ISSN 2385-1376
Testo massima
Il trust costituisce strumento idoneo a vincolare i beni di terzi al buon esito della procedura concordataria, a condizione che l’elevato rischio di revoca dell’atto di dotazione da parte dei creditori del disponente non impedisca al trust di svolgere la sua funzione, cioè di garantire che l’apporto sia mantenuto alla finalità a cui il piano lo destina.
Così si è pronunciato il Tribunale di Reggio Emilia, Pres. dott.ssa Rosaria Savastano G.Est. dott. Giovanni Fanticini, con decreto del 12 agosto 2014, degno di nota per la linearità e la ricchezza delle argomentazioni, nonché per aver posto un punto fermo nella questione della fattibilità “giuridica” del piano concordatario che preveda, tra gli strumenti volti alla tutela del ceto creditorio, il conferimento di beni in trust.
La pronuncia è stata resa in sede di giudizio ex art.162 L.Fall. (rubricato “Inammissibilità della proposta”), contesto nel quale il Tribunale è chiamato ad esercitare il controllo di legittimità sul giudizio di fattibilità della proposta di concordato, mediante il controllo di legalità sui singoli atti in cui si articola la procedura, la delibazione in ordine alla correttezza delle argomentazioni svolte e delle motivazioni addotte dal professionista a sostegno del formulato giudizio di fattibilità del piano e, last but not least, la valutazione di effettiva idoneità del piano ad assicurare il soddisfacimento della causa della procedura.
Rispetto a tali parametri, la valutazione del Collegio, nel caso di specie, è stata negativa, ma dalla parte motiva è dato scorgere una serie di importanti affermazioni suscettibili di generalizzazione, tra le quali il principio di diritto enucleato in epigrafe.
Rispetto al trust (da istituirsi, secondo la proposta concordataria, per vincolare beni di terzi soggetti “garanti” alla procedura concordataria) il giudizio del Tribunale emiliano è netto: trattasi di strumento idoneo in astratto a servire gli interessi dei creditori nell’ambito del concordato.
Tale istituto, mutuato dai sistemi giuridici di Common Law (più precisamente frutto dell’elaborazione della giurisprudenza di Equity), consente infatti di destinare taluni beni, mediante un atto di destinazione ad opera del c.d. settlor, alla gestione di un amministratore (trustee), il quale ha il potere-dovere di amministrarli nell’interesse di un terzo soggetto (c.d. beneficiary), secondo le regole del trust fissate dal disponente.
Strutturalmente, dunque, il trust si presta bene alla finalità di vincolare un complesso patrimoniale alla realizzazione dello scopo concordatario.
Concretamente, tuttavia, il Tribunale considera l’eventualità (altamente probabile in casi come quello di specie) che il conferimento dei beni in trust sia esposto al rischio dell’esercizio di azione revocatoria da parte dei creditori del disponente (il Collegio ha premura di precisare che l’atto di dotazione e non quello di istituzione del trust è suscettibile di revocatoria).
L’omologa del concordato viene sottolineato non impedisce ai creditori di agire nei confronti dei coobbligati, dei fideiussori del debitore e degli obbligati in via di regresso (così si esprime l’art. 184 L.Fall.) e cioè, nel caso di specie, di alcuni dei soggetti che avevano compiuto, col trust, atti dispositivi in favore della società debitrice.
I beni conferiti in trust non possono, pertanto, ritenersi “acquisiti” all’attivo concordatatario e, vieppiù, alcun elemento normativo o fattuale consente di stabilire che i creditori, nel prestare il proprio assenso alla proposta concordataria e solo parzialmente soddisfatti da questa, rinuncino a far valere i propri diritti nei confronti dei garanti che abbiano effettuato atti di disposizione in favore della procedura.
Nessun dubbio, dunque: nel caso de quo e generalizzando in casi analoghi, il trust “non garantisce che l’apporto essenziale per la fattibilità del concordato sia fornito e, soprattutto, mantenuto alla finalità a cui il piano lo destina”, onde la valutazione negativa e la pronuncia in termini di inammissibilità della proposta.
Tra gli altri principi, degni di nota, espressi dal decreto in commento, è possibile trarre, in estrema sintesi, le seguenti massime:
– nella valutazione della capienza del patrimonio a soddisfare i crediti prededucibili, va incluso anche l’attivo immobiliare, in misura proporzionale al presumibile ricavato (così come, in caso di fallimento, le dette spese graverebbero anche sul patrimonio immobiliare), cosicché è erroneo il declassamento dei creditori che vantino privilegio sul patrimonio mobiliare, sul presupposto dell’incapienza di quest’ultimo rispetto alle spese prededucibili;
– è esclusa la fattibilità del piano che si fondi solo sulla c.d. “finanza esterna”, quando gli apporti che i terzi soggetti si obblighino a versare siano meri atti di liberalità, sia per la natura incoercibile dell’impegno, vieppiù quando si concreti in una “lettera d’impegno ex art.1173 cc”, sia perché, quando detti apporti siano promessi da una società commerciale, l’atto di liberalità è estraneo allo scopo sociale di quest’ultima. Il c.d. atto ultra vires, infatti, deve reputarsi nullo perché l’oggetto sociale costituisce limite allo svolgimento dell’attività della società, posto (anche) a salvaguardia dei creditori sociali, né a tal uopo un tale atto può ritenersi convalidato dall’approvazione totalitaria dei soci;
– come affermato in Cass. 10112/2014, la regola generale in caso di concordato è quella del pagamento non dilazionato dei crediti privilegiati e la proposta di pagamento dei crediti medesimi con una dilazione implica una non integrale soddisfazione di detti crediti; ciò comporta una “perdita economica conseguente al ritardo”, che deve trovare nel concordato una quantificazione e una contropartita (anche per l’espressione del voto da parte del creditore “falcidiato” dal ritardo).
Testo del provvedimento
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Numero Protocolo Interno : 435/2014