valore economico è oggettivamente minima e quindi tale da giustificare il giudizio di irrilevanza giuridica dell’interesse stesso.
L’art. 100 c.p.c., in tema di interesse ad agire, non può pertanto essere letto in contrasto con quanto sancito dall’art. 24 Cost. che, tutelando il diritto di azione, non esclude di per sé che la legge possa richiedere, nelle controversie meramente patrimoniali, che per giustificare l’accesso al giudice il valore economico della pretesa debba superare una soglia minima di rilevanza innanzitutto economica e quindi anche giuridica.
Alla luce del fatto che la giurisdizione è risorsa statuale limitata, prosegue la Cassazione, la legge può dunque, esplicitamente od implicitamente, limitare il ricorso al giudice per far valere pretese di natura meramente patrimoniale, tenuto conto che il numero delle azioni giudiziarie non può non influire, stante la limitatezza delle risorse disponibili, sulla durate ragionevole dei giudizi che costituisce bene protetto dall’art. 111 Cost. e dall’art. 6 CEDU.
Con un chiaro ed evidente riferimento alla figura dell’abuso del processo (cfr. Cass. Civ., S. U. n. 23726/2007), i giudici di legittimità hanno infine richiamato due principi:
1) la regola della correttezza e della buona fede sancita dall’art. 2 Cost., che fa divieto al creditore di aggravare ingiustificatamente la posizione del debitore in ragione della necessità di soddisfare gli inderogabili doveri di solidarietà che presiedono il rapporto obbligatorio;
2) la garanzia del giusto processo e della durata ragionevole, sancita dall’art. 111 Cost., la quale esclude che possa ritenersi “giusto” il processo che costituisca esercizio dell’azione in forme eccedenti o devianti rispetto alla tutela dell’interesse sostanziale, che segna il limite, oltre che la ragione dell’attribuzione, al suo titolare, della potestas agendi, mentre l’effetto inflattivo che deriverebbe dalla moltiplicazione dei giudizio si pone in contrasto con la “ragionevole durata del processo” per l’evidente antinomia che esiste tra la moltiplicazione dei processi e la possibilità di contenimento della correlativa durata.
Alla luce dei principi sopra richiamati, la Cassazione ha respinto il ricorso proposto dal creditore ed ha confermato la decisione del giudice del merito che aveva accolto l’opposizione all’esecuzione.
Testo del provvedimento
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