ISSN 2385-1376
Testo massima
L’art. 147, 5° comma l.f., che prevede testualmente la possibilità di estendere il fallimento ad un socio di fatto occulto nell’ipotesi di un precedente fallimento di un imprenditore individuale, deve essere considerata una norma eccezionale e quindi non applicabile analogicamente alla istanza di dichiarazione di fallimento in estensione di una società di fatto sulla base di una iniziale dichiarazione di fallimento della impresa collettiva società – socia di fatto.
Questo il principio affermato dal Tribunale di Napoli, VII Sezione, Giudice dott. Angelo Del Franco, con un recentissimo provvedimento reso nell’ambito del procedimento prefallimentare ex art. 147 l.f. ad istanza del curatore di un fallimento.
Nel caso in esame, il curatore del fallimento di una S.r.l. proponeva istanza ex art. 147, comma 5,l.f., al fine di ottenere pronuncia dichiarativa di fallimento della società di fatto costituita tra la fallita e la società Alfa S.r.l. e, per l’effetto, dichiarazione di fallimento in estensione di quest’ultima, quale asserito socio di fatto illimitatamente responsabile della fallita.
Il Tribunale adito, nel giudicare inammissibile il ricorso proposto dalla curatela per carenza di legittimazione processuale attiva della ricorrente, ha, preliminarmente, provveduto a ricostruire e qualificare l’iniziativa prefallimentare in esame.
In particolare, è stato precisato che nel caso de quo si debba ritenere che il curatore abbia inteso promuovere autonomo ricorso di fallimento nei confronti della società di fatto, piuttosto che formulare istanza di estensione di fallimento, dal momento che in tal caso non avrebbe chiesto prima la dichiarazione di fallimento della società di fatto ma semplicemente l’accertamento della società di fatto e per l’effetto l’estensione del fallimento all’altro socio di fatto.
Integrando quindi l’istanza in esame un autonomo ricorso di fallimento e posto che ai sensi dell’art. 6 l.f., “il fallimento è dichiarato su ricorso del debitore, di uno o più creditori o su richiesta del pubblico ministero”, il Giudice, argomentando per esclusione, ha ricondotto l’iniziativa prefallimentare in narrativa a quella di un creditore.
Operata tale necessaria premessa, il Tribunale ha pronunciato la inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione processuale attiva della parte ricorrente, non avendo il fallimento ricorrente dedotto alcun credito nei confronti dell’asserita società di fatto, essendosi la curatela limitata ad evidenziare esclusivamente determinati dati contabili delle due società asserite socie di fatto, al fine di dimostrare il dedotto stato di insolvenza della società di fatto.
Il Tribunale motiva, poi, precisando che il ricorso non potrebbe essere accolto anche se si fosse ricondotta la fattispecie in esame alla previsione dell’art. 147, comma 5, l.f., ritenendo cioè che il curatore avesse inteso proporre ricorso di fallimento in estensione.
Sul punto, infatti, il Tribunale illustra l’ipotesi prevista dalla norma ed, in particolare, chiarisce come l’art. 147, 5° comma l.f., che prevede testualmente la possibilità di estendere il fallimento ad un socio di fatto occulto nell’ipotesi di un precedente fallimento di un imprenditore individuale, debba essere considerata una norma eccezionale e quindi non applicabile analogicamente alla istanza di dichiarazione di fallimento in estensione di una società di fatto sulla base di una iniziale dichiarazione di fallimento della società-socia di fatto, così come nel ricorso in esame.
Viene, a questo punto, motivato come il carattere eccezionale della sopra citata norma, contenente la previsione dell’estensione del fallimento dell’imprenditore individuale alla società di fatto, scaturisca dalla deroga che essa apporta al generale principio di diritto in forza del quale, al fine della imputazione degli effetti giuridici, occorre far riferimento al criterio della spendita del nome, in base al quale al quale, infatti, i creditori di una impresa commerciale hanno il diritto, nell’ipotesi di accertamento dello stato di insolvenza limitato alla stessa, di essere tutelati e soddisfatti sulla base del patrimonio della medesima società senza il concorso automatico con creditori che non sono divenuti tali in base a rapporti commerciali instaurati direttamente con la suddetta impresa commerciale e a suo nome ma che emergano successivamente sulla base di rapporti di fatto interni non esteriorizzati.
La scelta legislativa di derogare con l’art. 147, V comma l.f. a tale principio generale e quindi dando rilevanza a ciò che non è stato formalmente esteriorizzato ma desumibile comunque dalla realtà fattuale dei rapporti interni, nella ipotesi più semplice (desunta dalla pratica commerciale) della società di fatto accertata dopo il fallimento dell’imprenditore individuale si fonda sul fatto che in tal caso l’esigenza di tutela dei creditori della impresa individuale sulla base del suo patrimonio (che coincide col patrimonio della persona fisica del suo titolare) non è particolarmente avvertita, in quanto i medesimi creditori in realtà, anche dopo la dichiarazione di fallimento della società di fatto ex art. 14,7 V comma l.f., potranno soddisfarsi in sostanza sul medesimo patrimonio senza il concorso di altri creditori, in quanto le obbligazioni assunte da tale società di fatto coincideranno, sempre e soltanto con quelle assunte dal medesimo titolare della impresa individuale, il quale soltanto avrà infatti gestito i rapporti commerciali esterni, mentre l’altro socio di fatto avrà normalmente soltanto collaborato all’attività commerciale formalmente riferibile all’imprenditore individuale, senza quindi aver assunto autonomamente ulteriori obbligazioni commerciali riferibili alla società di fatto.
Altro elemento che conferisce eccezionalità alla previsione di cui all’art. 147 V comma risiede nel fatto che essa non richieda, ai fini del fallimento in estensione della società di fatto, la verifica dello stato di insolvenza di quest’ultima. Verifica da cui non potrebbe invece prescindersi nell’ipotesidi società di fatto tra due o più società – socie di fatto (come nel caso de quo), stante la maggiore complessità organizzativa che caratterizza le imprese collettive, non potendosi sempre proiettare e riproporre (come consente il V comma dell’art. 147 L.F. nell’ipotesi di imprenditore individuale fallito) esattamente e precisamente l’accertamento dello stato di insolvenza che ha riguardato SOLO la società (socia di fatto) già fallita anche nell’ambito dell’accertamento dello stato di insolvenza della relativa società di fatto.
In tali ipotesi, infatti, occorrerà procedere ad un autonomo accertamento dello stato di insolvenza di una tale società di fatto e, pertanto, sulla base di un credito certo, liquido ed esigibile, vantato nei confronti della società di fatto, anche se per ipotesi formalmente maturato nei confronti diretti di una delle società socie di fatto, purché tale credito non pagato conduca poi ad un accertamento positivo dell’insolvenza non della singola società socia di fatto, ma proprio e solo della medesima società di fatto, anche sulla base di una analisi avente ad oggetto una situazione patrimoniale per così dire “virtualmente consolidata”, che tenga conto cioè complessivamente ed unitariamente delle situazioni patrimoniali delle singole società-socie di fatto.
In conclusione, il Tribunale, alla luce di tale articolata motivazione, ha rigettato il ricorso, affermando il principio in forza del quale “l’art. 147, comma 5, l.f., deve ritenersi una norma eccezionale, non applicabile quindi analogicamente alla dichiarazione di fallimento in estensione di una società di fatto, sulla base di una iniziale dichiarazione di fallimento di una impresa collettiva (socia di fatto)”.
Testo del provvedimento
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