Testo massima
E’ sanzionato con la censura l’avvocato che accetta di seguire una causa contro due vecchi assistiti, l’uno in un procedimento penale e l’altro in un’attività stragiudiziale.
Questo è il principio di diritto sotteso alla pronuncia n. 11024 della Cassazione civile, sezioni unite del 25 marzo e pubblicata il 20 maggio 2014 in materia di disciplinare avvocati.
Nel caso di specie, un avvocato ha proposto ricorso avverso la decisione del Consiglio Nazionale Forense che lo aveva censurato per aver accettato l’incarico di sporgere denunzia querela in danno di due soggetti in favore dei quali, nel contempo, espletava attività difensiva.
Ad avviso del ricorrente, la pronunzia del Consiglio Nazionale Forense meritava censura per non aver riscontrato il difetto di correlazione tra incolpazione (riferita alla violazione dell’obbligo, ex art. 37 del codice deontologico, di astenersi dal prestare la propria attività professionale quando determini conflitto con gli interessi di un assistito) e decisione disciplinare (riferita alla violazione dell’obbligo, ex art. 51 del codice deontologico, di astenersi dall’assunzione di un incarico professionale contro ex cliente in assenza delle indicate condizioni e, in particolare, prima del decorso di almeno un biennio dalla cessazione del rapporto professionale).
Ebbene, la Suprema Corte, chiamata a pronunziarsi sulla questione, richiamando tra l’altro precedenti orientamenti giurisprudenziali in merito, ha affermato che in tema di procedimento disciplinare “la necessaria correlazione tra addebito contestato e decisione disciplinare non rileva in termini puramente formali. La regola correlativa, infatti, mirando a garantire pienezza ed effettività del contraddittorio sul contenuto dell’accusa ed a evitare che l’incolpato sia condannato per un fatto rispetto al quale non abbia potuto esplicare difesa, può ritenersi violata esclusivamente in presenza di modificazione degli elementi essenziali della materialità del fatto addebitato, che si traduca in effettivo pregiudizio per la possibilità di difesa e, dunque, solo in caso di radicale trasformazione dei profili fattuali della fattispecie concreta che ingeneri incertezza sullo stesso oggetto dell’imputazione”.
Il passaggio dell’inquadramento della fattispecie de quo dall’art. 37 al 51 del Codice deontologico è, dunque, solo una modifica della qualificazione giuridica, modifica che attiene ad un piano meramente formale e non sostanziale.
Alla luce di tali considerazioni, dunque, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso
Testo del provvedimento
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