Testo massima
Qualora
all’estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla
cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni
rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno
di tipo successorio, in virtù del quale le obbligazioni della società non si
estinguono e si trasferiscono ai soci, nei limiti di quanto riscosso a seguito
della liquidazione ovvero illimitatamente.
Tutti
i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società
estinta si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione
indivisa, con esclusione delle mere pretese, ancorché azionate o azionabili in
giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto
bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore (giudiziale o
extragiudiziale), il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente
di ritenere che la società vi abbia rinunciato, a favore di una più rapida
conclusione del procedimento estintivo.
Questi i principi
affermati dalla Cassazione Civile, Sezione Prima, Pres. Forte Rel. Didone, con
la recente sentenza n. 1732 del 29 gennaio 2015 in materia di estinzione di
società.
È accaduto che un cliente
conveniva in giudizio l’istituto di credito chiedendo il risarcimento dei danni
per una presunta ed illegittima segnalazione di credito in sofferenza alla Centrale
Rischi Creditizi. La banca si costituiva deducendo che la segnalazione fosse
avvenuta a seguito della valutazione di una serie di elementi da cui desumere
la capacità finanziaria del cliente e dall’assenza di concrete ed accettabili
proposte di rientro oltre alla mancanza di consistenti pagamenti dalla data di
insorgenza dell’esposizione.
Sia il Tribunale che la
Corte di Appello rigettavano la domanda proposta dalla Società per ottenere il
risarcimento dei danni da illegittima segnalazione di credito in sofferenza,
ritenendola legittima.
Contro la sentenza di
appello il cliente proponeva ricorso per cassazione “in proprio e nella qualità di ex socio della Società sciolta in data
(omissis)“. La Banca intimata si costituiva con controricorso ed eccepiva
preliminarmente il difetto di legittimazione del ricorrente, stante l’avvenuta
cancellazione ed estinzione della società, già attrice nelle precedenti fasi
del giudizio.
La Corte di Cassazione ha
accolto l’eccezione di difetto di legittimazione sollevata dalla resistente
posto che la società attrice era stata cancellata in epoca successiva
all’entrata in vigore della riforma del diritto societario attuata con il
D.Lgs. n. 6 del 2003. Dopo tale intervento l’estinzione della società, di
persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle
imprese, determina un fenomeno successorio dei rapporti giuridici facenti capo
alla società estinta.
Le obbligazioni della
società, pertanto, non si estinguono ma si trasferiscono ai soci che ne
rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o
illimitatamente, a seconda che, “pendente
societate“, fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i
debiti sociali.
Infatti, tutti i diritti e i beni non compresi nel
bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci, in
regime di contitolarità o comunione indivisa, con esclusione delle mere
pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora
incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto
un’attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale), il cui mancato
espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi
abbia rinunciato, a favore di una più rapida conclusione del procedimento
estintivo (Sez. U, Sentenza n. 6070 del 12/03/2013, già oggetto di
approfondimento su questa rivista).
Nel caso di specie la
pretesa risarcitoria non risultava inserita nel bilancio di liquidazione della
società estinta e, pertanto, essa doveva considerarsi rinunciata.
Invero, la scelta del
liquidatore di procedere all’estinzione della società senza azionare il
credito, deve essere necessariamente interpretata come un’univoca
manifestazione di rinuncia alla pretesa.
La Corte, pertanto, ha
dichiarato il ricorso inammissibile.
Testo del provvedimento
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