ISSN 2385-1376
Testo massima
Si ringrazia per la segnalazione l’Avv. Lorenzo Barbieri del Foro di Venezia
In materia di usura bancaria, se è vero che la verifica del rispetto della soglia di usura va estesa alla pattuizione del tasso di mora, con la conseguenza che ove detto tasso risultasse pattuito in termini da superare il tasso soglia la pattuizione del tasso di mora sarebbe nulla ex art. 1815, II comma, cc, è anche vero che, al fine della verifica del rispetto del tasso soglia, non possono cumularsi il tasso corrispettivo e il tasso di mora.
Si potrebbe parlare di cumulo usurario di interesse corrispettivo e di interesse di mora soltanto nel caso in cui, in presenza di ritardato pagamento, il conteggio dell’interesse di mora sull’intera rata, comprensiva di interessi, sommato all’interesse corrispettivo, determinasse un conteggio complessivo di interessi che, rapportato alla quota capitale, si esprimesse in una percentuale superiore al tasso soglia, ipotesi di difficile verificazione.
Si è espresso in questi termini il Tribunale di Treviso, in composizione collegiale, con ordinanza resa all’esito di un procedimento di reclamo ex art. 669 terdecies, proposto dal cliente di un istituto di credito, avverso l’ordinanza ex art.700 cpc che aveva disposto l’immediato rilascio dell’immobile oggetto del contratto di locazione finanziaria intercorso tra le parti.
Tra i motivi principali di reclamo, la doglianza in ordine all’asserita applicazione di interessi usurari, dal momento che la soglia di usura sarebbe risultata superata, per effetto del cumulo del tasso corrispettivo e di quello moratorio.
La questione dell’usurarietà dei tassi di mora e del cumulo di questi ultimi con gli interessi corrispettivi, al fine del raffronto al tasso soglia, è di stringente attualità, soprattutto a seguito della nota sentenza n.350/2013 della Corte di Cassazione, che ha determinato in molti, tra gli operatori del diritto, l’erronea convinzione che la Suprema Corte abbia espresso un principio “rivoluzionario“, secondo il quale gli interessi corrispettivi vadano sempre sommati con quelli moratori al fine di determinare il tasso contrattuale applicato al rapporto.
In verità, come evidenziato più volte su questa rivista, in sede di commento delle pronunce di merito successive all’ultimo “arresto” della Cassazione (cfr., sul punto, la rassegna IL PUNTO SULL’USURA), gli Ermellini si sono limitati ad affermare che: «ai fini dell’applicazione dell’art. 644 c.p., e dell’art. 1815 c.c., comma 2, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, quindi anche a titolo di interessi moratori», consolidando un orientamento già espresso in Cass. 22/04/00 n. 5286 e Cass.4/04/03 n.5324.
Tale principio, seppur non immune da critiche per una serie di motivi che si trovano ben evidenziati nella recente decisione dell’Arbitro Bancario Finanziari, Collegio di Coordinamento, decisione n. 1875/2014 non può essere interpretato nel senso che gli interessi di mora (in sé considerati) vadano sempre e comunque sommati agli interessi corrispettivi, al fine della verifica del superamento della “soglia“.
Perciò, la giurisprudenza di merito ha elaborato un orientamento, che può dirsi in via di consolidamento, secondo il quale i due tassi, diversi per natura e funzione, nonché mai applicati cumulativamente e contestualmente alle obbligazioni pro rata del mutuatario (a meno di illegittime capitalizzazioni e/o differenti pattuizioni contrattuali), vanno confrontati autonomamente al tasso soglia, con la conseguenza che la sanzione punitiva di cui all’art.1815, comma 2 cc (nullità della clausola determinativa degli interessi) non potrà mai travolgere gli interessi corrispettivi lecitamente pattuiti, qualora gli interessi moratori (in sé considerati) risultassero usurari (cfr., ex multis, Tribunale di Trani, dott.ssa Francesca Pastore, ordinanza del 10.03.2014).
In tale contesto normativo-giurisprudenziale, la pronuncia del Tribunale di Treviso, qui in commento, s’inserisce a pieno titolo tra le decisioni che contribuiscono a delineare i confini del dictum della Suprema Corte.
Infatti, analizzata la doglianza della reclamante, limitatasi a dedurre la necessità di cumulare i valori del tasso corrispettivo e di quello moratorio, il Giudice ha nettamente rigettato una tale prospettazione, evidenziando (in tal senso perfettamente in sintonia con la citata pronuncia n.350/2013) che, se la verifica del rispetto della soglia di usura va estesa alla pattuizione del tasso di mora, con la conseguenza che ove detto tasso risultasse pattuito in termini da superare il tasso soglia la pattuizione del tasso di mora (si noti: e solo del tasso di mora!, ndr) sarebbe nulla ex art.1815, comma secondo, cc, non può affermarsi la necessità di sommare i due indici e di raffrontare alla soglia il tasso percentuale risultante.
Il Tribunale fornisce, sul punto, un ulteriore approfondimento: l’unica ipotesi di cumulo possibile sarebbe quella in cui, in caso di ritardato pagamento, il conteggio dell’interesse di mora sull’intera rata, comprensiva di interessi, sommato all’interesse corrispettivo, determinasse un valore complessivo d’interessi che, rapportato alla quota capitale (e questo pare l’aspetto determinante, ndr) si esprimesse in una percentuale superiore al tasso soglia.
Tale ipotesi chiarisce il Giudice non solo è di difficile verificazione, ma oltretutto non è stata nemmeno dedotta dalla reclamante e, vieppiù, nel corso del rapporto gli interessi di mora non sono stati mai conteggiati nel credito lamentato nei confronti della conduttrice.
Per tale motivo, il Tribunale è pervenuto al rigetto dell’argomentazione di parte reclamante.
Esulano da questa analisi gli ulteriori profili per i quali si è addivenuti al rigetto totale del reclamo, con adesione alle tesi prospettate dall’istituto di credito, per l’approfondimento dei quali si rinvia alla lettura integrale della pronuncia.
Possono, tuttavia, essere estrapolati due interessanti principi:
1. Il mutuo con piano di ammortamento “alla francese” non determina, di per sé, l’applicazione di interessi anatocistici, ma l’eventuale maggior ammontare degli interessi da versarsi, rispetto ai piani di ammortamento costruiti all’italiana, dipende non dall’applicazione di interessi composti, ma dalla diversa costruzione delle rate (sul punto si veda Tribunale di Pescara, dott.ssa Anna Fortieri, ordinanza del 10.04.2014)
2. In un contratto di leasing, è lecita la clausola risolutiva espressa che esclude il diritto in capo all’utilizzatore alla restituzione dei canoni corrisposti. Infatti, la disciplina pattizia prevale sulla norma codicistica di cui all’art.1526 cc, dettata in materia di vendita con riserva di proprietà, in quanto la locazione finanziaria costituisce una distinta tipologia contrattuale, caratterizzata dalla causa di finanziamento.
Orbene, la disapplicazione di una clausola di un contratto atipico presupporrebbe la necessità di operare un giudizio negativo di “meritevolezza” dell’interesse perseguito, che non è dato rinvenire nella pattuizione di specie, da ritenersi conforme alla ratio dell’art.1526 cc, in quanto la società, in caso di risoluzione, applica un sistema di calcolo che, nel prevedere l’obbligo di accreditare al contraente inadempiente il ricavato della riallocazione del bene sul mercato, le permette di realizzare un profitto sostanzialmente non maggiore di quello che sarebbe derivato dalla regolare esecuzione del contratto.
Testo del provvedimento
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