ISSN 2385-1376
Testo massima
Appena tre mesi fa la Corte di Cassazione è stata nuovamente chiamata a pronunciarsi su un tema molto sensibile, laddove si consideri anche l’attuale congiuntura economica, per cui già in precedenza aveva fornito il proprio contributo nomofilattico, riguardante la pignorabilità della pensione minima ed il c.d. minimo vitale.
Con sentenza 26.8.2014 n.18225, i Giudici di Palazzo Cavour, infatti, hanno stabilito, sul solco dei conformi precedenti, che “in assenza di parametri normativi specifici ed analitici idonei a consentire la determinazione del c.d. minimo vitale, ben può il giudice della Esecuzione, in considerazione degli elementi del caso concreto (e non dovendo far riferimento all’importo di trattamento minimo di pensione indicato dallo stesso erogatore), pervenire all’importo maggiormente adeguato a soddisfare la detta esigenza di assicurare, comunque, al pensionato sufficienti ed adeguati mezzi di vita”.
Nella specie, era stata ritenuta la impignorabilità della pensione sulla somma di euro 536,00 anziché su euro 427,58, indicate dall’Inps per il 2006.
Anche la giurisprudenza di merito esclude una equiparazione automatica fra “minimo vitale” e “pensione minima” (v. ex multis, Trib. Roma 12/3/12 n.17124).
È il Giudice, quindi, a stabilire la misura e le modalità attraverso cui il creditore di colui che gode di un trattamento pensionistico, potrà avere soddisfazione, dovendo contemperare gli opposti interessi: la giusta realizzazione del credito da una parte, la garanzia, che deve essere assicurata al debitore pensionato, di poter fra fronte alle sue primarie esigenze di vita.
L’interesse di cui è portatore il debitore titolare del trattamento pensionistico, trova riconoscimento e consacrazione in norme di rango costituzionale, specificamente nell’art. 38 Cost. (ma anche nell’art. 2) da cui si ricavano quei fondamentali principi di solidarietà sociale e di tutela dell’interesse pubblico, che costituiscono, per così dire, un presidio costituzionale a tutela dei soggetti più deboli.
Ed è proprio in ragione di detto “presidio”, ancora “più marcato dopo l’entrata in vigore della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, efficace dal 1.12.2009 (data in cui è entrato in vigore il Trattato di Lisbona) che l’art. 34 co. 3 garantisce il riconoscimento del diritto alla assistenza sociale al fine di assicurare una esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongono di risorse sufficienti”, la Cassazione ha potuto sviluppare il proprio percorso argomentativo e motivazionale, palesato nella sentenza richiamata ma anche in precedenti sostanzialmente conformi, come la già citata sentenza 2013/18755 ma anche quella del 22.3.11 n. 6548.
Risultato, questo, reso possibile dalla ormai famosa sentenza della Corte Costituzionale 2002/506 che ha abolito la impignorabilità assoluta dei trattamenti pensionistici garantendo, comunque, il c.d. minimo vitale e consentendo la pignorabilità della parte residua, nei limiti del quinto, aggiornato, per l’appunto, a seguito delle precisazioni della S.C., nel senso della idoneità , comunque, sulla base degli elementi concreti della fattispecie (come visto), ad assicurare le esigenze di vita del pensionato.
Mette conto di rilevare, a tal riguardo, che la indagine sulla entità della parte della pensione necessaria per le indicate esigenze di vita, come tale impignorabile, soffre delle eccezioni, tassativamente indicate, rappresentate dai c.d. crediti qualificati (Cass. 2011/6548) come, per fare un esempio, quelli alimentari necessari al mantenimento della prole (v. Cass 2007/15374).
Tentando, a questo punto, di elaborare un quadro riassuntivo sulla complessa vicenda della pignorabilità della pensione, avremmo il seguente prospetto.
a) può essere pignorata per causa di alimenti, su autorizzazione del Presidente del Tribunale, entro la misura di un terzo;
b) può essere pignorata fino alla misura di un quinto e senza preventiva autorizzazione del giudice, per debiti verso lo Stato e gli altri Enti e nella stessa misura per tributi, nei confronti degli stessi, facenti carico, fin dall’origine, al pensionato;
c) può essere pignorata entro gli stessi limiti di un quinto la pensione derivante dalla prestazione di attività lavorativa dei dipendenti pubblici e privati, per ogni credito vantato nei confronti di costoro;
d) la misura della quota pignorabile va determinata al netto delle ritenute di legge;
e) quando concorrono crediti alimentari e crediti qualificati (verso Stato, Regioni e Comuni), cessioni o deleghe del quinto (anteriori al pignoramento) la pensione, al netto delle ritenute di legge, può essere pignorata fino alla metà;
f) come sopra detto, la parte necessariamente destinata a soddisfare esigenze minime di vita resta insensibile alla esecuzione, a meno che il debito non riguarda creditori qualificati;
g) le norme di riferimento per calcolare il c.d. minimo vitale sarebbero contenute negli artt. 38 co 1 e 5 L. 2001/448, 39 co. 8 L. 2002/289 (v. Trib Torino 26.1.2006; Cass 7.8.2013 18755).
Sulla problematica in scrutinio, si segnala quanto disposto dal D.L. 16/2012 convertito in L 44/12, con cui sono stati introdotti nuovi limiti in tema di pignoramento presso terzi (stipendi e pensioni) disposto dall’Agente di Riscossione (sostanzialmente Equitalia), secondo cui “le somme dovute a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, possono essere pignorate dall’Agente di riscossione, a) in misura pari al 1/10, per importi fino ad euro 2.500,00, in misura pari a 1/7, per importi da euro 2.500,00 a 5.000,00, fermo restando per il resto la misura (1/5) di cui all’art. 545 c.p.c”.
Occorre, a questo punto, ricordare che, comunque, la normativa sui limiti della pignorabilità di pensioni, stipendi o salari, appare essere stata in pratica svuotata con la entrata in vigore del D.L. 201/2011 (c.d. decreto Salvaitalia), successivamente convertito in L. 214/2011, che, dettando tutta una serie di disposizioni antievasione fiscale, ha previsto nello specifico (art. 12 co. 2 lettera c) uno strumento che obbliga coloro che percepiscono detti trattamenti, da parte di una Pubblica Amministrazione, di importo superiore a Euro 1.000,00, di munirsi di un conto corrente di deposito bancario o postale ove la P.A. possa accreditare l’importo, essendo stato interdetto ogni diverso sistema di pagamento.
Ebbene, si capisce subito che tale modalità di pagamento vanifica del tutto l’operatività dei suddetti limiti, che clamorosamente possono essere aggirati in ragione di un’altra disposizione di legge della cui effettiva portata probabilmente il legislatore non si è accorto, preoccupato di introdurre sistemi più efficaci in ordine alla tracciabilità dei pagamenti, in una lotta senza campo contro la evasione fiscale.
Si è venuta, dunque, a creare una paradossale situazione, che ha suscitato forti polemiche per il semplice fatto che i suddetti limiti possono operare quando il pignoramento viene eseguito alla fonte (datore di lavoro od Ente Previdenziale) ma non anche quando viene effettuato presso l’Istituto di Credito o l’Ufficio postale, ove il dipendente o il pensionato vede versato quanto dovutogli dalla P.A.
Ed, invero, è stato più volte ritenuto dalla giurisprudenza (ed illuminante in questo senso appare Cass. 4/10/2010 n. 2946) “che le somme provenienti da trattamento pensionistico, una volta percepite dal debitore, nella specie, affluite sul conto corrente del medesimo, perdono la loro specifica connotazione, rientrando nel patrimonio dell’obbligato, liberamente aggredibile dai creditori”. Nella giurisprudenza di merito, vedasi in tal senso, ex multis, Trib. Roma 24/3/2000 e Trib. Bari 4/10/2010.
Tutto da rifare allora (?), per usare una espressione popolare che efficacemente rappresenta la grave ed imbarazzante situazione di impasse, in cui una fonte normativa offre lo spunto per eludere (inammissibilmente) il giudicato costituzionale, sostanzialmente non in grado di produrre i suoi effetti.
Per questo, da più parti si è auspicato un ripensamento da parte del Legislatore od una pronuncia dell’Alta Corte, alla quale si è già rivolto il Tribunale di Lecce (v. ordinanza 12.2.2014) sottoponendo al suo vaglio la questione di illegittimità costituzionale delle disposizioni succitate, ben sottolineando non solo la iniquità del sistema congegnato e la sua irragionevolezza (art. 3 Cost.) ma anche la contrarietà a quei principi di solidarietà sociale (art 38 Cost.) fondanti le ragioni degli stessi limiti alla pignorabilità di cui stiamo discorrendo.
Nelle more, appare assolutamente condivisibile l’orientamento di una parte della giurisprudenza di merito, ancorché allo stato minoritaria, secondo cui la somma per stipendi e pensioni confluita in un conto corrente bancario o postale non finisce per questo di perdere la sua originaria qualificazione confondendosi nella massa di liquidità, che costituisce il credito del correntista liberamente ed integralmente aggredibile con il pignoramento presso terzi. Molto interessante, in questo senso, appare il contributo interpretativo fornito dal Tribunale di Savona (02.01/14), il quale, valorizzando una pronuncia di poco anteriore del Tribunale di Sulmona (20.03.13), ha affermato doversi ritenere la permanenza della natura privilegiata del rateo pensionistico, anche quando la relativa somma venga depositata su un conto corrente o libretto bancario, ricorrendo le seguenti due condizioni: a) la natura del credito deve essere immediatamente riconoscibile per denominazione ed importo; b) all’attivo non vi siano voci diverse dall’accredito della pensione o prelievi subito dopo il deposito della somma. Secondo il predetto giudice, sarebbe, infatti, irragionevole che un conto corrente alimentato solo dai ratei pensionistici (ad esempio) possa mutare la natura assistenziale della somma versata, soprattutto dopo la legge 214/11 che ha imposto anche ai pensionati di avere un conto corrente dove accreditare la pensione per importi superiori ad euro 1.000,00.
Per concludere, si rammenta che è stata recentemente depositata una proposta di legge di modifica dell’art. 545 c.p.c., ad opera dell’On.le Michela Rostan, che prevede l’innalzamento del tetto di impignorabilità (c.d. minimo vitale) ad euro 800,00 mensili e la creazione di due scaglioni di riferimento, per cui saranno pignorabili, nella misura di 1/5, le pensioni superiori ad euro 800,00 mensili e fino a 5.000,00, e nella misura di 1/4 quelle superiori a 5.000,00.
Testo del provvedimento
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