ISSN 2385-1376
Testo massima
Una recente sentenza della Cassazione del 13/11/2014 n.24214 torna ad occuparsi di una questione che sembra aver trovato una definitiva soluzione, dopo che in passato era stata scelta dalla giurisprudenza, soprattutto di merito, un’opzione diversa, che ha avuto un revirement con la decisione della Corte di Appello di Firenze 2011/859, secondo cui il singolo erede detentore di un bene non può usucapire la proprietà senza una interversione del possesso o senza un atto che manifesti lo spoglio nei confronti degli altri eredi.
Venendo subito al dunque delle vexata quaestio, l’interrogativo è il seguente: il coerede che dopo la morte del de cuius sia rimasto nel possesso dell’intero bene ereditato può usucapire la quota degli altri coeredi ed a quali condizioni? Occorre l’interversio possessionis ex art. 1141 c.c.?
Orbene, costituisce principio generale quello secondo cui corpus ed animus sono i due elementi costitutivi della fattispecie acquisitiva. La sussistenza del corpus, corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà, che si protrae per il tempo previsto per il maturarsi dell’usucapione, raffigura il fatto cui la legge riconduce l’acquisto del diritto di proprietà.
L’animus possidendi, necessario all’acquisto per usucapione, da parte di chi esercita il potere di fatto sulla cosa, non consiste nella convinzione di essere proprietario, ma nell’intenzione di comportarsi come tale, esercitando corrispondenti facoltà, mentre la buona fede non è requisito del possesso, utile ai fini dell’usucapione (v. ex multis Cass. 2002/10230).
Nel possesso della cosa comune l’animus domini deve atteggiarsi in modo esclusivo e cioè in modo inconciliabile con la possibilità di fatto di un godimento comune (v. ex multis Cass. 2000/9106).
Al comunista si chiede, quindi, qualcosa di più, cioè una estensione del potere di fatto in termini di esclusività, in aperto contrasto ed incompatibile con il permanere del possesso degli altri comproprietari.
La sentenza in rassegna conferma un orientamento ormai graniticamente consolidato, secondo cui nel caso di beni in comunione, per cui esiste una situazione condivisa di possesso non occorre l’interversione di cui all’art. 1141 cc, essendo sufficiente l’esercizio del possesso stesso sulla cosa in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui, così da evidenziare inequivocamente un comportamento “uti dominus e non più uti condominus”.
In questo senso, il coerede che è già compossessore “animo proprio” ed a titolo di comproprietà non è tenuto ad un mutamento del titolo, ma solo ad una estensione dei limiti del suo possesso, tale cioè da dimostrare l’intenzione di godere il bene in via esclusiva e per il tempo necessario ad usucapire, sicché a tale fine non è sufficiente che gli altri partecipanti si astengano dall’uso della cosa comune (v. ex multis Cass. 1999/1370; Cass. 2002/13921; Cass. 2005/27287; Cass. 2009/7221; Cass. 2011/1558; Cass. 2013/28346).
Mette conto di rilevare, a tal riguardo, che il Giudice di legittimità ha ben specificato, nelle sue pronunce in tema, come sia di fondamentale importanza il fatto che il possesso esclusivo della cosa comune, per sostituirsi utilmente alla precedente situazione di compossesso, deve esteriorizzarsi in una attività corrispondente all’esercizio della proprietà solitaria, deve cioè il possessore, da un certo momento, “comportarsi rispetto alla intera cosa comune di guisa da rendere palese la volontà di tenere la cosa come propria altrimenti il suo possesso rimarrebbe equivoco e, quindi, inidoneo a determinare l’usucapione in danno degli altri compossessori” (v. testualmente Cass. 2002/12260).
In tale contesto, è stato così ritenuto che la dedotta volontà non potrebbe desumersi dal fatto “che il coerede abbia utilizzato e amministrato il bene ereditario, provvedendo al pagamento delle imposte ed alla manutenzione, ricorrendo la presunzione “iuris tantum” che egli abbia agito nella qualità e che abbia anticipato le spese anche relativamente alla quota degli altri coeredi” (v. Cass. 1999/7075; Cass. 1999/1370).
La necessità che il mutamento del titolo si concretizzi in atti integranti un comportamento durevole, tale da evidenziare un possesso in termini di esclusività, come detto, comporta, quindi, che sono irrilevanti “gli atti di gestione della cosa comune, consentiti al singolo partecipante o anche atti familiarmente tollerati dagli altri o ancora atti riguardanti erogazioni di spese per il miglior godimento della cosa comune” in quanto essi non sono idonei a dar luogo ad una estensione del potere di fatto sulla cosa nella sfera dell’altro possessore (v. Cass. 1997/11842; Cass. 2005/16841).
In tale contesto, è di tutta evidenza che il Giudice, chiamato allo scrutinio di una vicenda in cui il coerede vanta un possesso utile all’usucapione, dovrà valutare nello specifico l’atteggiarsi del potere di fatto sulla cosa, idoneo ad escludere gli altri.
Agli esempi suddetti, che non sembrano sufficienti per integrare il possesso richiesto, si contrappongono i casi in cui effettivamente il coerede ha agito in termini di esclusività, come il compiere lavori di straordinaria manutenzione, con impiego di rilevanti risorse economiche senza chiedere il consenso degli altri, il recintare un fondo per impedire l’accesso agli altri, coltivare un terreno dopo averlo trasformato radicalmente per adattarlo a tale destinazione raccogliendo per sé i relativi frutti, ristrutturare un fabbricato attraverso opere di fondamentale importanza affrontando le relative cospicue spese in un contesto che appare incompatibile con il compimento di un atto di gestione.
Ora dipenderà dal caso concreto verificare se una attività sia o meno incompatibile con il compossesso altrui, essendo utile esaminare la corrispondenza degli elementi fattuali, ritenuti idonei a fondare la domanda di usucapione del coerede, quali risultanti dalle diverse decisioni dei giudici di merito.
Tra queste merita di segnalare quella del Tribunale di Civitavecchia 168 del 18/02/2014 che in maniera molto rigorosa, nella applicazione dei principi testé indicati, ha ritenuto insufficiente la provata coltivazione in via esclusiva di un terreno agricolo, la realizzazione di un pozzo e di una recinzione, costituendo tali opere, per lo più, una miglioria rispettando l’originaria destinazione agricola del fondo e non una radicale trasformazione, necessaria per l’acquisto a titolo di usucapione, derivante utilmente, ad esempio, con un cambio di destinazione ad uso edilizio o industriale del bene.
Testo del provvedimento
SEGNALA UN PROVVEDIMENTO
COME TRASMETTERE UN PROVVEDIMENTONEWSLETTER - ISCRIZIONE GRATUITA ALLA MAILING LIST
ISCRIVITI ALLA MAILING LIST© Riproduzione riservata
NOTE OBBLIGATORIE per la citazione o riproduzione degli articoli e dei documenti pubblicati in Ex Parte Creditoris.
È consentito il solo link dal proprio sito alla pagina della rivista che contiene l'articolo di interesse.
È vietato che l'intero articolo, se non in sua parte (non superiore al decimo), sia copiato in altro sito; anche in caso di pubblicazione di un estratto parziale è sempre obbligatoria l'indicazione della fonte e l'inserimento di un link diretto alla pagina della rivista che contiene l'articolo.
Per la citazione in Libri, Riviste, Tesi di laurea, e ogni diversa pubblicazione, online o cartacea, di articoli (o estratti di articoli) pubblicati in questa rivista è obbligatoria l'indicazione della fonte, nel modo che segue:
Autore, Titolo, in Ex Parte Creditoris - www.expartecreditoris.it - ISSN: 2385-1376, anno
Numero Protocolo Interno : 664/2014