Testo massima
La natura dei provvedimenti d’urgenza, contemplati dall’art. 700 cpc, rende
inammissibile la domanda cautelare volta ad ottenere una inibitoria
generalizzata ed indistinta.
È quanto affermato dal
Tribunale di Milano, in persona del Giudice dott.ssa Cozzi, con ordinanza del
28 novembre 2014, con la quale è stata dichiarata inammissibile la domanda
cautelare, proposta da una società nei confronti di un istituto bancario, per
“eccentricità” rispetto alla natura e alla ratio dei provvedimenti d’urgenza.
Nel caso portato
all’attenzione del Giudicante la ricorrente società, sul presupposto di aver
sottoscritto tre distinti contratti in derivati “a copertura”, per far fronte
ad una precedente esposizione debitoria, ne contestava la validità e chiedeva
al Tribunale di dichiararli nulli per difetto di causa,
nulli/annullabili/risolvibili per mancato assolvimento degli obblighi
informativi gravanti sulla banca, nonché nulli/annullabili, per erroneo
inserimento della società nella categoria di investitore qualificato.
Conseguentemente
l’attrice domandava l’inibizione o comunque la sospensione della esecuzione dei
contratti da parte della banca, con declaratoria di illegittimità della revoca
dei mutui e degli affidamenti erogati, con sospensione della revoca stessa e
ripristino dei rapporti di affidamento e finanziamento, precedentemente
correnti tra le parti, nonché inibizione di qualunque azione esecutiva
esperibile dalla banca su beni dell’attrice in forza dei detti titoli.
Si costituiva la
resistente banca, eccependo la correttezza del proprio operato e la piena
validità dei contratti in derivati.
Il Tribunale, quindi,
rigettava la domanda attorea richiamando il consolidato orientamento
giurisprudenziale secondo cui lo strumento di cui all’art. 700 cpc “è stato declinato dal legislatore in chiave
di atipicità e residualità rispetto alle tutele tipiche altrove previste
dall’ordinamento” e che quindi “al
fine di valutare l’ammissibilità dell’azione proposta ex art. 700 cpc occorre
verificare se, in astratto, l’ordinamento appresti una forma di tutela tipica,
tale da consentire il conseguimento in via d’urgenza della tutela innominata
prevista dagli artt. 700 e ss. cpc” (Cass. Civ. 5225/1999).
Ebbene, il Tribunale ha ritenuto che la richiesta
della ricorrente, volta ad ottenere la concessione di un provvedimento che “paralizzi qualunque azione esecutiva
potenzialmente esperibile dalla banca (
) attraverso una inibitoria
generalizzata ed indistinta, laddove invece il sistema processuale riconosce al
debitore – a seconda delle
determinazioni che il creditore intenda assumente rimedi specifici ed
adeguati a far valere giudizialmente le proprie ragioni” dovesse ritenersi
inammissibile, non sussistendo i presupposti del periculum in mora e del fumus
boni iuris, che potevano eventualmente riscontrarsi qualora la banca avesse già
ottenuto un titolo da porre in esecuzione, mentre nel caso di specie nessuna
azione era stata ancora avviata.
Una volta esclusa
l’ammissibilità della domanda cautelare il Magistrato ha altresì analizzato la
validità dei contratti in derivati, dei quali l’attrice chiedeva
indifferentemente dichiararsi la nullità, l’annullabilità ovvero la
risoluzione, e ha concluso rigettando anche tale domanda.
Ed invero, si è ritenuta
insussistente la dedotta nullità per mancanza di causa in concreto, intesa dall’attrice sia come assenza di funzione
economico sociale di copertura del rischio, a cui i derivati dovevano essere orientati,
sia come impossibilità di individuare l’esposizione debitoria “assicurata” dai
detti contratti in derivati, essendo questi permeati dal requisito
imprescindibile dell’aleatorietà, in quanto la prestazione dipende da un evento
futuro ed incerto, quale l’oscillazione dei parametri di riferimento.
Rileva, quindi, il
Giudicante che la constatazione, effettuata ex
post, per cui i contratti in derivati siano sfociati in una perdita
patrimoniale per il sottoscrittore, non garantendo, quindi, in concreto, la
funzione di copertura, cristallizzata nel contratto, a causa del reale tasso di
interesse, difforme da quello ipotizzabile al tempo della sottoscrizione, non
può alterare la funzione di copertura agli stessi assegnata in sede di
stipulazione.
A parere del Magistrato,
inoltre, neppure l’eventuale violazione dei doveri di informazione al cliente,
come indicati nell’art. 21 T.U.F., in merito ai rischi connessi a tali tipi di
operazioni, comporta la nullità dei contratti in derivati, così come sottoscritti
tra le parti.
Sul punto il Tribunale
richiama la giurisprudenza di legittimità a Sezioni Unite (Cass. 26724/2007),
secondo cui tale reticenza comporta l’eventuale richiesta di risarcimento di un
danno c.d. differenziale, consistente “nello
scarto tra quanto convenuto e quanto il contraente in buona fede avrebbe
ottenuto in assenza della violazione comportamentale di controparte”,
evidenziando come tale richiesta risarcitoria presuppone l’esistenza di un
contratto validamente concluso.
Dunque, ritenendo il
magistrato non sussistente un’ipotesi di
nullità del contratto conseguente all’inosservanza degli obblighi infornativi
di cui all’art. 21 T.U.F. anche sotto tale aspetto, non può accogliersi la
domanda di invalidità negoziale dei contratti in derivati, come prospettata
dalla ricorrente società, essendo peraltro emerso dai documenti depositati
dalla banca la dettagliata ed ampia trattativa intercorsa tra le parti, che rende assorbente anche la lamentata
erroneità della dichiarazione di “investitore
qualificato” effettuata dalla banca nei confronti della società.
Circa, infine, la
segnalazione alla Centrale Rischi della Banca d’Italia, ritenuta dalla
ricorrente arbitraria ed illegittima, il Tribunale ha smentito anche “l’imminenza di quella allerta generalizzata
negli enti finanziatori e quindi di quel pregiudizio irreparabile paventato
dall’attrice” soffermandosi sulla differenza tra “segnalazione a sofferenza” e “sconfinamento”,
laddove, solo nel primo caso la banca comunica alla Centrale Rischi
l’affidabilità o meno del cliente, con potenziale pericolo per lo stesso,
mentre nel secondo caso, si limita a comunicare i propri crediti non
problematici secondo i criteri della Banca d’Italia.
Ed invero, nel caso di
specie la banca aveva comunicato solo lo sconfinamento rispetto al fido
accordato, senza alcuna conseguenza irreparabile e pregiudizievole per la
società.
In conclusione, l’abuso
del rimedio cautelare d’urgenza, inopportunamente utilizzato, è costato alla
ricorrente società la dichiarazione di inammissibilità delle domande proposte
con conseguente condanna al pagamento delle spese di giustizia.
Testo del provvedimento
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