ISSN 2385-1376
Testo massima
Nel caso di falsificazione di assegno bancario nella firma di traenza, la misura della diligenza richiesta alla banca nel rilevamento di detta falsificazione è quella dell’accorto banchiere, avuto riguardo alla natura dell’attività esercitata, alla stregua del paradigma di cui al secondo comma dell’art. 1176 cod. civ. Ne consegue che spetta al giudice del merito valutare la rispondenza al predetto paradigma della condotta richiesta alla banca in quel dato contesto storico e rispetto a quella determinata falsificazione, attivando così un accertamento di fatto volto a saggiare, in concreto e caso per caso, il grado di esigibilità della diligenza stessa; verifica che, di regola, verrà a svolgersi in base ad un apprezzamento rivolto a verificare se la falsificazione sia, o meno, riscontrabile attraverso un attento esame diretto, visivo o tattile, dell’assegno da parte dell’impiegato addetto, in possesso di comuni cognizioni teorico tecniche, ovvero pure in forza di mezzi e strumenti presenti sui normali canali del mercato di consumo e di agevole utilizzo, o, piuttosto, se la falsificazione stessa sia, invece, riscontrabile soltanto tramite attrezzature tecnologiche sofisticate e di difficile e dispendioso reperimento e/o utilizzo o tramite particolari cognizioni teoriche e/o tecniche.
Questo il principio di diritto espressamente enunciato dalla Corte di Cassazione, che con la sentenza n. 6513 del 20/03/2014, ha statuito in materia di accertamento della responsabilità della banca per il danno patito da un correntista apparentemente traente del titolo a fronte del pagamento da parte dell’istituto di un assegno bancario falsificato nella firma di traenza che presentava un tracciato assolutamente piatto.
In particolare, la decisione trae origine da una azione proposta dal correntista nei confronti della Banca negoziatrice del titolo, assumendo che, in stanza di compensazione, sarebbe stato omesso un adeguato controllo della firma di traenza.
Il Tribunale capitolino, ritenendo sussistente la responsabilità degli istituti di credito convenuti in giudizio in concorso di colpa, in accoglimento della domanda attorea, li condannava al pagamento dell’importo ritenuto dovuto.
Dopo aver dato ragione in primo grado alla società correntista, proposto appello da parte della Banca, poi, la Corte territoriale aveva escluso la responsabilità della banca, ritenendo «non sufficiente la mera rilevabilità dell’alterazione, occorrendo che la stessa sia visibile ictu oculi, in base alle conoscenze del bancario medio, il quale non è tenuto a disporre di particolari attrezzature strumentali o chimiche per rilevare la falsificazione, né deve essere un esperto grafologo».
Per la Corte territoriale, infatti, «non poteva attribuirsi valore dirimente alla “pretesa rilevabilità al tatto dell’assoluta piattezza del tracciato grafico”, posto che esistono tipologie di scritture (penna roller o stilografica) “la cui percepibilità al tatto è estremamente difficile e comunque condizionata a capacità percettive individuali e non esigibili da un cassiere pur diligente e scrupoloso”».
Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione il correntista, deducendo che l’esame tattile del titolo di credito potesse avere un rilevanza in considerazione del grado di diligenza richiesto all’accorto banchiere nell’esame degli assegni ai sensi dell’art. 1176 cc, secondo comma.
Il Supremo Collegio, nell’affermare il principio innanzi riportato in ordine alla valutazione della sussistenza della responsabilità del Banchiere, è partito dall’indagare se, a fronte del pagamento di un assegno bancario falsificato nella firma di traenza, che presentava “un tracciato assolutamente piatto“, sussista la responsabilità della banca trattaria per il danno patito dal correntista apparentemente traente di detto assegno.
La Corte di Cassazione, dopo aver rilevato che la decisione assunta dalla Corte territoriale era conforme all’orientamento dalla stessa affermato – secondo cui la rilevabilità dell’alterazione deve essere visibile ictu oculi, in base alle conoscenze del bancario medio, il quale non è tenuto a disporre di particolari attrezzature strumentali o chimiche per rilevare la falsificazione, nè deve essere un esperto grafologo- ha evidenziato la necessità di valutare la diligenza richiesta all’istituto di credito secondo standard oggettivi i quali tengano conto dei rischi tipici della sfera professionale di riferimento e che, al tempo stesso, vengano ad adeguarsi alla realtà peculiare dello specifico rapporto contrattuale interessato.
I Giudici del palazzaccio, infatti, hanno precisato che l’indirizzo prevalente, che individua la diligenza a cui è tenuta la Banca in quella di cui all’art. 1176 cc, secondo comma, e cioè quella richiesta nell’esercizio dell’attività professionale, non è contraddetto da quelle pronunce che affermano che la stessa non tenuta a disporre di attrezzatura con strumenti meccanici o chimici per il controllo dell’autenticità delle sottoscrizioni e gli impiegati non sono tenuti a dotarsi di una solida competenza in materia grafologica.
Tuttavia, tale apprezzamento come espressamente affermato dalla Corte di legittimità a supporto della fondatezza del ricorso proposto – non può prescindere “dalla considerazione del carattere dinamico del concetto di diligenza e dalla sua specifica connotazione tecnica, rivelata dall’art. 1176 c.c., comma 2, per cui, in quanto valutazione attinente ad una clausola generale, essa non può essere cristallizzata, ma deve modularsi in base alle condizioni, storicamente date, del contesto in cui si svolge l’attività professionale che, di volta in volta, viene in rilievo“.
Su tale principi, la Corte di legittimità ha affermato che spetta al giudice di merito valutare in concreto se il falso possa o meno essere oggetto di riscontro attraverso un attento esame diretto, visivo o tattile da parte dell’impiegato e secondo la competenza teorica-tecnica comune, ovvero se necessiti di strumenti presenti sui normali canali del mercato di consumo, o, piuttosto, se la falsificazione stessa sia riscontrabile soltanto tramite attrezzature tecnologiche sofisticate e di difficile e dispendioso reperimento e/o utilizzo.
La Cassazione, quindi, all’orientamento affermatosi in giurisprudenza in ordine alla responsabilità della banca per il pagamento dell’assegno con firma falsa, aggiunge, con la sentenza in commento, una precisazione stabilendo che la valutazione deve essere effettuata in concreto e rispetto al momento storico e al particolare contesto prescindendo dal possesso da parte della Banca di particolari apparecchiature specialistiche o, comunque, eccedenti la portata tipica dell’attività esercitata, ma dovendo la stessa però attrezzarsi in forza di cautele attuali ed adeguate, che possono essere agevolmente apprestate secondo il profilo tecnico della diligenza ad essa richiesta.
La Cassazione ha, quindi, accolto il ricorso ritenendo che tale indagine non era stata congruamente effettuata dalla Corte territoriale per non aver effettivamente ed in concreto valutato la difficoltà di rilevamento della falsificazione.
Il Giudice di merito, quindi, nel valutare la responsabilità del banchiere, dovrà prima accertare il grado di difficoltà per individuare la falsificazione della firma e, cioè, individuare quale sarebbe stato il controllo idoneo richiesto per tale verifica esame visivo o tattile, strumenti comuni, apparecchiature tecniche sofisticate – e, quindi, stabilire all’esito di tale accertamento se la Banca abbia o meno adottato la misura della diligenza richiesta dall’ordinamento.
In conclusione l’esame visivo o tattile può essere rilevante per la determinazione della responsabilità dell’accorto banchiere.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 10913/2008 proposto da:
S. S.P.A. – GRUPPO POSTE ITALIANE, in persona del Direttore dei Servizi di Gruppo e Procuratore speciale Dott. V. M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE REGINA MARGHERITA 294, presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende giusta procura speciale a margine;
– RICORRENTE –
contro
BANCA S.P.A. ((OMISSIS)), in persona del suo legale rappresentante Dott. A.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 88, presso lo studio dell’avvocato AMICONI VITALIANO, che la rappresenta e difende giusta procura speciale in calce;
I. BANCA S.P.A. ((OMISSIS)), in persona del procuratore avv. P.B., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DI VILLA GRAZIOLI 15, presso lo studio dell’avvocato GARGANI BENEDETTO, che la rappresenta e difende giusta delega a margine;
– CONTRORICORRENTI –
avverso la sentenza n. 4904/2007 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 22/11/2007, R.G.N. 9812/2003;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. – Sul conto corrente bancario acceso dalla S. S.P.A. presso la sede romana del BANCO A. veniva incassato, in data 7 luglio 1997, presso la Banca Nazionale del Lavoro (BNL), un assegno, tratto sul medesimo conto, con falsa firma di traenza del presidente della società; assegno che era parte di un blocco di moduli di assegni bancari in bianco, oggetto di un precedente furto in danno della S. S.p.A. scoperto soltanto qualche giorno dopo l’incasso del titolo falsificato.
1.1. – La S.Courier S.p.A. conveniva, quindi, in giudizio il BAV per sentirlo condannare al pagamento della somma di lire 19.652.000, oltre interessi legali, a titolo di risarcimento del danno patito a seguito dell’inadempimento dell’anzidetto contratto di conto corrente bancario, allegando l’imprudenza e l’imperizia del Banco nel consentire la negoziazione del titolo, avendo omesso, in stanza di compensazione, un adeguato controllo della firma di traenza.
2.1. – Costituitosi il convenuto BANCO A (che contestava la fondatezza della domanda), autorizzata la chiamata in causa della BANCA SPA, riassunto il giudizio nei confronti della stessa BANCA SPA e della I. BANCA S.P.A. (nella quale era stato incorporato il BANCO A.), l’adito Tribunale di Roma, in accoglimento della domanda attorea, condannava I. BANCA SPA al pagamento in favore della S. S.p.A. della somma di Euro 11.397,78, oltre interessi, nonchè, ritenuto un pari concorso di colpa della BANCA SPA, la condannava a rimborsare ad I BANCA SPA la metà di quanto versato alla società attrice.
2. – Sull’appello principale della BANCA SPA e su quello incidentale di Banca I., nel contraddittorio con la S. S.P.A., la Corte di appello di Roma, con sentenza resa pubblica il 22 novembre 2007, rigettava la domanda proposta dalla società attrice, che condannava alla rifusione delle spese del doppio grado.
2.1. – La Corte territoriale, contrariamente a quanto opinato dal giudice di primo grado – che aveva ravvisato la responsabilità della BANCA SPA, al momento della presentazione dell’assegno, e della Banca I., in stanza di compensazione, “per non aver percepito… la falsificazione della firma dell’assegno avente un tracciato assolutamente piatto” – osservava, sulla scorta della “giurisprudenza in tema di diligenza del buon banchiere”, che la banca deve, al riguardo, compiere “un esame superficiale ma pur sempre a vista, allo scopo di rilevare difformità morfologiche o strutturali del supporto cartaceo e della grafia, e senza necessità di avvalersi dell’ausilio di strumentazioni meccaniche o di sostanze chimiche o di persone particolarmente esperte in grafologia”. Il giudizio di responsabilità – soggiungeva il giudice del gravame – dovrà vertere “nel valutare se vi fosse difformità tra la sottoscrizione del titolo e quella depositata o desumibile da altre fonti attendibili e se, eventualmente, tale difformità fosse eclatante, dovuta, cioè, ad una notevole differenza di caratteristiche fondamentali della grafia; dovrà inoltre verificarsi se sussistessero elementi (come ad esempio, abrasioni, scritturazioni sovrapposte, sbavature) tali da far insorgere – in soggetto diligente ed accorto – il legittimo sospetto di ritocchi, correzioni o manipolazioni”.
2.2. – Sicchè, ad avviso della Corte territoriale, nella specie era da escludere la responsabilità degli istituti di credito, giacchè non risultava alcuna difformità tra la sottoscrizione presente sull’assegno e lo specimen, nè poteva attribuirsi “valore dirimente alla pretesa rilevabilità al tatto dell’assoluta piattezza del tracciato grafico”, posto che “esistono tipologie di scritture (penna stilografica, roller), la cui percepibilità al tatto è quanto meno estremamente difficile e comunque condizionata a capacità percettive individuali e non esigibili da un cassiere pur diligente e scrupoloso”.
3. – Per la cassazione di tale sentenza ricorre la S. S.P.A. – Gruppo Poste Italiane, affidando le sorti dell’impugnazione a due motivi.
Resistono con controricorso sia la Banca S.p.A., sia BANCA I. SPA.
Tutte le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – Con il PRIMO MEZZO è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 1176 c.c., comma 2, in relazione al R.D. n. 1763 del 1933, artt. 38 e 43, e art. 2082 c.c..
La Corte territoriale avrebbe errato nel non considerare, in capo, segnatamente, ad BANCA I. SPA, la mancanza di diligenza “qualificata” prevista dall’art. 1176 c.c., comma 2, con la conseguenza che l’istituto di credito avrebbe dovuto attenersi a tutti gli accorgimenti materiali ed intellettuali idonei ad assicurare l’adempimento del contratto di conto corrente bancario. Ad avviso della ricorrente andrebbe, infatti, rimeditato l’orientamento giurisprudenziale, su cui il giudice d’appello ha fondato la propria decisione, che impernia la verifica della diligenza del banchiere, in relazione all’incasso dell’assegno falsificato nella sottoscrizione, sulla “mera percezione visiva della falsificazione in relazione allo specimen depositato presso l’Istituto di credito, dovendosi escludere anche un esame tattile del titolo”. Si tratterebbe di un indirizzo ormai inappagante, posto che il criterio “della delibazione a vista dell’eventuale falsificazione della firma di traenza” appare “del tutto superato o addirittura anacronistico rispetto alla evoluzione che hanno subito le tecniche informatiche di riproduzione e falsificazione delle sottoscrizioni”. Sicchè, la diligenza del banchiere, imprenditore che svolge l’attività di raccolta del risparmio e di esercizio del credito, deve estendersi, nella specie, “anche ad un esame affidato a strumentazioni idonee a ravvisare falsificazioni della grafia”, oltre che all’esame tattile del titolo, che è comunque un “esame sensoriale” e dunque non potrebbe essere escluso, come invece avviene da parte degli istituti di credito.
Peraltro, ove si ritenesse che la diligenza del banchiere fosse quella del “buon padre di famiglia”, di cui all’art. 1176 c.c., comma 1, si porrebbe questione di violazione del principio di eguaglianza, posto che il criterio della diligenza adempitiva del banchiere verrebbe irragionevolmente differenziato da quello degli altri esercenti le attività imprenditoriali, i quali sono soggetti al criterio di diligenza stabilito dall’art. 1176 c.c., comma 2.
Vengono formulati i seguenti quesiti di diritto, subordinati tra loro: “Dica la Suprema Corte di Cassazione se, sul presupposto di fatto che l’assegno n. 409392719, tratto sul c.c.b. intestato alla S.Courier acceso presso il banco A. , BANCA I. SPA è stato illegittimamente incassato con la falsificazione della firma di traenza del Dott. Pa. (vice Presidente della S.), ai sensi dell’art. 1176 c.c., comma 2, interpretato anche in relazione al R.D. n. 1736 del 1933, artt. 38 e 43, ed all’art. 2082 c.c., la diligenza adempitiva dell’accorto banchiere al fine di individuare la falsità della sottoscrizione si esaurisca nel mero esame visivo del titolo, ovvero, come ritiene questa difesa, circoscrivere la diligenza adempitiva a tale esame sia ormai da ritenere anacronistico, e l’art. 1176, comma 2, letto in relazione alle citate norme, invece imponga all’accorto banchiere di effettuare l’esame della rispondenza della sottoscrizione del titolo con lo specimen depositato anche con l’utilizzo di appositi macchinari che possano verificare l’apposizione di sottoscrizioni falsificate con l’utilizzo di apparati elettronici; In via subordinata : Dica la Suprema Corte di Cassazione se, sul presupposto di fatto che l’assegno n. 409392719, tratto sul c.c.b. intestato alla S.acceso presso il banco Ambrosiano Veneto, oggi Intesa Sanpaolo è stato illegittimamente incassato con la falsificazione della firma di traenza del Dott. Pa. (vice Presidente della SDA), ai sensi dell’art. 1176 c.c., comma 2, interpretato anche in relazione al R.D. n. 1736 del 1933, artt. 38 e 43, ed all’art. 2082 c.c., la diligenza adempitivi dell’accorto banchiere al fine di individuare la falsità della sottoscrizione si esaurisca nella mera rinvenibilità della falsità della sottoscrizione mediante il mero esame visivo del titolo, ovvero, come ritiene questa difesa, unitamente a tale esame visivo l’accorto e diligente bancario sia tenuto anche ad un esame tattile del titolo al fine di verificare se sul titolo sia presente la normale pressione lasciata dalla mano del sottoscrittore; In via ancor più subordinata: Dica la Suprema Corte di Cassazione se, sul presupposto che l’attività imprenditoriale nel settore del credito dalla BANCA I. SPA è pacificamente attività economica professionalmente esercitata e che tale attività al pari delle professioni intellettuali rientri nell’alveo del criterio di diligenza previsto dall’art. 1176 c.c., comma 2, il combinato disposto dell’art. 1856 c.c., art. 1710 c.c., comma 1, e con riferimento all’art. 1176 c.c., comma 1, comporti che tale istituto di credito sia tenuto alla diligenza adempitiva del buon padre di famiglia e in tal caso se l’art. 1856 c.c., comma 1, sia costituzionalmente illegittimo, come ritiene questa difesa, con riferimento all’art. 3 Cost., comma 1, poichè esclude illegittimamente ed irrazionalmente l’impresa bancaria dal criterio adempitivo di cui all’art. 1176 c.c., comma 2, ai quali sono legati tutti gli esercenti una attività professionale”.
2. – Con il SECONDO MEZZO è dedotta “insufficiente e/o omessa e/o contraddittoria motivazione in ordine al fatto controverso costituito dalla riconoscibilità della falsità della firma del vice presidente S. Dott. Pa. in base al tracciato piatto della sottoscrizione”.
La Corte territoriale avrebbe fornito una insufficiente motivazione in ordine alla esclusa ravvisabilità della falsificazione da parte del banchiere diligente “a seguito della assenza della pressione esercitata naturalmente dal sottoscrittore sul titolo”, adducendo l’esistenza di strumenti grafici, quali penne stilografiche o penne roller, “che renderebbero irrilevante tale esame”. Ciò, tuttavia, senza provvedere ad alcuna indagine al fine di verificare “se vi fossero divergenze pressorie tra la sottoscrizione del Dott. Pa. e il resto degli elementi grafici presenti nell’assegno”, cosi come richiesto da essa S., anche tramite la reiterazione dell’istanza di produzione dell’originale del titolo e di ammissione di una c.t.u. per l’accertamento delle modalità di contraffazione, che era avvenuta con strumenti elettronici in relazione alla sola sottoscrizione dell’assegno medesimo e non già in riferimento alle altre parti di esso.
La ricorrente, quindi, pone espressamente in rilievo (pp. 18 e 19 del ricorso) una sintesi dei censurabili passaggi logici della motivazione, che si assume insufficiente.
3. – Preliminarmente devono essere respinte le eccezioni in rito sollevate dalla controricorrente BANCA I. SPA.
3.1. – In primo luogo, l’indicazione specifica, emergente dal ricorso, dell’assegno n. 409392719, tratto sul conto corrente bancario intestato alla S. S.P.A. ed acceso presso il Banco A.(successivamente BANCA I. e, poi, I.), negoziato presso la Agenzia n. (OMISSIS) della BANCA SPA. in (OMISSIS) e prodotto in copia in giudizio da Banca I., risulta sufficiente al fini di soddisfare la previsione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, focalizzandosi l’impugnazione sul predetto documento.
3.2. – Quanto, poi, alla eccepita inammissibilità del ricorso per la formulazione di “quesiti plurimi”, occorre ribadire che una siffatta tecnica redazionale, in esito all’illustrazione di un unico motivo di ricorso per cassazione, non può ritenersi contrastante, di per sè, con la disposizione dell’art. 366 bis c.p.c., (Cass., 9 giugno 2010, n. 13868), giacchè il motivo stesso – come nel caso in esame – può svilupparsi attraverso una peculiare modulazione delle censure in diritto, tale da metterne gradualmente in risalto l’intensità rispetto agli esiti sperati, anche subordinando l’uno agli altri.
Sicchè il “quesito” (che, nella specie, è stato innanzi trascritto), nel rispecchiare siffatta articolazione, può ben assumere una forma, anche dal punto di vista grafico, separata.
Inoltre, sotto il profilo contenutistico, la formulazione dei quesiti in relazione a ciascun motivo può ritenersi sufficientemente idonea allo scopo (emergendo da essi i connotati essenziali della vicenda controversa, la ratio decidendo, della sentenza, le censure alla stessa, anche sotto l’aspetto delle presunte aporie motivazionali), là dove, in particolare, quello che assiste il dedotto vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, è ricavabile nella esplicita sintesi dei rilevanti passaggi logici della motivazione rispetto ai quali si appuntano le doglianze, messa in apposito risalto, anche grafico.
4. – I motivi, che possono essere congiuntamente scrutinati, sono fondati nei termini di seguito precisati.
4.1. – La questione che viene, nello specifico, all’esame della Corte è la seguente: se, a fronte del pagamento di un assegno bancario falsificato nella firma di traenza, che presentava “un tracciato assolutamente piatto”, sussista la responsabilità della banca – quella trattaria (siccome essa sola investita, dapprima, dalla domanda risarcitoria avanzata originariamente dalla S. S.p.A. e, ora, dall’impugnazione svolta in questa sede dalla medesima società) – per il danno patito dal correntista apparentemente traente di detto assegno.
La Corte di appello di Roma, con la sentenza impugnata dalla S. ricorrente, ha escluso una siffatta responsabilità, richiamando la giurisprudenza di questa Corte che ha ritenuto, a tal fine, non sufficiente la mera rilevabilità dell’alterazione, occorrendo che la stessa sia visibile ictu oculi, in base alle conoscenze del bancario medio, il quale non è tenuto a disporre di particolari attrezzature strumentali o chimiche per rilevare la falsificazione, nè deve essere un esperto grafologo. La Corte territoriale ha, altresì, precisato che, nella specie, non poteva attribuirsi valore dirimente alla “pretesa rilevabilità al tatto dell’assoluta piattezza del tracciato grafico”, posto che esistono tipologie di scritture (penna roller o stilografica) “la cui percepibilità al tatto è estremamente difficile e comunque condizionata a capacità percettive individuali e non esigibili da un cassiere pur diligente e scrupoloso”.
4.2. – La conclusione cui è pervenuto il giudice del merito non si sottrae, però, alle censure mosse con il ricorso, le quali, nella sostanza, colgono lo iato tra la diligenza ritenuta esigibile in capo alla banca, nel caso di falsificazione dell’assegno bancario portato all’incasso, ed il giudizio di fatto in ordine alla ravvisata irrilevanza della concreta falsificazione, ai fini della affermazione di responsabilità per il pagamento dell’assegno oggetto di alterazione.
4.3. – La giurisprudenza di questa Corte è orientata, in linea del tutto prevalente, a rapportare, nella fattispecie in esame, la misura della diligenza della banca a quella dell’accorto o del buon banchiere, avuto riguardo, dunque, alla natura dell’attività esercitata, alla stregua del paradigma di cui all’art. 1176 c.c., comma 2 (tra le altre, Cass., 29 giugno 1981, n. 4209; Cass., 7 luglio 1982, n. 4043; Cass., 12 ottobre 1982, n. 5267; Cass., 9 maggio 1985, n. 2885; Cass., 7 novembre 1989, n. 4642; Cass., 19 maggio 2000, n. 6524; Cass., 5 maggio 2000, n. 11637; Cass., 12 ottobre 2001, n. 12471; Cass., 25 febbraio 2004, n. 3729; Cass., 23 aprile 2004, n. 7761; Cass., 23 febbraio 2005, n. 3780).
Si tratta, dunque, della misura della diligenza che è richiesta al professionista, qual è l’istituto di credito nello svolgimento della sua attività di raccolta e gestione del risparmio, cui si riconnette anche il rapporto contrattuale di conto corrente bancario, sul quale si viene ad innestare la convenzione di assegno. Dunque, una diligenza che, assumendo natura tecnica (Cass., 12 giugno 2007, n. 13777), deve essere valutata secondo standard oggettivi i quali tengano conto dei rischi tipici della sfera professionale di riferimento, ma che, al tempo stesso, vengano ad adeguarsi alla realtà peculiare dello specifico rapporto contrattuale interessato.
E’, pertanto, sulla base di siffatta premessa che devono leggersi le ulteriori specificazioni del principio per cui la responsabilità della banca verso il traente per l’avvenuto pagamento di un assegno falsificato richiede un grado di diligenza rapportato alla professionalità del servizio bancario.
In quest’ottica si è difatti affermato che “la diligenza che la banca deve spiegare nell’esame della genuinità e fedeltà dell’assegno presentato per il pagamento deve essere riferita non a quella di un qualsiasi osservatore di medio interesse e di media diligenza, bensì a quella di un esaminatore attento e previdente, per il maggior grado di attenzione e di prudenza che la professionalità del servizio consente di attendersi” (Cass. n. 5267 del 1982, cit.; Cass. n. 4642 del 1989, cit.).
Di qui si è, quindi, inferito che la responsabilità risarcitoria della banca non è esclusa “per il solo fatto che il giudice penale abbia affermato la sussistenza del reato di falso escludendo il carattere grossolano della falsificazione, atteso che in una verifica non superficiale di un accorto funzionario di banca un’alterazione anche di non grossolana macroscopicità può essere riconosciuta” (cosi, le pronunce sopra richiamate).
4.4. – Dunque, l’indirizzo prevalente, che ravvisa nella diligenza di cui al secondo comma dell’art. 1176 cod. civ. il paradigma al quale, nella specie, fare riferimento, non è contraddetto da quelle pronunce (tra le altre, Cass., 23 dicembre 1993, n. 12761; Cass., 19 maggio 2000, n. 6524; Cass., 15 luglio 2005, n. 15066; Cass., 4 ottobre 2011, n. 20292) che affermano non essere la banca tenuta a predisporre una attrezzatura qualificata con strumenti meccanici o chimici al fine di un controllo dell’autenticità delle sottoscrizioni o di altre contraffazioni dei titoli presentati per la riscossione; nè gli impiegati di banca, preposti al pagamento degli assegni, esser tenuti a dotarsi di una solida competenza in materia grafologica, potendosi far carico agli stessi soltanto di non aver rilevato nel titolo pagato difformità morfologiche o strutturali della scrittura oppure cancellature visibilmente apparenti o accertabili con media capacità o con normale buon senso.
Ne è riprova lo stesso richiamo, che si apprezza proprio nelle pronunce da ultimo citate, ad una peculiare connotazione della condotta richiesta alla banca, la quale non si ritiene esonerata dalla predisposizione di qualsivoglia strumentario tecnico di rilevamento della falsificazione, bensì da una “attrezzatura qualificata” o “particolare”; cosi come gli impiegati di sportello sono esonerati dall’avere una “solida” o “specifica” competenza grafologica, non già, anche in tal caso, da una qualsiasi, minima, competenza in materia.
Si tratta, in sostanza, di puntualizzazioni che attingono al dato esperienziale della condotta implicata e che ponderano il grado di esigibilità della diligenza richiesta, la quale, in linea di principio, rimane comunque ancorata a quella, di natura tecnica, dell’accorto banchiere e che, per l’appunto, spetta al giudice del merito, secondo il suo prudente apprezzamento, misurare in concreto e caso per caso.
Tuttavia, tale apprezzamento non può prescindere, come detto, dalla considerazione del carattere dinamico del concetto di diligenza e dalla sua specifica connotazione tecnica, rivelata dall’art. 1176 c.c., comma 2, per cui, in quanto valutazione attinente ad una clausola generale, essa non può essere cristallizzata, ma deve modularsi in base alle condizioni, storicamente date, del contesto in cui si svolge l’attività professionale che, di volta in volta, viene in rilievo. Il che – giova precisare – non implica, in ogni caso, una confusione di piani con il distinto ambito della conformazione della prestazione dovuta, la quale, come tale, non verrà automaticamente ad implementarsi di ulteriori contenuti obbligatori, ma seguirà il già segnato programma contrattuale, da svolgersi secondo gli ordinari canoni della buona fede e correttezza.
4.5. – Sicchè, nel contesto di riferimento bancario, è riservata al giudice del merito la valutazione in ordine alla rilevanza della falsificazione dell’assegno, nel suo peculiare atteggiarsi, e quale sia, in concreto, il tipo di riscontro che ne riveli l’esistenza. Ed è in siffatta prospettiva che, di regola, l’accertamento di fatto avrà di mira se il falso possa, o meno, essere oggetto di riscontro attraverso un attento esame diretto, visivo o tattile, da parte dell’impiegato addetto, siccome dotato di competenza teorica-tecnica comune, ovvero in forza di mezzi e strumenti, presenti sui normali canali del mercato di consumo, che ne consentano agevolmente la rilevazione stessa (quand’anche si tratti di assenza di autografia della firma rivelabile in base al tracciato scolpito sul supporto cartaceo) o, piuttosto, se la falsificazione stessa sia riscontrabile soltanto tramite attrezzature tecnologiche sofisticate e di difficile e dispendioso reperimento e/o utilizzo.
Un’indagine, questa, che, dunque, non potrà non calibrare prudentemente la specifica tipologia di falsificazione dell’assegno, in concreto rilevante, con la condotta esigibile, in quel dato momento storico e in quel particolare contesto, dalla banca, la quale non è tenuta, a tal fine, a predisporre mezzi e risorse straordinari o, comunque, eccedenti la portata tipica dell’attività esercitata e della prestazione resa, dovendo però attrezzarsi in forza di cautele attuali ed adeguate, che possono essere agevolmente apprestate secondo il profilo tecnico della diligenza ad essa richiesta.
Nella delineata ottica rimane, altresì, evidente che una siffatta diligente condotta, siccome contenuta entro limiti di esigibilità ordinaria, alla stregua del parametro di cui al secondo comma dell’art. 1176 c.c., non può dirsi di serio ostacolo alla celere circolazione dei rapporti giuridici e del denaro, tenuto, altresì, conto che il contesto storico di riferimento registra il dato della compresenza, in relazione agli strumenti di pagamento, di sistemi elettronici ed informatici sempre più di ampio utilizzo, con sensibile contrazione degli spazi in precedenza occupati dall’assegno.
5. – L’indagine anzidetta non è stata congruamente attivata dalla Corte territoriale, la quale – anche alla luce di un inquadramento della diligenza richiesta all’accorto banchiere non del tutto collimante con le coordinate giuridiche sopra delineate si è limitata alla mera ed astratta considerazione della difficoltà di rilevamento della “piattezza del tracciato”, per esservi tipologie di scrittura che darebbero un siffatto esito, senza, tuttavia, saggiare, effettivamente ed in concreto, il grado di una tale difficoltà, semmai anche tramite l’ammissione e l’espletamento di consulenza tecnica a detto scopo rivolta (c.t.u. richiesta, del resto, dalla stessa appellata S.S.p.A.).
Il ricorso deve, pertanto, essere accolto per quanto di ragione ed il giudice del rinvio – che è da individuarsi nella medesima Corte di appello di Roma, ma in diversa composizione – si dovrà attenere, nell’indagine in ordine alla sussistenza, o meno, della responsabilità della banca trattarla nel pagamento dell’assegno dell’apparente traente S.S.p.A. al seguente principio di diritto:
“Nel caso di falsificazione di assegno bancario nella firma di traenza – la quale presenti, nella specie, “un tracciato assolutamente piatto” – la misura della diligenza richiesta alla banca nel rilevamento di detta falsificazione è quella dell’accorto banchiere, avuto riguardo alla natura dell’attività esercitata, alla stregua del paradigma di cui all’art. 1176 c.c., comma 2. Ne consegue che spetta al giudice del merito valutare la rispondenza al predetto paradigma della condotta richiesta alla banca in quel dato contesto storico e rispetto a quella determinata falsificazione, attivando cosi un accertamento di fatto volto a saggiare, in concreto e caso per caso, il grado di esigibilità della diligenza stessa; verifica che, di regola, verrà a svolgersi in base ad un apprezzamento rivolto a verificare se la falsificazione sia, o meno, riscontrabile attraverso un attento esame diretto, visivo o tattile, dell’assegno da parte dell’impiegato addetto, in possesso di comuni cognizioni teorico/tecniche, ovvero pure in forza di mezzi e strumenti presenti sui normali canali del mercato di consumo e di agevole utilizzo, o, piuttosto, se la falsificazione stessa sia, invece, riscontrabile soltanto tramite attrezzature tecnologiche sofisticate e di difficile e dispendioso reperimento e/o utilizzo o tramite particolari cognizioni teoriche e/o tecniche”.
Il giudice del rinvio provvederà anche a regolare le spese del presente giudizio di legittimità.
PQM
La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 20 gennaio 2014.
Depositato in Cancelleria il 20 marzo 2014
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