ISSN 2385-1376
Testo massima
Il processo viene interrotto automaticamente se l’unico difensore della parte costituita muore, anche se il giudice e le altre parti non ne abbiano avuto conoscenza: il decesso preclude ogni ulteriore attività processuale con la conseguente nullità degli atti successivi e della sentenza di appello eventualmente pronunciata.
Questo è il principio di diritto sotteso alla sentenza n. 9623 della Cassazione, Seconda Sezione Civile, del 5 maggio 2014, con cui la suprema Corte ha deciso su un ricorso proposto dall’acquirente di un immobile avverso la decisione della Corte d’Appello di Roma di dichiarare l’intervenuta usucapione da parte dell’originaria proprietaria.
Il caso di specie, infatti, riguardava l’atto di compravendita di un villino, costruito abusivamente e di fatto mai liberato dalla precedente proprietaria. Il rogito notarile con cui era stato acquistato l’immobile risultava, dunque, oggetto di simulazione assoluta perché avvenuto per soli fini fiscali, tant’è che nessun prezzo era stato in effetti corrisposto.
Ebbene l’acquirente, dopo aver inutilmente proposto azione di reintegra nel possesso dinnanzi al Tribunale di Latina, presentava appello per veder dichiarata la validità del rogito notarile suddetto. La Corte territoriale, accogliendo l’appello incidentale di controparte, dichiarava, però, l’intervenuta usucapione da parte della precedente proprietaria. L’acquirente, dunque, spiegava ricorso per cassazione.
La ricorrente denunciava, fra gli altri motivi, la violazione dell’articolo 301 c.p.c., per il quale la morte del difensore comporta l’interruzione automatica del processo. Gli Ermellini, richiamando precedenti orientamenti giurisprudenziali della stessa Corte (Cassazione nn. 25234/2010, 12398/2007 e 26319/2006), hanno affermano, infatti, che “la morte dell’unico difensore della parte costituita, che intervenga nel corso del giudizio di secondo grado tra l’udienza di precisazione delle conclusioni e l’udienza collegiale, determina automaticamente l’interruzione del processo, anche se il giudice e le altre parti non ne abbiano avuto conoscenza e preclude ogni ulteriore attività processuale, con la conseguente nullità degli atti successivi e della sentenza di appello eventualmente pronunciata; l’irrituale prosecuzione del processo, nonostante il verificarsi dell’evento interruttivo, può essere dedotta e provata in sede di legittimità, ai sensi dell’articolo 372 c.p.c., mediante la produzione dei documenti all’uopo necessari, ma solo dalla parte colpita dal predetto evento, a tutela della quale sono poste le norme che disciplinano l’interruzione, non potendo quest’ultima essere rilevata d’ufficio dal giudice, né eccepita dalla controparte come motivo di nullità della sentenza”.
La riconosciuta fondatezza di detto motivo comporta la nullità del procedimento e della sentenza impugnata.
Alla luce di tali considerazioni, perciò, i Giudici di legittimità hanno cassato la sentenza impugnata rinviando ad altra sezione della Corte di Appello di Roma.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 28223/2008 proposto da:
C.L.
– ricorrente –
contro
V.A., S.B.;
– intimati –
Nonchè da:
V.A.
– c/ric. e ricorrente incidentale –
contro
C.L.
– controricorrente al ricorso incidentale –
e contro
S.B.;
– intimata –
avverso la sentenza n. 4049/2007 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 10/10/2007;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto regolarmente notificato in data 3.05.94 C.L. evocava in giudizio avanti al Tribunale di Latina, V.A. deducendo di essere proprietaria di un villino – sito nel comune di (OMISSIS) – che aveva acquistato con rogito notaio D’Agostino del 19.10.90, da S.B. che però le aveva trasmesso il solo possesso giuridico del detto fabbricato. Aggiungeva che l’immobile era in atto occupato dalla precedente proprietaria, la convenuta V.A., contro la quale aveva inutilmente promossa, nel 1994, l’azione di reintegra nel possesso del fabbricato stesso ai sensi dell’art. 1168 c.c., e art. 703 c.p.c.. Tanto premesso chiedeva la condanna della convenuta al rilascio del villino, oltre al risarcimento del danno.
Si costituiva in giudizio V.A. deducendo che, con rogito del 16.05.1974 ella aveva apparentemente venduto l’unita immobiliare in questione – senza però trasmetterne il possesso – a B. F., defunto coniuge della ricordata S.B., a cui questa era poi succeduta quale unica erede -, aggiungendo però che tale l’atto era nullo sia perchè riguardava un immobile abusivo sia perchè oggetto di simulazione assoluta, in quanto effettuato per ragioni di natura fiscale, tant’è che nessun prezzo era stato di fatto versato. Sottolineava ancora che doveva ritenersi nullo anche il successivo atto di compravendita del 19.10.90 con il quale la S. aveva ceduto l’immobile alla C., per carenza formale attinente all’abuso edilizio. Pertanto, in via principale chiedeva il rigetto della domanda attrice ed in via subordinata instava per la declaratoria di acquisto della proprietà dell’immobile per usucapione, che era nel frattempo maturata. Su istanza della convenuta, veniva chiamata in causa la S., la quale nel costituirsi, contestava le domande contro di lei formulate.
La causa – previa istruttoria della stessa – veniva decisa con sentenza n. 2030 del 2001, dal Tribunale di Latina, il quale rigettava sia la domanda principale della C. che la riconvenzionale della V..
Avverso la sentenza proponeva appello la C. per sentir dichiarare in parziale riforma della stessa, la validità del rogito notaio D’Agostino datato 19.10.90, stipulato tra essa C. e la S. (erede di B.F., a sua volta avente causa da V.A., atto che il tribunale aveva erroneamente ritenuto nullo. Quest’ultima si costituiva e proponeva appello incidentale per l’accoglimento, in via subordinata, della propria riconvenzionale demanda di usucapione.
L’adita Corte d’Appello di Roma, con sentenza n. 4049/07, in accoglimento dell’appello principale, dichiarava che il contratto di compravendita in data 19.10.90 non era affetto da nullità;
accoglieva altresì l’appello incidentale e dichiarava l’intervenuta usucapione da parte dei V.A. della proprietà dell’immobile di cui trattasi, compensando tra le parti le spese di giudizio.
La Corte capitolina riteneva che nel menzionato atto di compravendita del 19.10.90 vi era comunque, in conformità della L. n. 47 del 1985, art. 40, la dichiarazione che la costruzione dell’immobile era anteriore alla data del 1 settembre 1967. Riteneva altresì, quanto alla domanda di usucapione della V., che la medesima avesse sempre avuto il possesso del’immobile con l’animus rem sibi habendi anche dopo l’alienazione del 1974 che non comportò la trasformazione del possesso in detenzione (costituto possessorio), per cui non era necessario atti idonei all’interversio possessionis per riaffermare la volontà di tenere la cosa con l’animo del possessore.
Avverso la pronuncia C.L. propone ricorso per cassazione sulla base di n. 5 mezzi; V.A. resiste con controricorso e formula ricorso incidentale, al quale replica con controricorso la C.. L’intimata S.B. non ha svolto difese. V.A. ha depositato memoria illustrativa.
Motivi della decisione
1 – Il ricorso principale si articola nei seguenti motivi:
Con il 1 MOTIVO, la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 301 c.p.c.: “Nullità degli atti processuali e delle sentenza emessa della Corte d’Appello di Roma senza interruzione per decesso dell’unico difensore costituito per la sig.ra C.L.”.
Con il 2 MOTIVO l’esponente deduce la nullità del procedimento per difetto del mandato alle liti (artt. 83 e 125 c.p.c.): la procura alle liti posta in calce alla citazione in appello passiva dalla V., non sarebbe valida per l’appello incidentale, che avrebbe bisogno di una mandato difensivo ad hoc.
Con il 3 MOTIVO: l’esponente denuncia la violazione norma concernenti il possesso uti dominus (artt. 1140, 1158 e 1165 c.c.) dell’immobile.
Si assume che la V. era solo una comunista e non aveva il possesso esclusivo del villino venduto (possesso uti dominus).
Con il 4 MOTIVO: si denunzia la violazione della norma concernenti il possesso uti dominus del detentore (art. 1140, 1158 e 1141 c.c.;
assume che la V. era da qualificarsi come detentrice (anzi così si era essa stessa qualificata nell’atto di vendita) e non era posseditrice uti dominus perchè era rimasta dopo la vendita del cespite nella sola detenzione del villino.
Con il 5 MOTIVO: violazione norma concernenti il decorso ventennale del possesso e le norme sull’interruzione dell’usucapione (artt. 1140, 1158 e 1165 c.c.). La V. anche se avesse conseguito il possesso ventennale dell’immobile (nel 1974), lo stesso era stato interrotto prima del ventennio allorchè nel 1994 la C. aveva proposto l’azione di reintegra.
Passando al ricorso incidentale della V., lo stesso si articola in 2 motivi, con cui si censura la sentenza nel punto in cui ha affermato la validità dell’atto di vendita del 19.10.90 nonostante che per l’immobile, non era stata mai rilasciata la concessione edilizia.
2 – In via preliminare occorre procedere all’esame del 1 motivo del ricorso principale, con il quale deduce la ricorrente che, “in via preliminare va sollevata la nullità degli atti processuali ed in particolare della sentenza impugnata perchè successivi al decesso dell’avv. Fiore Mauro, unico difensore costitutivo per la sig.ra C.L., avvenuto in Roma il 05.11.2006 (come certificato in atti) mentre la causa veniva trattenuta in decisione all’udienza del 08.05.07”.
La doglianza è fondata.
Invero, in base all’art. 301 c.p.c., la morte del difensore comporta l’interruzione del processo e non v’è dubbio che la norma opera in modo “automatico”.
Questa S.C. si è più volte in tal senso pronunciata, con decisione riguardante analoga fattispecie, che si ritiene di dover condividere:
“La morte dell’unico difensore della parte costituita, che intervenga nel corso del giudizio di secondo grado tra l’udienza di precisazione delle conclusioni e l’udienza collegiale, determina automaticamente l’interruzione del processo, anche se il giudice e le altre parti non ne abbiano avuto conoscenza, e preclude ogni ulteriore attività processuale, con la conseguente nullità degli atti successivi e della sentenza di appello eventualmente pronunciata; l’irrituale prosecuzione del processo, nonostante il verificarsi dell’evento interruttivo, può essere dedotta e provata in sede di legittimità, ai sensi dell’art. 372 c.p.c., mediante la produzione dei documenti all’uopo necessari, ma solo dalla parte colpita dal predetto evento, a tutela della quale sono poste le norme che disciplinano l’interruzione, non potendo quest’ultima essere rilevata d’ufficio dal giudice, nè eccepita dalla controparte come motivo di nullità della sentenza (Cass. Sentenza n. 26319 del 11/12/2006; Cass. 12398 del 28/05/2007; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 25234 del 14/12/2010).
La riconosciuta fondatezza di tale motivo, comporta la nullità del procedimento e della sentenza impugnata, con il conseguente assorbimento degli altri motivi del ricorso principale nonchè del ricorso incidentale.
Conclusivamente si accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbiti gli altri e il ricorso incidentale; va cassata la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e si rinvia la causa, anche per le spese di questo giudizio, ad altra sezione della Corte d’Appello di Roma.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbiti gli altri e il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese, ad altra sezione della Corte d’Appello di Roma.
Così deciso in Roma, il 13 marzo 2014.
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