Testo massima
In tema di revocatoria fallimentare, la scientia decoctionis è un requisito che va provato in termini di certezza e non soltanto probabilistici, ancorché ciò possa avvenire per il tramite di una prova indiziaria.
La parte attrice deve dimostrare non una conoscenza soltanto potenziale in capo al convenuto in revocatoria bensì una conoscenza effettiva dell’insolvenza in cui versava la controparte dell’atto al momento del suo compimento ai fini della domanda di revoca.
La sussistenza (e la persistenza) di un affidamento in favore della attrice in revocatoria è confermata dalla mancanza di una conoscenza effettiva dello stato di insolvenza da parte della Banca al momento in cui venivano eseguite le rimesse oggetto del giudizio di revocatoria.
Infatti, secondo l’id quod plerumque accidit”, la banca che abbia avuto istituzionalmente cognizione di uno stato di decozione della società debitrice, non manterrebbe la linea di fiducia accordatale.
Questi sono i principi espressi dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, in persona del dott. Marco Pugliese, con sentenza n.341 del 28.01.2015, emessa in un giudizio di revocatoria fallimentare promosso da una società in amministrazione straordinaria al fine di ottenere la declaratoria di inefficacia (e quindi acquisire alla massa attiva) delle rimesse a suo tempo effettuate dalla debitrice su un conto corrente acceso presso la banca convenuta.
La fattispecie è regolata dall’art. 67, comma secondo, della legge fallimentare, a mente della quale “sono altresì revocati, se il curatore prova che l’altra parte conosceva lo stato d’insolvenza del debitore, i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili [ ] se compiuti entro sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento“.
Il tema della revocatoria fallimentare delle rimesse sul conto corrente bancario è, invero, del tutto peculiare, in quanto, da un lato, occorrerà valutare la natura della rimessa (la norma citata fa riferimento ai “pagamenti”, ben attagliandosi alle sole rimesse c.d. solutorie) e, dall’altro, dovrà tenersi conto del disposto del successivo comma terzo, lett. b), il quale dispone che “[Non sono soggetti all’azione revocatoria] le rimesse effettuate su un conto corrente bancario, purché non abbiano ridotto in maniera consistente e durevole l’esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca“.
Nel caso di specie, trattavasi di rimesse per complessivi euro centoquarantamila (all’incirca), ma il requisito della consistente e durevole riduzione dell’esposizione debitoria non è stato vagliato dal Giudice campano, il quale ha deciso la controversia con solo riferimento alla questione della prova della scientia decoctionis.
Il Tribunale, infatti, ha dato applicazione ad un principio ormai cardine del processo civile (sempre più ispirato alle esigenze di economia proessuale e celerità del giudizio), vale a dire quello della “ragione più liquida”, che si traduce nella non necessità di vagliare tutte le questioni nell’ordine prospettato dalle parti (ovvero, rectius, nell’ordine logico della pregiudizialità/dipendenza), quando la causa possa essere decisa sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione – anche se logicamente subordinata – senza che sia necessario esaminare previamente le altre (cfr. Cass. 12002/14).
Ed, in effetti, particolarmente “evidente” è apparsa la mancanza della prova della conoscenza dello stato di insolvenza.
Orbene, per costante orientamento della giurisprudenza di legittimità “ la conoscenza dello stato di insolvenza dell’imprenditore da parte del terzo contraente deve essere effettiva, e non meramente potenziale” (Cass 25379/13 e 18196/12, ma nello stesso modo anche Cass. 10209/09, 17954/08, 17333/08, 699/97).
Naturalmente, al fine di fornire la prova concreta della scientia decoctionis, non basta (e quindi non poteva bastare nel caso di specie, come ha rilevato il Tribunale) la deduzione della sussistenza di una “contrazione dei valori della produzione” emergente sulla relazione al bilancio della società di revisione, ma occorre evidentemente un quid pluris, ovvero segnali effettivi, a conoscenza della banca creditrice, di una situazione obiettiva di insolvenza.
Nel caso di specie qui l’elemento dirimente le rimesse erano state effettuate su conto corrente c.d. affidato per euro cinquecentomila e la banca non aveva, in effetti, provveduto alla revoca degli affidamenti.
Questa secondo il Giudice la prova concreta che la banca non conosceva (e non poteva conoscere) lo stato di insolvenza, atteso che, secondo l’id quod plerumque accidit, l’istituto di credito che sia a conoscenza dell’impossibilità della debitrice di far fronte alle proprie obbligazioni non mantiene in essere evidentemente un affidamento di tali proporzioni.
Considerando l’affidamento come indice inequivoco della “linea di fiducia” accordata dalla Banca, il Tribunale ha quindi concluso per il rigetto della domanda di revocatoria ex art.67, co.2 l.fall., per mancanza del c.d. requisito soggettivo, con rilevante condanna alle spese in danno degli organi della procedura.
Per approfondimenti, si segnala che, di recente, il Tribunale di Napoli, dott.ssa Notaro, con sentenza n.285 del 9.1.2015, ha escluso la prova della scientia decoctionis, addirittura in presenza di una segnalazione della debitrice in Centrale Rischi, a riprova della “severità” con la quale la giurisprudenza valuta la prova dell’elemento soggettivo per l’azione revocatoria fallimentare.
Testo del provvedimento
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