ISSN 2385-1376
Testo massima
Si ringrazia per la segnalazione
l’Avv. Giorgio Orioli del Foro di Ferrara
La clausola sulla pattuizione degli interessi anatocistici determinati nell’ammontare, con periodicità trimestrale eguale per ciascuna parte del rapporto, è valida se il rapporto bancario è sorto sotto la vigenza dell’art. 120 TUB modificato dal D.Lgs. n. 342/1999.
La commissione di massimo scoperto, anch’essa avente base trimestrale a percentuali variabili determinate, sfugge a possibili censure di nullità per mancanza di causa.
Solo dall’agosto 2009 la Banca d’Italia ha incluso la commissione di massimo scoperto quale elemento da computare nella base di calcolo del Tasso Effettivo Globale, con l’espressa salvezza del pregresso.
È pertanto da escludere l’usurarietà dei tassi d’interesse determinati con l’inclusione della cms, ove pattuiti prima di tale data, in quanto la legge n. 108/1996 ha determinato la vigenza di un criterio legale pienamente tipico e tassativo di determinazione del TEG fondato su norme parzialmente in bianco che privilegia senz’altro, in ultima analisi, i contenuti della procedura amministrativa assunti sulla base delle rilevazioni trimestrali ed attratti in fonti normative (i DM succedutisi nel tempo) di rango secondario “abilitate”.
L’anatocismo e l’usura bancaria costituiscono da sempre terreno di aspro confronto in dottrina e giurisprudenza e di serrato dibattito in sede legislativa a causa dei rilevanti effetti riflessi sul piano economico e sociale.
La sentenza che si annota, pronunciata dal Tribunale di Ferrara, in persona del Giudice Unico Roberto Vignati, del 2 luglio 2014, chiarisce, in maniera dettagliata, alcuni aspetti chiave di tale dibattito ed, in particolare, affermando i principi di diritto sopra esposti, assesta un ulteriore “colpo” alle pretese di azzeramento degli interessi fondata su presupposti già ampiamente smentiti da copiosa e recente giurisprudenza.
In particolare, è accaduto che un correntista opponeva un decreto ingiuntivo emesso a favore della propria banca per il saldo negativo di conto corrente.
Il cliente deduceva l’illegittimità di quasi tutte le voci per spese e commissioni, con particolare riguardo alla commissione di massimo scoperto, agli interessi anatocistici dati dalla capitalizzazione trimestrale e lamentava, infine, il superamento dei c.d. tassi soglia di usura, chiedendo l’azzeramento degli interessi.
Nella risoluzione della controversia, il Giudice si è preliminarmente soffermato sulla questione dell’anatocismo, affermando che, essendo il rapporto bancario in questione, sorto nell’agosto 2003 – ossia sotto la vigenza dell’art. 120 TUB modificato dal D.Lgs. n. 342/1999, ed in particolare della delibera CICR del 9/02/2000 – la clausola degli interessi anatocistici, determinati nell’ammontare con periodicità trimestrale eguale per ciascuna parte del rapporto, risulta “rettamente assecondata” (sul punto si veda Tribunale di Torino, dott. Bruno Conca, sentenza del 21-05-2014 n.3783).
Più ampiamente, è stata affrontata la questione della rilevanza della commissione di massimo scoperto ai fini della verifica di usurarietà del contratto di apertura di credito.
In particolare, il Tribunale ha ritenuto che la cms non rientri tra gli oneri che devono essere considerati ai sensi dell’art. 644, comma 4, cp.
Il dubbio interpretativo nasce dal fatto che quest’ultima disposizione normativa, nel definire gli elementi che concorrono alla formazione della soglia di usura, prevede che “per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito”.
In siffatto contesto normativo, la cms, definita come “il corrispettivo pagato dal cliente per compensare l’intermediario dell’onere di dover essere sempre in grado di fronteggiare una rapida espansione nell’utilizzo dello scoperto del conto” non è tenuta in considerazione dalle “istruzioni per la rilevazione del tasso effettivo globale medio ai sensi della legge sull’usura” emanate dalla Banca d’Italia, in vigore fino al secondo trimestre 2009. In altri termini, in base alle menzionate istruzioni, “la commissione di massimo scoperto non entra nel calcolo del TEG”.
La questione dirimente, in questo come in altri casi analoghi, concerne il valore (vincolante o meno) delle dette istruzioni della Banca d’Italia. Infatti, se dalle indicazioni dell’Organo di vigilanza potesse totalmente prescindersi, il giudice di merito (e per esso il consulente tecnico d’ufficio) potrebbe liberamente valutare quali, tra commissioni, remunerazioni e spese, siano gli elementi rilevanti ai fini del calcolo del tasso effettivo praticato in un’operazione di finanziamento, per confrontare il valore risultante con la soglia di usura.
Punto critico, tuttavia, è la considerazione che, così operando, si andrebbe a raffrontare alla soglia di usura un valore che sia giuridicamente che tecnicamente è disomogeneo rispetto ad essa.
Se, infatti, il tasso soglia si calcola sulla base del Tasso Effettivo Globale Medio e quest’ultimo, rilevato dalla Banca d’Italia, non tiene in considerazione la commissione di massimo scoperto, inserire quest’ultima, ex post, nel “costo” effettivo del finanziamento comporta certamente una distorsione del sistema.
Pare superfluo rilevare che se, anche prima del 2009, le direttive di Bankitalia avessero previsto l’inclusione della cms nel TEG, i tassi medi e, di riflesso, i tassi soglia, sarebbero stati proporzionalmente più elevati, escludendo probabilmente in casi come quello di specie, l’usurarietà del contratto bancario.
Non va trascurato, infine, che le dette istruzioni sono comunque vincolanti per gli istituti di credito, che non potrebbe operare in maniera difforme dalle indicazioni del proprio Organo di vigilanza.
Individuato il punctum dolens della questione, e tornando alla pronuncia in commento, il Tribunale di Ferrara, argomentando sul complessivo sistema normativo antiusura sistematicamente interpretato ha notato che non è possibile negare, alla luce della l. 108/1996, “la vigenza di un criterio legale pienamente tipico e tassativo di determinazione del TEG” che privilegia i contenuti della procedura amministrativa attratte in fonti normative di rango secondario abilitate.
Da tali premesse, conclude osservando che, nel meccanismo creato dal legislatore del 1996, periodicamente integrato dalle rilevazioni del costo del denaro, trasfuse nei decreti ministeriali trimestrali, la cms. rientra nella classe degli oneri che, pur sopportati dal cliente, non sono inclusi nei dati di calcolo del TEGM (si ribadisce, fino al secondo trimestre 2009), né di conseguenza può rilevare per accertare, nel concreto, il superamento della soglia di usura, sia perché viceversa sarebbero confrontati due dati disomogenei, sia per una questione di diritto intertemporale (una volta acclarato che le rilevazioni trimestrali e le istruzioni della Banca d’Italia rientrano a pieno titolo tra le fonti secondarie “abilitate”).
Sul punto si segnala che, tra gli altri, il Tribunale di Milano si è recentemente pronunciato in senso conforme, ritenendo che le istruzioni della Banca d’Italia hanno natura di “norme tecniche autorizzate” e che, pertanto, non può tenersi conto, in sede di calcolo del TEG, di meccanismi differenti da quelli ivi fissati.
Per approfondimenti, si veda:
NON PUÒ TENERSI CONTO DI CALCOLI DEL TEG EFFETTUATI SULLA BASE DI FORMULE DIFFERENTI
Sentenza | Tribunale di Milano, dott. A.S. Stefani | 03-06-2014 | n.7234
Testo del provvedimento
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