ISSN 2385-1376
Testo massima
È vietata l’assunzione come testimoni dei Giudici che hanno composto il Collegio nell’ambito del processo in cui hanno svolto le loro funzioni anche nella ipotesi in cui la prova testimoniale sia unicamente finalizzata all’accertamento di un errore materiale nell’atto al quale figurano avere partecipato.
È questo il principio ribadito dalla Corte costituzionale con l’ordinanza n.66 emessa in data 26 marzo 2014 nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 197, comma 1, lettera d), del codice di procedura penale, promosso dalla Corte di appello di Venezia.
Nel caso di specie, vi era stato un errore materiale nella redazione del verbale di udienza, il cui accertamento avrebbe consentito di superare l’eccezione di nullità formulata dalla difesa degli imputati e solo la testimonianza del giudice avrebbe permesso di superare lo stato d’incertezza e respingere tale eccezione di nullità.
A tale esame ostava però il disposto dell’art.197, comma 1, lettera d, cpp, che prevede l’incapacità assoluta del giudice e del pubblico ministero a testimoniare sui fatti appresi e sulle attività svolte nell’esercizio delle funzioni giudiziarie.
Ebbene, sollevata questione di legittimità, la Corte Costituzionale ha ritenuto che lo status di vera e propria incapacità a testimoniare, delineato dall’art.197, comma 1, lettera d, cpp, in realtà fosse pienamente giustificato in ragione dell’assoluta inconciliabilità funzionale tra il ruolo dei giudici e quello di testimone.
In particolare, i giudici costituzionali hanno altresì precisato che, quando i fatti sono appresi nell’esercizio delle funzioni giudiziarie, l’assoluta inconciliabilità tra le funzioni di giudice o pubblico ministero e l’ufficio di testimone emerge dalla constatazione che tali soggetti, ove prestassero l’ufficio di testimone, verrebbero ad assumere un ruolo ontologicamente incompatibile con le rispettive posizioni processuali di assoluta terzietà e imparzialità del giudice, di personale estraneità e distacco del pubblico ministero dai fatti di causa.
Alla luce di tali considerazioni, dunque, la Corte Costituzionale ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art.197 comma 1, lettera d), del codice di procedura penale, posta dalla Corte di Appello di Venezia.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
ha pronunciato la seguente:
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 197, comma 1, lettera d), del codice di procedura penale, promosso dalla Corte d’appello di Venezia nel procedimento penale a carico di M.I. e Z.L. con ordinanza del 21 febbraio 2013, iscritta al n. 129 del registro ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell’anno 2013.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 12 marzo 2014 il Giudice relatore Giuseppe Frigo.
Ritenuto che, con ordinanza del 21 febbraio 2013, la Corte d’appello di Venezia ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 97 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 197, comma 1, lettera d), del codice di procedura penale, nella parte in cui «non consente l’assunzione come testimoni dei Giudici che hanno composto il Collegio nell’ambito del processo in cui hanno svolto le loro funzioni anche nella ipotesi in cui la prova testimoniale sia unicamente finalizzata all’accertamento di un errore materiale nell’atto al quale figurano avere partecipato»;
che la Corte rimettente riferisce che, nel giudizio di appello di cui è investita, sussiste l’esigenza di accertare l’effettiva composizione del Tribunale collegiale di Vicenza davanti al quale si è svolta l’udienza dibattimentale di primo grado del 16 ottobre 2009: ciò, in correlazione all’eccezione di nullità della sentenza impugnata per violazione del principio di immutabilità del giudice (art. 525, comma 2, cod. proc. pen.), sollevata dai difensori degli imputati nei motivi di appello;
che a fronte dell’indicazione contenuta nel verbale di udienza, stando alla quale il collegio era composto da tre giudici tutti in servizio presso il Tribunale di Vicenza, risultava agli atti un decreto del Presidente della Corte d’appello di Venezia del 9 ottobre 2009, che aveva disposto l’applicazione al Tribunale, per la predetta udienza, di un giudice in servizio presso la Corte d’appello;
che tale circostanza faceva supporre che vi fosse stato un errore materiale nella redazione del verbale di udienza, il cui accertamento avrebbe consentito di superare l’eccezione di nullità formulata dalla difesa;
che, al fine di confermare una simile ipotesi, si rendeva necessario procedere all’esame testimoniale dei giudici dianzi indicati, ovvero del cancelliere che aveva redatto il verbale;
che a siffatto esame ostava, tuttavia, il disposto dell’art. 197, comma 1, lettera d), cod. proc. pen., che – secondo quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 215 del 1997 – prevede l’incapacità assoluta del giudice e del pubblico ministero (e dei rispettivi ausiliari) a testimoniare sui fatti appresi e sulle attività svolte nell’esercizio delle funzioni giudiziarie, con riguardo al processo in corso;
che il giudice a quo dubita, tuttavia, della legittimità costituzionale della norma, nella parte in cui preclude in assoluto l’esame testimoniale del giudice, anche quando esso verta non sui fatti relativi all’oggetto dell’imputazione o sulle attività svolte nel processo, ma sulla sola circostanza della presenza in udienza dell’esaminando quale componente del collegio giudicante, ai fini della verifica dell’esistenza di un errore materiale nella redazione del verbale;
che la preclusione censurata si porrebbe in contrasto con i principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, tutelati dagli artt. 97 e 111 Cost., nonché con il generale principio di ragionevolezza, sancito dall’art. 3 Cost., facendo sì che il giudizio debba regredire in primo grado in conseguenza dell’impossibilità di accertare un errore materiale;
che la questione sarebbe rilevante nel giudizio a quo, giacché dal suo accoglimento dipenderebbe la possibilità di assumere una prova decisiva per l’accertamento di un errore materiale nella redazione del verbale dell’udienza dibattimentale di primo grado, accertamento che permetterebbe, a sua volta, di evitare la dichiarazione di nullità della sentenza impugnata;
che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata.
Considerato che la Corte d’appello di Venezia dubita della legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 97 e 111 della Costituzione, dell’art. 197, comma 1, lettera d), del codice di procedura penale, nella parte in cui non consente di assumere come testimoni coloro che, nel medesimo procedimento, hanno svolto la funzione di giudice – in particolare, quali componenti di un collegio – neppure nel caso in cui la prova testimoniale sia finalizzata esclusivamente ad accertare l’esistenza di un errore materiale nella redazione del verbale che documenta gli atti ai quali hanno partecipato;
che, quanto alla dedotta violazione dell’art. 97 Cost., il parametro evocato è inconferente, giacché, per costante giurisprudenza di questa Corte, il principio del buon andamento è riferibile all’amministrazione della giustizia soltanto per quanto attiene all’organizzazione e al funzionamento degli uffici giudiziari, e non anche in rapporto all’esercizio della funzione giurisdizionale (ex plurimis, sentenza n. 10 del 2013, ordinanze n. 243 del 2013 e n. 84 del 2011), alla quale, per converso, evidentemente si riferisce la norma processuale censurata;
che analoga conclusione si impone quanto alla dedotta violazione del principio di ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.), avuto riguardo all’esigenza di evitare che, nel caso di specie, il processo debba regredire in primo grado quale conseguenza della dichiarazione di nullità della sentenza appellata (dichiarazione evitabile ove si accertasse l’errore materiale);
che quello denunciato non è altro che un inconveniente di fatto, legato alle particolari modalità di svolgimento del giudizio a quo, e non certo un effetto collegato alla struttura della norma censurata: vietare di assumere come testimoni i giudici nello stesso processo in cui hanno svolto le loro funzioni non allunga sicuramente, di per sé, i tempi processuali (sulla irrilevanza nel giudizio di legittimità costituzionale degli inconvenienti di fatto non direttamente riconducibili all’applicazione della norma denunciata, ex plurimis, sentenza n. 230 del 2010, ordinanze n. 112 del 2013 e n. 270 del 2012);
che quanto, infine, all’asserita violazione del principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.), questa Corte ha già avuto modo di rimarcare come la lettera d) del comma 1 dell’art. 197 cod. proc. pen. delinei nei confronti del giudice – oltre che del pubblico ministero e dei loro ausiliari – «uno status di vera e propria incapacità a testimoniare», pienamente giustificato in ragione dell’«assoluta inconciliabilità funzionale» tra il ruolo dei predetti soggetti e quello di testimone (sentenza n. 215 del 1997);
che, in particolare, «quando [-] i fatti sono appresi nell’esercizio delle funzioni giudiziarie, l’assoluta inconciliabilità tra le funzioni di giudice o pubblico ministero e l’ufficio di testimone emerge dalla constatazione che tali soggetti, ove prestassero l’ufficio di testimone, verrebbero ad assumere un ruolo ontologicamente incompatibile con le rispettive posizioni processuali di assoluta terzietà e imparzialità del giudice, di personale estraneità e distacco del pubblico ministero dai fatti di causa» (sentenza n. 215 del 1997);
che siffatta conclusione non solo non perde validità, ma si impone anzi a maggior ragione nella specifica ipotesi alla quale è riferita l’odierna questione, la quale mira, nella sostanza, a far sì che i giudici possano essere chiamati a testimoniare per evitare la dichiarazione di nullità di atti da essi compiuti, anche in deroga al principio – immanente al vigente sistema processuale – di tipicità della documentazione degli atti mediante verbale;
che è ben possibile, in effetti, che il verbale di udienza sia inficiato da un errore materiale, desumibile aliunde, riguardo all’indicazione di taluno dei componenti del collegio giudicante: ma è del tutto ragionevole che la relativa dimostrazione non possa essere offerta, nel medesimo processo, tramite la testimonianza dei diretti interessati;
che la questione va dichiarata, pertanto, manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
P.Q.M.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 197, comma 1, lettera d), del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 97 e 111 della Costituzione, dalla Corte d’appello di Venezia con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 marzo 2014.
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Numero Protocolo Interno : 244/2014