ISSN 2385-1376
Testo massima
In tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali, la prova documentale contraria ammessa per il contribuente riguarda la sola disponibilità di redditi ovvero di redditi esenti o di redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, e non anche l’essere stata la spesa per incrementi patrimoniali sostenuta proprio con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, e non già con qualsiasi altro reddito.
Maggiori chance difensive vengono offerte al contribuente, qualora egli riesca a dimostrare che l’acquisto dei beni di lusso è avvenuto con disponibilità finanziarie esenti o con ritenuta alla fonte.
È quanto si apprende dalla Sentenza n. 6396 della Corte di Cassazione, sezione tributaria, depositata il 19/03/2014, nella quale i Supremi Giudici hanno accolto l’appello proposto da un contribuente avverso un avviso di accertamento, col quale l’Ufficio procedeva alla ripresa a tassazione di IRPEF ed addizionali regionali, rettificando ex art. 38, DPR 600/73 (c.d. accertamento sintetico), il reddito dichiarato dallo stesso. Tale reddito, infatti, era ritenuto incongruo rispetto agli acquisti di autovetture (di grossa cilindrata) ed imbarcazioni effettuati dal contribuente tra il 2003 ed il 2005, oltre al possesso di altre due autovetture, un’ulteriore imbarcazione ed alla disponibilità in uso esclusivo di cinque immobili.
Il contribuente impugnava il suddetto avviso dinnanzi alla CTR competente, risultando parzialmente vittorioso. Quest’ultima pronuncia veniva, quindi, fatta oggetto di censura presso la Suprema Corte che, con l’articolata sentenza in commento, accoglieva pienamente le doglianze del contribuente, respingendo il ricorso incidentale dell’Agenzia.
Il contribuente aveva dimostrato in maniera puntuale ed analitica la provenienza delle risorse impiegate per effettuare gli acquisti contestati (che, nella fattispecie consistevano in una cospicua somma di denaro ricevuta in donazione dalla madre, oltre a redditi da capitale ed altri derivanti dalla dismissione di alcuni assets).
I giudici nomofilattici, chiamati a pronunciarsi sul caso, hanno correttamente statuito come non sarebbe in ogni caso sostenibile che il contribuente sia gravato dall’onere di dimostrare che proprio le somme possedute siano quelle materialmente spese per gli incrementi patrimoniali. “Così facendo infatti argomenta la Corte l’Agenzia aveva finito col pretendere una prova diabolica o quasi diabolica. In realtà, per superare gli elementi indicati dall’ufficio il contribuente era tenuto solamente a dimostrare, e ciò ha fatto in concreto, di avere delle ricchezze a disposizione per donazioni, oppure per disponibilità di redditi esenti da imposta o da obbligo dichiarativo in quanto assoggettati ad imposta sostitutiva”.
Principio, quest’ultimo, particolarmente singolare in capo ai giudici di merito posto che, con precedenti pronunce (vedi per tutte nn. 6813/09, 2375/10 e, da ultimo, 4183/13), la medesima sezione tributaria aveva affermato l’esatto contrario, ossia che, per superare le presunzioni di spesa derivanti dal redditometro, non è sufficiente la mera esibizione della disponibilità di redditi, ma è necessaria la dimostrazione dell’esistenza della causalità tra il possesso del reddito (esente o soggetto a ritenuta alla fonte) ed il sostenimento della spesa, con la conseguenza che la mancata dimostrazione del nesso eziologico tra spesa e reddito avrebbe condotto ex se al mancato superamento della prova contraria.
Con l’odierna pronuncia, quindi, gli Ermellini hanno di fatto censurato la prassi dell’Amministrazione Finanziaria di richiedere al contribuente la dimostrazione del fatto che proprio quei maggiori redditi contestati siano, nello specifico, stati utilizzati per effettuare gli incrementi patrimoniali. Aspetto questo, tutt’altro che secondario, posto che, come correttamente argomentato dai giudici, fino ad oggi il contribuente era onerato da una probatio diabolica, difficilmente (se non improbabilmente) superabile.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 16732/2012 proposto da:
Z.A.G.
– ricorrente –
contro
MINISTERO ECONOMIA E FINANZE, AGENZIA DELLE ENTRATE, AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE II MILANO UFFICIO TERRITORIALE DI MILANO (OMISSIS);
– intimati –
Nonchè da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
contro
Z.A.G.
– controricorrente a ricorso incidentale –
e contro
MINISTERO ECONOMIA E FINANZE, AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE II MILANO UFFICIO TERRITORIALE DI MILANO (OMISSIS);
– intimati –
avverso la sentenza n. 5/2012 della COMM.TRIB.REG. di MILANO, depositata il 10/01/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28/01/2014 dal Consigliere Dott. ROBERTO GIOVANNI CONTI;
udito per il controricorrente l’Avvocato (OMISSIS) che ha chiesto il rigetto del ricorso principale;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FIMIANI Pasquale, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso principale, accoglimento del ricorso incidentale.
Svolgimento del processo
1. L’Agenzia delle Entrate di Milano 6 notificava al contribuente Z.A.G. un avviso di accertamento per la ripresa a tassazione di IRPEF, addizionale regionale e sanzioni relativi all’anno 2004, rettificando il reddito dichiarato – pari a Euro 3.708,00- ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 38 e 41 bis, e ritenendolo incongruo rispetto agli acquisti di autovetture ed imbarcazioni operati dal contribuente fra il 2003 ed il 2005, al possesso di due autovetture e di un’ulteriore imbarcazione nonchè alla disponibilità di cinque immobili, per un valore complessivo pari a Euro 1.230.000,00.
2. L’Ufficio, considerando il reddito per anno necessario per le disponibilità riscontrate, rideterminava per l’anno in esame il reddito del contribuente in Euro 391.737,00.
3. Il contribuente proponeva ricorso innanzi alla CTP di Milano sostenendo l’incongruità dei conteggi operati dall’Ufficio, la motivazione incongrua dell’avviso di accertamento e rilevando l’esistenza di disponibilità economiche che avevano giustificato gli acquisti.
4. La CTP di Milano accoglieva parzialmente il ricorso, rideterminando il reddito del contribuente in Euro 174.924,92.
5. Avverso la decisione di primo grado il contribuente e l’Ufficio proponevano rispettivamente appello principale e appello incidentale.
6. La CTR della Lombardia, con sentenza n.5/24/2012 pubblicata il 10.1.2012 respingeva le impugnazioni compensando le spese.
6.1 Secondo i giudici di appello l’accertamento fondato sui parametri di cui ai D.M. 10 settembre 1992, e D.M. 19 novembre 1992, si fondava sulla presunzione legale a favore dell’Amministrazione nascente dai parametri, dovendo il contribuente fornire con qualsiasi argomentazione la dimostrazione della insussistenza degli elementi e delle circostanze di fatto sulle quali si basa l’accertamento e conseguentemente del reddito accertato.
6.2 Il contribuente, inoltre, aveva dimostrato di non essere più titolare dell’autovettura Jaguar dall’anno 1981, pure documentando che l’acquisto dell’imbarcazione AZIMUT 55 era avvenuto non in contanti ma in forza di un contratto di leasing. Sulla base di questi due elementi la CTP aveva correttamente rideterminato il reddito del contribuente. Non poteva, tuttavia – per la CTR – condividersi l’assunto del contribuente in ordine al sostenimento delle spese con la donazione di Euro 700.000,00 ricevuta dalla madre del suddetto nell’anno 2004, la stessa risultando da scrittura privata non autenticata non suffragata da data certa, nemmeno potendosi considerare la data di inserimento nella denunzia di successione che sembrava rivestire “i crismi di una strategia difensiva per contrastare l’accertamento in esame”.
6.3 Aggiungeva la CTR, quanto ai redditi da capital gain, che non appariva sufficientemente dimostrata la provenienza ed effettiva disponibilità finanziaria per l’effettuazione delle acquisizioni.
6.4 La CTR rigettava, infine, l’appello incidentale ritenendo che le spese sostenute negli anni 2006 e 2007 non erano state adeguatamente esplicitate nell’avviso di accertamento.
6.5 Il contribuente ha proposto ricorso per Cassazione affidato a un’unica complessa censura, al quale ha resistito l’Agenzia delle entrate con controricorso e ricorso incidentale affidato a un unico motivo. La parte contribuente ha depositato controricorso e memoria ex art. 374 c.p.c..
Motivi della decisione
7. Con l’unica complessa censura la parte ricorrente principale deduce i vizi di violazione di legge e di motivazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, rilevando che il giudice di appello, pur affermando che il contribuente poteva fornire prova contraria agli accertamenti dell’Ufficio sinteticamente determinati, aveva omesso di considerare gli elementi, documentalmente prodotti nel corso del giudizio di primo grado, che erano in grado di provare il possesso di redditi esenti, soggetti a imposizione alla fonte o legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile per giustificare le spese indicate dall’Ufficio.
7.1 In questa direzione, ad avviso del ricorrente, deponevano le ampie disponibilità finanziarie, rappresentate da titoli azionali, obbligazionari e titoli di stato oltre che la donazione di 700.00,00 Euro ricevuta dalla madre e documentata, nel corso del giudizio, dalla produzione della scrittura privata e del versamento sul conto corrente intestato al contribuente del novembre 2004. Le motivazioni esposte dalla CTR erano sul punto sbrigative quanto alle disponibilità certificate dalla Banca Euromobiliare ed errate quanto alla donazione della madre dovendosi ritenere, nonostante quanto prospettato dalla CTR, che la scrittura privata, indicata nella denunzia di successione e per la quale era stata pagata la relativa imposta, aveva quanto meno data certa dalla morte della donante ed era comunque attestata dal versamento risultante sul conto corrente.
Il vizio di motivazione era dunque palese sotto il profilo della decisività degli elementi non considerati.
8. L’Agenzia delle entrate, nel controricorso, ha dedotto l’infondatezza delle censure tanto sotto il profilo della violazione di legge che rispetto al prospettato vizio di motivazione.
8.1 Quanto alla prima questione, evidenzia che la giurisprudenza di questa Corte aveva ormai ammesso la piena operatività del sistema dell’accertamento sintetico alla stregua del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, determinando una presunzione di fondatezza della pretesa impositiva che aveva l’effetto di spostare l’onere della prova sul contribuente.
8.2 Quanto al dedotto difetto di motivazione, l’Agenzia osserva che la CTR aveva correttamente esaminato il materiale probatorio agli atti, ritenendo che il contribuente non aveva fornito la prova di avere utilizzato le disponibilità esistenti o parte di esse a giustificazione delle spese sostenute per incrementi patrimoniali rilevati a suo carico. Peraltro, proprio dalla documentazione prodotta dal contribuente era risultata una minusvalenza patrimoniale che, ben lungi dal tradursi in una potenzialità finanziaria, costituiva ulteriore elemento incompatibile con gli incrementi patrimoniali e con gli indici di spesa posti a fondamento della pretesa erariale.
8.3 Anche la documentazione relativa al capital gain, a parte la sua scarsa intelligibilità, non era oggettivamente idonea, per l’Agenzia, a comprovare con certezza la provenienza ed effettiva disponibilità della provvista finanziaria necessaria per l’effettuazione degli acquisti, riscontrati come enormemente sproporzionati rispetto al reddito dichiarato.
9. La parte contribuente, nel controricorso ex art. 371 c.p.c., comma 4, depositato in replica al ricorso incidentale dell’Agenzia, ha poi esposto ulteriori argomenti a sostegno della censura formulata in ricorso, contestando le prospettazioni esposte dall’Agenzia. Non poteva infatti sostenersi che il contribuente fosse gravato dell’onere di dimostrare che proprio le somme possedute fossero quelle effettivamente spese per gli incrementi patrimoniali. Così facendo, infatti, l’Agenzia aveva finito col pretendere una prova diabolica o quasi diabolica. In realtà, per superare gli elementi indicati dall’ufficio il contribuente era tenuto solamente a dimostrare – e ciò aveva fatto in concreto – “… di avere delle ricchezze a disposizione per donazioni, oppure per disponibilità di redditi esenti da imposta o da obbligo dichiarativo in quanto assoggettati ad imposta sostitutiva”.
10. Per un più agevole esame della vicenda è opportuno premettere che la parte contribuente non pone in discussione che, per effetto dell’accertamento sintetico disciplinato dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 – nella versione ratione temporis vigente -, l’Ufficio possa beneficiare di una presunzione legale relativa fondata sui coefficienti redditometrici che il contribuente può superare fornendo la prova contraria. Su tale questione, decisa conformemente dalla CTR, deve ritenersi ormai formato il giudicato, ancorchè si rinvengano precedenti di questa Corte che tale principio hanno talvolta declinato in maniera parzialmente diversa – cfr., da ultimo, Cass. n. 25532/12- a fronte di un indirizzo, numericamente più consistente, orientato in maniera conforme ai principi esposti dalla CTR sul presupposto che è la fonte legale (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, cit.) a prevedere che la disponibilità di taluni beni (art. 2, D.P.R. ult.cit.) costituisce una presunzione legale di capacità contributiva che il contribuente può vincere provando che il reddito presunto sia esente, soggetto a ritenuta d’imposta o sia alimentato da indebitamento o da erogazione di patrimonio – v. Cass. n. 14168/12- .
10.1 A parte tale questione, che nel caso di specie assume marginale rilievo, il tema di indagine demandato a questa Corte è dunque esclusivamente correlato alle valutazioni che la CTR ha espresso in ordine alle prove che il contribuente assume di avere fornito per superare la presunzione alla quale l’Ufficio si è richiamato per giustificare la ripresa a tassazione.
10.2 Secondo la parte ricorrente principale, infatti, la motivazione addotta dalla CTR sarebbe “sbrigativa” in quanto il contribuente aveva fornito tutti gli elementi documentali idonei a dimostrare l’esistenza di disponibilità finanziarie capaci di giustificare le spese correlate al possesso di beni e gli incrementi patrimoniali, inizialmente stimate dall’Ufficio, per l’anno in esame, in Euro 1.230.000,00.
10.4 A tale risultato l’Amministrazione era giunta considerando, per il periodo 2003/2005:a) per l’anno 2003, la vendita di un’ imbarcazione per Euro 10.000,00;b) per l’anno 2004, l’acquisto di altra imbarcazione (Zanuc II – stimato quale incremento patrimoniale pari ad Euro 280.000,00 sulla base del prezzo di vendita dello stesso natante riscontrato nell’anno 2005); c) per l’anno 2005, l’acquisto dell’imbarcazione da diporto Azimut a mezzo leasing per un corrispettivo stimato in Euro 960.000,00, da considerare come spese per incremento patrimoniale che l’Ufficio ha ritenuto sostenute, come tutte le precedenti indicate, con redditi conseguiti in quote costanti nell’anno in cui era stata effettuata e nel quadriennio precedente. A tali dati l’Ufficio aveva aggiunto i valori correlati al possesso di un auto a benzina Jaguar e di un’altra a gasolio, al possesso dell’imbarcazione a motore ed al possesso della residenza principale e di altre quattro residenze secondarie.
10.5 Sulla base di tali dati l’Ufficio, a fronte di un reddito dichiarato per l’anno 2004 in Euro 3.708,00, rideterminava il reddito per l’anno in esame in Euro 391.737,00.
10.6 In definitiva, l’Ufficio aveva determinato in via sintetica il reddito del contribuente avvalendosi, in parte, del meccanismo del c.d. redditometro che desumeva in via induttiva l’esistenza di elementi indicativi di capacità contributiva in forza dei D.M. che individuano la disponibilità dei beni ivi indicati come indici e coefficienti presuntivi di capacità contributiva ai fini dell’applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, comma 4, (accertamento con metodo sintetico) nella condizione di chi “a qualsiasi titolo o anche di fatto utilizza o fa utilizzare i beni” – nel caso di specie il possesso di immobili e di autovetture – (v.
Cass. n. n. 7408 del 31/03/2011, Cass. 1294 del 22/01/2007 e Cass. n. 12448 del 08/06/2011). Per altro verso, l’Amministrazione procedeva all’accertamento sulle somme impiegate per incrementi patrimoniali alla stregua dell’art. 38, comma 5, D.P.R. ult. cit..
10.7 A fronte di tale accertamento il contribuente aveva contestato, per un verso, l’esistenza di un errore di calcolo nella quota relativa alle spese sostenute – pari ad Euro 246.000,00 – e, per altro, la circostanza che l'”acquisto” dell’imbarcazione Azimut era stato fatto con le forme del leasing, operando un pagamento del maxi canone con compensazione del credito che il ricorrente contribuente aveva maturato per la vendita di altro natante. Tali elementi, incidenti sulla determinazione del reddito accertato dall’Ufficio, avrebbero dovuto imporre la rideterminazione dei valori considerati dall’Ufficio in complessivi Euro 345.986,40 ed in quota parte di Euro 69.197,28 per l’anno di riferimento.
10.8 Per altro verso, il contribuente deduceva il possesso di disponibilità economiche ingenti, evidenziate, a suo dire, dalla gestione titoli che per gli anni 2004 e 2005 indicava somme in Euro comprese fra i 2.100.000,00 ca. ed i 2.700.000,00 ca. per anno.
Inoltre, il contribuente depositava certificati rilasciati dalla Banca E. dalla quale risultavano minusvalenze pari ad Euro 2.207.108,63 per l’anno 2004 e ad Euro 913.920,51 per l’anno 2005, da ciò desumendo una potenzialità finanziaria di almeno Euro 3.121.029 per l’anno 2003.
10.9 Quanto alla donazione di Euro 700.000,00 ottenuta dalla madre, la stessa veniva documentata dal contribuente, giusta scrittura privata risalente al luglio 2004, alla quale doveva riferirsi il versamento sul di lui conto corrente, in data 18.11.2004, del relativo importo, anch’esso documentato da un estratto conto prodotto nel corso del giudizio di primo grado.
10.10 Ora, a fronte di tale compendio documentale, la CTR ha per un verso escluso la rilevanza della donazione di Euro 700.000,00, ritenendola non documentata ed anzi lasciando intravedere un’operazione di aggiramento postumamente posto in essere dal contribuente – all’atto della morte della genitrice – al solo fine di contrastare l’accertamento. Quanto al rendiconto del capital gain, la CTR ha dichiarato che “…non appare sufficientemente dimostrata la provenienza ed effettiva disponibilità finanziaria per l’effettuazione delle acquisizioni di cui trattasi”.
10.11 Occorre a questo punto rammentare che, secondo un indirizzo giurisprudenziale di questa Corte, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali, la prova documentale contraria ammessa per il contribuente dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, non riguarda la sola disponibilità di redditi ovvero di redditi esenti o di redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, ma anche l’essere stata la spesa per incrementi patrimoniali sostenuta proprio con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, e non già con qualsiasi altro reddito (dichiarato) cfr. Cass. n. 6813 del 20/03/2009; conf. Cass. 23785/2010 e Cass. n. 4183/2013.
10.12 Si è in particolare ritenuto, nella prima delle decisioni teste evocate – alle quali le sentenze successive fanno pedissequo riferimento -, che per l’art. 38, comma 6, ult. cit. “… non è sufficiente la prova della sola disponibilità di redditi – e men che mai di redditi esenti ovvero di redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta – ma è necessario anche la prova che la spesa per incrementi patrimoniali sia stata sostenuta, non già con qualsiasi altro reddito (ovviamente dichiarato), ma proprio con redditi esenti o… soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta” Secondo questa interpretazione “…senza (la prova anche de) il nesso eziologico tra possesso di redditi e spesa per incrementi patrimoniali, questa spesa (siccome univocamente indicativa, per presunzione di legge, della percezione di un reddito corrispondente) continuerebbe a produrre i suoi effetti presuntivi a danno del contribuente, non avendo lo stesso superato la forza della presunzione iuris tantum (la stessa si presume) posta, a suo svantaggi dalla norma…”.
10.13 In definitiva, secondo l’indirizzo appena espresso, sembra implicita al sistema normativo l’esistenza, accanto all’onere di dimostrare l’esistenza di redditi esenti capaci di sostenere le spese per incrementi patrimoniali anche di altro – aggiuntivo – onere di tenere i propri conti in modo de ricostruire i movimenti finanziari per fornire giustificazioni in merito al sostenimento delle propri spese in caso di accertamento.
10.14 Ora, rileva il Collegio che a seguire l’indirizzo appena ricordato dovrebbe ritenersi comunque corretta la decisione impugnata ed infondata la censura esposta dal ricorrente principale, in quanto il contribuente ha dedotto solo la disponibilità di redditi sufficienti per la disponibilità e gli incrementi patrimoniali contestati dall’Ufficio, ma non risulta avere neppure allegato nè che proprio quei redditi erano stati impiegati per affrontare le “spese per incrementi patrimoniali” recuperata a tassazione dall’Ufficio.
10.15 Ma a tale indirizzo non ritiene di aderire questa Corte.
10.16 Ed invero, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, nella versione ratione temporis vigente all’epoca del presente giudizio, dispone testualmente che “… il contribuente ha facoltà di dimostrare, anche prima della notificazione dell’accertamento, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta. L’entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione”.
10.17 A ben considerare, il testo della norma – qui la Corte limitando ovviamente l’indagine all’art. 38, comma 6, ult. cit. nel testo vigente all’epoca, in relazione all’irrilevanza delle modifiche normative successivamente intervenute in materia – non impone affatto la dimostrazione dettagliata: dell’impiego delle somme per la produzione degli acquisti o per le spese di incremento, semmai richiedendo al contribuente di vincere la presunzione – semplice o legale che sia – che il reddito, dichiarato non sia stato sufficiente per realizzare gli acquisti e gli incrementi. Il che, a beffi, considerare, significa che nessun’altra prova deve dare la parte contribuente circa l’effettiva destinazione del reddito esente o sottoposto a tassazione separata agli incrementi patrimoniali se non la dimostrazione dell’esistenza di tali redditi.
10.18 Nè dalla disciplina normativa anzidetta pare potersi evincere un onere di dimostrazione, aggiuntivo, circa la provenienza oltre che l’effettiva disponibilità finanziaria delle somme occorrenti per gli acquisti operati dal contribuente.
10.19 Se, infatti, l’Ufficio ha desunto dagli incrementi un maggior reddito rispetto a quello dichiarato e il contribuente ha dedotto e dimostrato attraverso il prospetto di gestione titoli di Stato, azionali e obbligazionari l’esistenza di disponibilità finanziarie sottoposte a tassazione separata capaci di consentire detti incrementi, il fatto presuntivo esposto dall’Ufficio non può continuare a produrre i propri effetti in ragione della condotta del contribuente, ove la stessa sia idonea a comprovare l’esistenza di redditi non dichiarati capaci di realizzare gli incrementi o e spese correlate al possesso di beni.
10.20 Una diversa interpretazione, in nessun modo correlata al tenore testuale del ricordato art. 38, comma 6, ult.cit., determinerebbe in definitiva, una sorta di trasfigurazione del presupposto impositivo, non più correlato all’esistenza di un reddito ma, piuttosto, all’esistenza di una spesa realizzata da redditi imponibili ordinali e congrui o da redditi esenti o da redditi assoggettati a ritenute alla fonte a titolo d’imposta.
10.21 Orbene, appare evidente, in relazione a quanto testé affermato, la fondatezza dei rilievi esposti nel motivo di ricorso principale.
10.22 Ed invero, l’iter motivazionale esposto dal giudice di appello è gravemente lacunoso, contenendo anche non marginali errori in diritto che viziano l’iter logico della decisione quanto alla rilevanza delle disponibilità finanziarie.
10.23 Per un verso, quanto alla donazione della somma di Euro 700.00,00, non pare potersi revocare indubbio che l’omesso esame, da parte della CTR, della certificazione relativa al versamento di Euro 700.00,00 sul conto del contribuente per l’anno 2004 non poteva in ogni caso essere tralasciato dalla CTR al fine di verificare la disponibilità finanziaria dello stesso, se appunto si considera che l’omissione di tale elemento ha condizionato l’intero passaggio argomentativo del giudice di appello, il quale ha apoditticamente ritenuto di non considerare veritiera la scrittura privata relativa alla donazione indicata nella denuncia di successione.
10.24L’identità tra l’importo della donazione fatta dalla madre e l’importo versato sul conto del contribuente nello stesso anno indicato nella scrittura privata (anche se non autenticata e priva di data certa) avrebbe dovuto indurre il giudice di appello ad un più attento esame dell’intera documentazione, mancando il quale l’affermazione circa il carattere artificioso dello stesso risulta illogica.
10.25 Del resto, proprio su tale punto questa Corte ha avuto modo di chiarire che, qualora l’ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali ed il contribuente deduca che tale spesa sia il frutto di liberalità, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, la prova delle liberalità medesime deve essere fornita dal contribuente con la produzione di documenti, ai quali la motivazione della sentenza deve fare preciso riferimento – cfr. Cass. n. 24597 del 03/12/2010; conf. Cass. n. 11389/2008..
10.26 Non meno lacunose ed, anzi, addirittura fondate su un presupposto contrario a legge, appaiono le argomentazioni spese dalla CTR in ordine alla irrilevanza delle rendite finanziarie del contribuente ai fini della controversia, posto che il giudice di appello ha illogicamente motivato la decisione di rigetto del ricorso escludendo ogni valore probatorio alla documentazione prodotta dal contribuente sul presupposto, errato in diritto, che detto contribuente fosse tenuto a “dimostrare la provenienza ed effettiva disponibilità finanziaria per l’effettuazione delle acquisizioni”.
10.27 Tale motivazione si fonda, infatti, per l’un verso su argomentazioni in netto contrasto con i principi fatti propri da questo Collegio ed esposti nei paragrafi precedenti e, per altro verso, si dimostra gravemente lacunosa, non contenendo un esame analitico delle disponibilità finanziarie allegate dalla parte contribuente, sottoposte a tassazione separata, e alla loro idoneità a giustificare i fatti posti a base dell’accertamento fiscale.
11. Passando all’esame dell’appello incidentale, affidato ad un unico motivo, l’Agenzia lamenta l’insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, rappresentato dalla quantificazione delle spese prospettate dall’Ufficio. La CTR, dedicando due sole righe per rigettare l’impugnazione incidentale proposta, avrebbe tralasciato di rispondere ai rilievi esposti dall’Ufficio in ordine alla quantificazione degli incrementi patrimoniali considerati in sede di avviso di accertamento.
12. La parte contribuente ha dedotto l’inammissibilità e infondatezza della censura.
13. Il motivo è inammissibile.
13.1 E’ noto infatti, che la motivazione omessa o insufficiente è configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l’obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già quando, invece, vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato dal primo attribuiti agli elementi delibati, risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest’ultimo tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione – per tutti, da ultimo, Cass. n. 24/4Sdel 25/10/2013.
13.2 Orbene, nel caso di specie la ricorrente incidentale si è limitata a prospettare la carenza motivazionale della decisione impugnata, erroneamente deducendo che la CTR avesse dedicato solo due righe di motivazione all’appello incidentale proposto in appello.
13.3 Così facendo l’appellante incidentale non si è avveduta che il giudice di appello aveva specificamente individuato gli elementi fattuali dai quali inferire che l’originario accertamento compiuto dall’Ufficio aveva erroneamente valutato alcuni elementi, considerando la titolarità di una autovettura già da tempo ceduta dal contribuente e omettendo di considerare il maxi canone di leasing corrisposto per l'”acquisto” dell’imbarcazione Azimut mediante compensazione di somma proveniente da alienazione di altro natante.
Ciò la CTR aveva fatto condividendo le prospettazioni difensive esposte dalla parte contribuente – v. infatti il conteggio riprodotto a pag. 8 del ricorso dal contribuente a suo tempo esposto nel ricorso introduttivo-.
13.4 Orbene, rispetto a tale ricostruzione degli incrementi patrimoniali e del possesso di beni l’Ufficio non ha formulato alcuna critica all’operato della CTR, invece limitandosi a riproporre le tesi difensive rivolte, in definitiva, a determinare un risultato diverso dagli accertamenti compiuti dalla CTR che, in quanto esenti da illogicità e incongruità, non possono essere rivisti in questa sede.
L’appello incidentale va quindi rigettato.
14. In conclusione, il ricorso principale deve essere accolto, mentre quello incidentale va rigettato. La sentenza impugnata va cassata con rinvio ad altra sezione della CTR della Lombardia che si uniformerà ai principi sopra esposti, provvedendo altresì sulle spese del giudizio di legittimità.
PQM
La Corte accoglie il ricorso principale, Rigetta il ricorso incidentale.
Cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della CTR della Lombardia che si uniformerà ai principi sopra esposti, provvedendo altresì sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Quinta Civile, il 28 gennaio 2014.
Depositato in Cancelleria il 19 marzo 2014
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