ISSN 2385-1376
Testo massima
In materia di usura bancaria, gli interessi moratori non possono venire rapportati al c.d. tasso soglia.
L’interesse moratorio non concorre in alcun modo nella rilevazione periodica e, quindi, nella formazione del c.d. tasso soglia.
Oltre ad essere espressamente esclusi dal calcolo del TEGM, infatti, questi si pongono su un piano profondamente diverso rispetto agli interessi corrispettivi e non sono determinanti nella concessione del credito.
Infatti, il dato testuale contenuto nell’art.1 del d.l. 29.12.2000, n.394 (conv. Dalla l.28.02.2001, n.24) per il quale, ai fini dell’usura, si fa riferimento agli “interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promossi o convenuti, a qualunque titolo” non può cancellare il forte legame che esiste tra erogazione del credito ed usura e, soprattutto, non può snaturare la funzione degli interessi moratori.
Questi ultimi assolvono, dal punto di vista del debitore, ad un ruolo essenzialmente dissuasivo, ricordandogli che l’inadempimento comporta per lui un aggravio dell’onere, mentre, dal punto di vista del creditore, assumono un ruolo puramente risarcitorio, non rappresentando un vero e proprio corrispettivo del credito erogato.
Per il cliente, la concreta applicazione degli interessi moratori dipende, in definitiva, solo dal proprio comportamento e ciò conferma che si è al di fuori del fenomeno dell’usura.
Se il giudizio circa la presenza dell’usura va effettuato al momento della pattuizione degli interessi, va considerato che, all’atto della stipula, gli interessi moratori si configurano quali interessi solo virtuali, ragion per cui va verificato come essi vengano determinati.
Generalmente gli interessi moratori maturano su tutte le somme a qualsiasi titolo dovute dal cliente dal momento dell’inadempimento. Ciò vuol dire che l’inadempimento fa nascere un’obbligazione a latere che ha sua vita autonoma rispetto alle rate, le quali proseguono (se adempiute) secondo il piano di ammortamento.
Al momento dell’inadempimento, ci si trova al cospetto dell’unica obbligazione che il debitore è tenuto a soddisfare per capitale e interessi, senza che questi ultimi possano essere considerati separatamente.
In conclusione, non si verifica alcuna sommatoria di interessi (corrispettivi e moratori), atteso che gli interessi di mora operano sull’unico debito esistente.
Tale peculiare configurazione esclude alla radice anche la sussistenza di alcun fenomeno di anatocismo, dacché di anatocismo dovrebbe discutersi e non di usura qualora si considerassero capitale ed interessi oggetto di separate obbligazioni, sulle quali debba applicarsi l’interesse moratorio.
L’inadempimento della rata non può che trasformare le due obbligazioni, seppur originariamente distinguibili, in un unico debito, per cui non viene a concretizzarsi alcuna sommatoria di interessi, dato che gli interessi moratori operano sull’unico debito.
Questa, in sintesi, la ratio decidendi posta alla base del provvedimento n.125/14, reso dall’Arbitro Bancario Finanziario Collegio di Napoli, all’esito della seduta del 05/02/2013.
In tale decisione, il Collegio napoletano è tornato a pronunciarsi in materia di usura bancaria, sotto il particolare profilo del computo del tasso effettivamente praticato, allorché entrino “in gioco” gli interessi moratori, vale a dire al momento dell’inadempimento da parte del cliente.
Il medesimo organo, infatti, si era già conformemente e compiutamente espresso su analoghe fattispecie, con una serie di decisioni pubblicate su questa rivista ed indicate di seguito, alle quali si rimanda per ulteriori approfondimenti:
La corretta lettura delle pattuizioni smentisce un’aprioristica interpretazione.
Altro | Arbitro Bancario Finanziario Collegio di Napoli | 20-11-2013 | n.5877
La mera operazione aritmetica di sommatoria dei due tassi è priva di fondamento logico-giuridico.
Altro | ABF Collegio di Napoli, Pres. Carriero | 26-11-2013
Gli oneri opzionali e gli interessi di mora non rientrano tra i costi previsti al momento della stipula del contratto.
Altro | Arbitro Bancario Finanziario Collegio di Napoli | 16-10-2013 | n.5195
L’Arbitro Bancario Finanziario di Napoli supera nuovamente l’orientamento della Cassazione.
Altro | Arbitro Bancario Finanziario Collegio di Napoli | 26-11-2013 | n.21/14
La decisione ora in commento, tuttavia, si segnala per la particolare chiarezza e la linearità delle argomentazioni, con le quali l’ABF ha nuovamente smentito una interpretazione della discussa sentenza n.350 del 9-01-2013 della Corte di Cassazione, la quale, allorquando ha sancito che “in materia di usura bancaria [
] si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge [
] anche a titolo di interessi moratori”, ha generato un ampio dibattito, sulla questione della possibile sommatoria del tasso moratorio e del tasso corrispettivo, nel calcolo del TEG praticato.
All’origine della controversia di specie, il “classico” ricorso con cui un cliente si doleva della presunta imposizione, da parte della banca, in due contratti di finanziamento, di interessi usurari, asserendo lo sforamento del tasso soglia sulla base della addizione dell’interesse di mora a quello corrispettivo, richiamando la pronuncia degli ermellini testé citata.
Il Collegio si è preliminarmente soffermato sulla questione relativa all’ambito di operatività dell’art.1815, comma 2 cc espressamente dettato con riferimento al contratto di mutuo – aderendo a quell’orientamento che ritiene tale disposizione estensibile ad altri contratti di finanziamento, allorché non vi siano difformità di carattere strutturale.
Quanto alla questione della sommatoria del tasso moratorio e del tasso corrispettivo, ai fini dell’applicazione dell’art. 1815 cc, l’ABF riporta il principio sancito dalla suprema corte con la citata sentenza n.350 del 9-01-2013, evidenziando come, in realtà, la Corte non affermi la sommatoria dei due tipi di tassi, limitandosi solo a ribadire il proprio orientamento, in virtù del quale pure gli interessi moratori debbono essere sottoposti al vaglio di usurarietà al pari di quelli corrispettivi.
Ebbene, anche tale ultima affermazione non appare scevra da profili di criticità.
Su tale punto, l’ABF partenopeo ha ulteriormente precisato la ricostruzione già ampiamente effettuata nelle precedenti e già richiamate pronunce, sancendo, nell’ordine, che:
– interessi moratori ed interessi corrispettivi hanno una funzione profondamente differente; i primi, infatti, sono dovuti dal giorno della mora ed il creditore vi ha diritto anche se gli stessi non siano stati pattuiti (art.1224, co.1 cc), a prescindere dalla prova del danno subito;
– quanto alla misura, se il tasso degli interessi moratori non è previsto espressamente nel contratto, esso sarà pari a quello pattuito per gli interessi corrispettivi (essendo paradossale, viceversa, che si riduca al tasso legale, favorendo così il debitore inadempiente);
– le obbligazioni pecuniarie relative a debiti liquidi vanno adempiute al domicilio del creditore (art.1182, co.3 cc), senza necessità di costituzione in mora, ragion per cui l’interesse di mora è dovuto immediatamente ed automaticamente dal momento della scadenza e, dunque, quando vi è inadempimento, interessi corrispettivi e moratori non si sommano, dacché sono dovuti solo i secondi;
– il carattere risarcitorio degli interessi moratori pone questi ultimi su di un piano profondamente diverso dagli interessi corrispettivi ed, in situazioni patologiche, l’eventuale sproporzione è riequilibrabile attraverso l’ordinario rimedio ex art.1384 cc;
– a differenza dell’interesse corrispettivo, nessun ruolo ha l’interesse moratorio nella concessione del credito e, benché il dato testuale dell’art.1 del d.l. 29.12.2000, n.394 (conv. dalla l. 28.02.2001 n.24) faccia riferimento, ai fini della valutazione di usurarietà del tasso, agli interessi “che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promossi o convenuti, a qualunque titolo”, non pare possibile elidere per tale motivo il forte legame che esiste tra erogazione del credito ed usura e, soprattutto, di snaturare la funzione degli interessi moratori;
– la Corte di Cassazione ha precisato, sia pure in sede penale e con riferimento a fattispecie vicina, che “l’obbligazione di pagamento nascente dalla clausola penale non si pone in diretta connessione con le obbligazioni principali reciprocamente assunte dalle parti, la somma conseguibile a detto titolo non è idonea a integrare i profili illegittimi richiesti per la configurazione del delitto di usura, a meno che le parti non abbiano dissimulato il pagamento di un corrispettivo, attraverso un simulato e preordinato inadempimento” (Cass.pen., 25 ottobre 2012 – 5 febbraio 2013, n. 5683) e quindi, analogamente può dirsi degli interessi moratori, che, a stretto rigore, non costituiscono “corrispettivo” del credito;
– la concreta applicazione degli interessi moratori dipende, in definitiva, solo dal comportamento del debitore, che si rende soggetto inadempiente, ragion per cui, non trattandosi di alcun fattore cogente, tale tipo di interesse si pone al di fuori del fenomeno dell’usura.
La questione che, però, dopo tali e nette argomentazioni, si pone in via consequenziale è: se gli interessi moratori siano svincolati da qualsivoglia valutazione ai fini del raffronto con il “tasso soglia”, ovvero se incontrino anch’essi un limite al momento della pattuizione.
La risposta fornita dall’Arbitro Bancario Finanziario si rinviene nelle righe successive della decisione: se il tasso moratorio non concorre in alcun modo nella rilevazione periodica effettuata dalla Banca d’Italia (così come chiarito nelle note del 3.07.2014) non si può porre in relazione con il tasso soglia.
Infatti, non sono raffrontabili due elementi disomogenei.
A conferma di ciò, l’ABF ricorda le posizioni assunte dalla Banca di Italia, che hanno sempre precisato che gli interessi moratori sono esclusi dal calcolo del TEGM.
Tale posizione è stata, poi, di recente, ribadita nei chiarimenti del 3.07.2013, con cui la Banca d’Italia ha precisato che gli interessi moratori non vanno presi in considerazione “perché non sono dovuti dal momento della erogazione del credito, ma solo a seguito di un eventuale inadempimento da parte del cliente”.
In definitiva, gli interessi moratori non possono venire rapportati al c.d. tasso soglia.
Tutto ciò, ovviamente, per quanto netto, non esclude che gli interessi moratori possano essere considerati ai fini della valutazione della c.d. “usura residuale”, che l’art.644 cp, terzo comma, sembra configurare quale “valvola di sicurezza” del sistema (“La legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari. Sono altresì usurari gli interessi, anche se inferiori a tale limite, e gli altri vantaggi o compensi che, avuto riguardo alle concrete modalità del fatto e al tasso medio praticato per operazioni similari, risultano comunque sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o di altra utilità, ovvero all’opera di mediazione, quando chi li ha dati o promessi si trova in condizioni di difficoltà economica o finanziaria”).
All’esito di una presa di posizione così netta sulla non computabilità degli interessi di mora ai fini della valutazione del superamento del tasso soglia antiusura, il Collegio napoletano è giunto però ad affermare che la questione non possa essere risolta, rendendosi necessaria un’analisi in concreto delle effettive modalità di determinazione degli interessi moratori, così come pattuiti al momento della conclusione del contratto.
Ebbene, qualora, come accade nella generalità dei casi (nonché nel caso di specie), sia stabilito che gli interessi di mora si applichino “su tutte le somme a qualsiasi titolo dovute dal cliente” dal momento dell’inadempimento, la rata non riscossa verrà gravata dagli interessi moratori, il che comporta che il mancato adempimento determina il sorgere di un’obbligazione a latere, che ha una sua vita autonoma rispetto alle rate.
E se le rate sono composte da una parte di capitale e da una parte di interessi, (quelli corrispettivi), si applicano interessi su interessi.
Si pongono, a questo punto, due questioni: l’usura e l’anatocismo.
Quanto alla prima, la questione si porrebbe in relazione all’applicazione degli interessi moratori alla rata comprensiva degli interessi corrispettivi, in quanto si finirebbe per sommare interessi moratori ad interessi corrispettivi.
Viene precisato come la quota capitale e quella di interessi sono meno separate di quanto appaiono.
Elemento dirimente è costituito dalla configurazione dell’obbligazione scaturente dall’inadempimento quale unica obbligazione, senza possibilità di separare le due “quote” di cui è costituita la singola rata, giacché tale separazione può avere un senso nel momento “genetico” e durante il corso del rapporto, ma non nella fase “patologica”.
In sostanza, l’inadempimento della rata non può che trasformare le due obbligazioni, seppur originariamente distinguibili, in un unico debito.
Tale unicità dell’obbligazione è confermata da due dati:
1. le regole dell’imputazione non lasciano spazio al debitore inadempiente di scegliere quale “quota” del debito estinguere all’atto del pagamento;
2. gli interessi moratori si applicano all’intero debito inadempiuto, senza dare rilievo a capitale ed interessi.
Viene richiamata, sul punto, la sentenza n. 4451 dell’8 luglio 1986 della Corte di Cassazione.
In definitiva, l’inadempimento della rata non può che trasformare le due obbligazioni, seppur originariamente distinguibili, in un unico debito, per cui non viene a concretizzarsi alcuna sommatoria di interessi, dato che gli interessi moratori operano sull’unico debito.
Nelle righe conclusive, il Collegio partenopeo si è soffermato, infine, su una peculiare pattuizione presente tra le clausole contrattuali nel caso di specie: la c.d. clausola di salvaguardia, a mente della quale era stato previsto che, nella denegata ipotesi di sforamento in concreto del “tasso soglia”, il tasso complessivamente praticato avrebbe dovuto esattamente coincidere con quest’ultimo.
Tale clausola (di cui si è trattato su questa rivista in sede di commento dell’ordinanza del 09.01.2014, emessa dal Tribunale di Napoli, sezione quinta bis, in persona della dott.ssa Monica Cacace), ha portato l’ABF ad escludere in ogni caso che potesse versarsi in ipotesi di finanziamento usurario.
La linearità e la chiarezza espositiva della pronuncia in commento dimostrano che l’ABF di Napoli ha ormai assunto un orientamento pressoché definitivo su questo specifico tema.
Una tale, netta, presa di posizione – peraltro ineccepibile sul piano dell’argomentazione logico giuridica – non può far ritenere, tuttavia, risolto una volta per tutte il problema, che resta complesso, soprattutto alla luce di quel “dato testuale” di cui all’art.1 del d.l. 29.12.2000, n.394 (conv. dalla l. 28.02.2001 n.24), superato quasi “en passant” dal Collegio e che, per la verità, pone sempre l’interprete di fronte ad un limite ben più “cogente” di quanto possa emergere dall’analisi del caso di specie.
Testo del provvedimento
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Numero Protocolo Interno : 88/2013