ISSN 2385-1376
Testo massima
In materia di usura bancaria, quando la capitalizzazione trimestrale sia legittimamente pattuita, come da Delibera CICR del 09.02.2000, l’impatto di quest’ultima non può essere computato nel TEG, proprio perché l’interesse è capitalizzato, id est imputato a capitale, di tal che una diversa prospettazione è inficiata nel metodo, prima che nel merito.
Non può sostenersi il superamento del tasso soglia antiusura per effetto dell’inclusione della Commissione di Massimo Scoperto nel TEG, di contro alle direttive della Banca d’Italia antecedenti al 2009 (applicabili ratione temporis), atteso che l’istituto di credito non può discostarsi dalle istruzioni del suo organo di vigilanza.
La ritenuta illegittimità delle dette direttive che peraltro si riscontra in alcune pronunce della Corte di Cassazione porrebbe la Banca in una condizione obiettivamente inesigibile: ieri costretta a disattendere quanto stabilito – a torto o a ragione ma, certo, in modo non manifestamente illegittimo dall’organo di vigilanza, per non essere oggi, a seguito di una sopravvenuta giurisprudenza di legittimità, tacciata di applicazioni sostanzialmente usurarie.
Quando la commissione di massimo scoperto sia lecitamente pattuita, in maniera determinata o determinabile, non può sostenersi che questa sia priva di causa. Non pare corretto, infatti, scrutinare il requisito causale in relazione alla singola clausola di un contratto, specie allorquando essa non palesi alcuna autonomia rispetto al regolamento negoziale complessivo in cui s’iscrive. In tale prospettiva, anche la c.m.s. acquisisce una valenza causale, quale componente complessiva del costo del finanziamento, sub specie dell’intensità di utilizzo della provvista disponibile.
La questione dell’antergazione o postergazione dei giorni valuta, per fattispecie antecedenti al D.Lgs. Tremonti ter del 25.06.2009 ed alla Direttiva Europea sui Servizi di Pagamento (recepita con D.Lgs. 11/2010) è da intendersi posta praeter legem, con la conseguenza che non può di per sé affermarsi l’illegittimità di qualsivoglia prassi bancaria in tal senso.
È inammissibile l’azione di ripetizione di quanto illegittimamente addebitato dalla Banca per contratti di fido, qualora non vi sia evidenza della chiusura del conto corrente.
A meno che non si tratti di operazioni qualificabili in concreto come pagamenti (i.e. c.d. rimesse solutorie), l’azione di ripetizione del saldo rettificato è comunque inammissibile quando il conto sia in vita, in quanto essa non è ancora “sorta” ed il relativo termine di prescrizione non ha iniziato ancora a decorrere, poiché il saldo non è ancora esigibile sino a chiusura del conto.
In questi termini si è pronunciato il Tribunale di Torino, in persona del G.U. dott. Bruno Conca, con la sentenza n.3783 del 21 maggio 2014, risolvendo la controversia proposta in danno di un istituto di credito da un correntista, che aveva dedotto l’applicazione di tassi usurari, di commissioni di massimo scoperto invalide, asserita l’indebita antergazione/postergazione dei giorni valuta, nonché chiesto la dichiarazione di nullità dei contratti di fido, con conseguente azione di ripetizione del saldo rettificato.
Senza necessità di attività istruttoria, il Giudice torinese ha rigettato integralmente le pretese del cliente, applicando una serie di principi di diritto già ampiamente consolidati nella giurisprudenza di merito e di legittimità.
Nell’ordine, il Tribunale ha preliminarmente rigettato la domanda relativa all’asserita applicazione illegittima di interessi ultralegali, atteso che il cliente aveva prospettato la tesi della necessità di rinegoziazione delle nuove condizioni contrattuali, non essendo sufficiente l’assolvimento degli oneri di comunicazione. Tesi ovviamente infondata, non trovando riscontro nel dettato normativo applicabile.
Quanto all’applicazione dei tassi usurari, è assai ampia e articolata la motivazione con la quale è stata respinta la censura relativa al superamento del tasso soglia per effetto della capitalizzazione trimestrale.
Ove quest’ultima sia stata lecitamente pattuita, sotto la vigenza della Delibera CICR del 09.02.2000, essa non può essere considerata al fine della determinazione del TEG e ciò perché, come espresso in maniera approfondita in una precedente pronuncia del Tribunale di Torino (la n.2883/2012, che il Giudice espressamente richiama) il debito da interesse passivo viene conglobato nel capitale, così mutando di regime giuridico, da obbligazione accessoria d’interessi a obbligazione principale per sorte capitale, mutamento che non avviene – pienamente e di per sé nella fattispecie dell’anatocismo, che presenta caratteri diversi.
Tale affermazione trova riscontro anche in una precisa regola di matematica finanziaria, relativa al computo del TEG: sostenere che nel calcolo del tasso soglia occorra depurare il capitale dell’effetto della capitalizzazione degli interessi è incongruo: infatti, cosi come gli “interessi sugli interessi maturati nei trimestri precedenti” devono essere ricompresi nel numeratore, del pari gli interessi maturati nei trimestri precedenti non possono essere espunti dal denominatore. In tale ipotesi, infatti, si raffronterebbero dati non omogenei fra loro, considerato anche che il tasso soglia viene determinato sulla base di un tasso globale effettivo medio che ricomprende, nel denominatore, gli interessi maturati nei trimestri precedenti.
In tal senso, la prospettazione di parte attorea (così argomentava il Tribunale in un precedente riferentesi a fattispecie analoga) è inficiata nel metodo, non essendovi quindi evidenza del dedotto superamento del tasso soglia.
Quanto alla commissione di massimo scoperto, il Giudice torinese, rilevata la liceità della pattuizione di quest’ultima, è deciso nell’affermare la piena sussistenza di un valido elemento causale a supporto della stessa. Il discorso, infatti, più che sulla singola clausola, va spostato sul piano del negozio complessivamente considerato, sulla scorta dell’orientamento consolidato per il quale, in assenza di autonomia della singola pattuizione rispetto al regolamento negoziale complessivo in cui si iscrive, la causa non può che essere declinata in relazione al negozio nel suo complesso, quando non, addirittura, al collegamento funzionale di più contratti. È in tale prospettiva che la c.m.s. acquisisce una valenza causale, la quale non viene meno sol perché eventualmente si accerti che la pattuizione della stessa comporti un costo eccessivo del finanziamento.
Il Tribunale ha poi rigettato la domanda, in relazione alla illegittima antergazione/postergazione dei giorni valuta, per la genericità della deduzione, nonché per il fatto che, prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. Tremonti ter, del 25.06.2009, nonché della Direttiva Europea sui Servizi di Pagamento (recepita con D.Lgs. 11/2010), tale questione non trovava alcun riferimento normativo, con la conseguenza che, trattandosi di fattispecie praeter legem, non può affermarsi l’illegittimità in sé di qualsivoglia prassi bancaria in tal senso.
Infine, la pronuncia in esame riporta un importante principio in materia di ripetizione delle somme indebitamente applicate dalla Banca in un rapporto di conto corrente: quando il conto corrente sia ancora “in vita”, e salvo che non si tratti delle c.d. rimesse solutorie, cioè di operazioni in concreto qualificabili come pagamenti, l’azione di ripetizione del saldo rettificato non è ammissibile, siccome essa non è ancora sorta, con la conseguenza che il termine di prescrizione, ex art.2935 cc, non inizia a decorrere (actio nondum nata non praescribitur). L’azione “sorge”, in definitiva, solo quando il saldo diviene esigibile, vale a dire a chiusura del conto corrente.
In conclusione, la sentenza del Tribunale di Torino, rigettando in toto ogni domanda del cliente, ha fornito una chiara ricognizione di una serie di principi applicabili in materia di diritto bancario, con argomentazioni e tesi interessanti per l’attualità delle questioni e per la complessità di taluni profili, spesso equivocati sulla scorta di una parziale interpretazione del contesto normativo.
In materia di usura bancaria, in particolare, è opportuno sottolineare un principio richiamato dal Giudice e molto spesso trascurato dalla giurisprudenza di merito e di legittimità: al di là della valenza (amministrativa/regolamentare e non certamente attestantesi al vertice delle fonti normative) delle istruzioni della Banca d’Italia, l’illegittimità di queste ultime non può ripercuotersi sulla legittimità del contegno del singolo istituto di credito che abbia correttamente seguito le direttive del proprio organo di vigilanza, e ciò perché non è dato esigere dalla Banca di disattendere quanto richiesto da Bankitalia (in maniera non manifestamente illegittima) per non incorrere in responsabilità quando, a seguito di una sopravvenuta giurisprudenza di legittimità, le dette prescrizioni dovessero rivelarsi illegittime.
Tale principio era stato già chiaramente affermato dallo stesso Tribunale di Torino, in una pronuncia oggetto di commento su questa rivista, alla quale si rinvia per approfondimenti:
Il sopravvenuto orientamento giurisprudenziale, per quanto consolidato, non può determinare l’illegittimità del comportamento degli istituti di credito
Sentenza – Tribunale di Torino, dott.ssa Maurizia Giusta – 17-02-2014 – n.1244
Testo del provvedimento
In allegato il testo integrale del provvedimento
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Numero Protocolo Interno : 319/2014