ISSN 2385-1376
Testo massima
Nell’ipotesi di revocatoria fallimentare di un atto di compravendita preceduto dalla stipula di un contratto preliminare, la sproporzione tra le prestazioni deve essere valutata con riferimento al momento della conclusione del contratto definitivo, essendo tale negozio a determinare l’effettivo passaggio della proprietà, e a tal momento occorre riferirsi per la determinazione del valore venale del bene.
Può essere revocata la vendita di un immobile per il quale l’acquirente, al momento della firma del contratto preliminare, aveva versato alla società in crisi quasi tutto il prezzo del bene.
Questi sono i principi di diritto affermati dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 19314 del 12 settembre 2014 in materia di revocatoria fallimentare.
In punto di fatto, una società di costruzioni, prima dichiarata fallita e poi tornata in bonis, veniva posta in liquidazione. Successivamente, procedeva alla vendita di alcuni immobili da essa realizzati in esecuzione di contratti preliminari stipulati in epoca anteriore rispetto alla dichiarazione di fallimento.
Nuovamente dichiarata fallita, la società, in persona del curatore, proponeva azione revocatoria dell’atto di alienazione di un immobile ex art. 67, comma 1, L.F. la quale veniva accolta dal Tribunale con sentenza confermata anche dalla Corte d’Appello.
I convenuti acquirenti proponevano così ricorso per cassazione, adducendo la violazione dell’art.67 L.F. sia in ordine al momento della determinazione del valore ai fini dell’accertamento della sproporzione, sia in ordine all’elemento soggettivo.
In particolare, deducevano di avere fornito la prova dell’inscientia decoctionis all’epoca della stipula del preliminare e che la sproporzione andava valutata con riferimento al momento della stipula di tale ultimo atto.
È da rilevare in proposito che la legge fa una netta distinzione tra colui che acquista in buona fede e colui che invece è d’accordo con l’imprenditore per sottrarre beni al fallimento, ponendo a carico del terzo acquirente l’onere di provare la propria buona fede, cioè la condizione di incoscienza dello stato di insolvenza del debitore.
Detto ciò, venendo alla pronuncia in commento, la Cassazione ha affermato che, se la somma versata è molto esosa già al momento del contratto preliminare, si è in presenza di una evidente sproporzione tra le prestazioni ed è possibile esercitare l’azione revocatoria.
Tuttavia, secondo la Corte la sproporzione deve essere valutata con riferimento al momento della conclusione del contratto definitivo, essendo quest’ultimo a determinare l’effettivo passaggio della proprietà. È a tale momento che occorre riferirsi per la determinazione del valore venale del bene (senza tenere dunque conto che il preliminare costituisce parte integrante del contratto di vendita).
La Cassazione ha affermato altresì che, per valutare l’eventuale consapevolezza dell’acquirente circa lo stato di crisi del venditore bisogna far riferimento alla data della vendita e non a quella della firma del preliminare, anche se chi ha già firmato il compromesso e versato un considerevole anticipo potrebbe trovarsi solo successivamente a prendere contezza dell’imminente fallimento di quest’ultima, atteso che si ricollega la consapevolezza dell’insolvenza al momento in cui il bene, uscendo dal patrimonio, viene sottratto alla garanzia dei creditori, rendendo irrilevante l’eventuale buona fede dell’acquirente al momento della stipula del contratto preliminare.
Per questi suddetti motivi la Corte ha rigettato il ricorso e condannato i ricorrenti alle spese di giudizio.
Testo del provvedimento
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