Testo massima
La mancanza dell’autorizzazione del giudice delegato ex art. 25, comma 6, L.F. si risolve in un difetto di legittimazione processuale del curatore fallimentare, sanabile in ogni momento, con efficacia retroattiva anche per i precorsi gradi del giudizio. Ai sensi dell’art. 182, comma 2, cpc, il giudice che rilevi l’esistenza di tale vizio ha l’obbligo e non più la mera facoltà di assegnare un termine perentorio per la sanatoria e non può emettere una pronuncia di rigetto in rito se non dopo che tale termine sia inutilmente decorso.
Sono questi i principi sanciti dalla Suprema Corte di Cassazione, sezione prima civile, nella sentenza n. 12947 del 7 marzo 2014.
Il caso ha visto la Corte di Appello di Roma revocare la sentenza del Tribunale di Tivoli che ad istanza del curatore aveva dichiarato il fallimento dei soci di illimitatamente responsabili di una società di fatto. Il Giudice d’appello aveva infatti accolto l’eccezione con la quale era stato contestato il difetto di legittimazione attiva del curatore a richiedere il fallimento in estensione in quanto non munito dell’autorizzazione scritta del giudice delegato ai sensi dell’art. 25, comma 6, L.F.. La Corte d’Appello aveva inoltre escluso che l’autorizzazione del giudice delegato potesse essere implicitamente contenuta nel decreto con il quale era stato dato atto del fatto che la procedura non disponeva di denaro sufficiente per sostenere le spese del procedimento per consentire al curatore di richiedere il fallimento in estensione.
Il curatore fallimentare ha pertanto proposto ricorso per cassazione, deducendo in particolare la violazione dell’art. 144 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 ed i giudici di legittimità hanno accolto i motivi di doglianza sollevati dal ricorrente.
L’art. 144 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – come noto – riconosce al fallimento l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, nel caso in cui il decreto del giudice delegato attesti che non è disponibile il denaro necessario per sostenere le spese di procedura. La Cassazione ha tuttavia osservato che l’art. 144 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 deve essere letto in collegamento con quanto disposto dall’art. 25, comma 6, L.F. in forza del quale è competenza del giudice delegato autorizzare per iscritto il curatore fallimentare a stare in giudizio come attore o come convenuto con riferimento ad uno specifico procedimento nel quale è tenuto a costituirsi quale rappresentante della massa dei creditori.
I giudici di legittimità hanno tuttavia evidenziato che alla luce di quanto disposto dall’art. 25 comma 6, L.F., il riferito provvedimento di autorizzazione non necessita di formule sacramentali. Ne discende pertanto che l’attestazione del giudice delegato nella quale venga decretato che il fallimento non dispone di liquidità necessarie a sostenere le spese del procedimento deve essere interpretata alla stregua di una implicita autorizzazione del curatore fallimentare a stare in giudizio nel processo.
La superfluità dell’autorizzazione ex art. 25, comma 6, L.F. risiede inoltre nel fatto che la decisione di agire o resistere in giudizio non è il frutto di una decisione del giudice delegato, essendo riservata al curatore fallimentare.
L’autorizzazione del giudice delegato non svolge difatti altra diversa funzione che quella di testimoniare l’avvenuto controllo in ordine alla legittimità e non anche il merito dell’iniziativa giudiziale. Il controllo del giudice delegato espresso con l’autorizzazione ex art. 25, comma 6, L.F., non è pertanto necessario nel caso in cui l’iniziativa giudiziale appaia doverosa e la legittimazione del curatore è espressamente prescritta dalla legge, così come avviene nell’ipotesi prevista dall’art. 147, comma 4, L.F. per la declaratoria di fallimento in estensione dei soci illimitatamente responsabili.
Alla luce del fatto che l’autorizzazione ex art. 25, comma 6, L.F. è richiesta soltanto nel caso in cui il curatore debba stare in giudizio come attore o convenuto, i giudici di legittimità hanno evidenziato che la richiesta della dichiarazione di fallimento in estensione non può essere riconducibile ad un procedimento con parti contrapposte. Nel procedimento di dichiarazione del fallimento in estensione, l’istante non assume infatti la posizione processuale di attore ed il fallendo quella di convenuto non solo perché il soggetto legittimato all’azione cioè il curatore non è titolare di un diritto soggettivo al fallimento del debitore, ma anche in ragione del fatto che l’accoglimento della domanda è idoneo a dar luogo ad un accertamento costitutivo erga omnes.
La Cassazione ha pertanto affermato che nel caso di specie il curatore fallimentare non aveva l’obbligo di munirsi della preventiva autorizzazione del giudice delegato per richiedere il fallimento in estensione.
Testo del provvedimento
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