ISSN 2385-1376
Testo massima
L’inammissibilità della prova testimoniale prevista dal combinato disposto degli artt. 2722 e 2723 c.c., essendo giustificata non da ragioni di ordine pubblico processuale, bensì dall’esigenza di tutelare interessi di natura privata, non può essere rilevata d’ufficio, ma soltanto eccepita dalla parte interessata prima dell’ammissione del mezzo istruttorio, una volta espletato il quale è possibile soltanto dichiarare la nullità della prova assunta, semprechè la medesima parte sollevi tempestivamente la relativa eccezione nella prima istanza o difesa successiva all’atto o alla notizia di esso, ai sensi dell’art. 157, co. 2, c.p.c.
E’ questo il principio di diritto statuito dalla Cassazione civile, sezione seconda, con sentenza n. 21443 del 19 settembre 2013.
Nella controversia in esame, relativa a un contratto d’appalto avente ad oggetto la ristrutturazione edilizia di un appartamento, la committente convenuta proponeva domanda riconvenzionale verso l’appaltatore attore, richiedendo, peraltro, il risarcimento del danno per la ritardata esecuzione del contratto. Rigettata tale pretesa risarcitoria in primo grado e instaurato il giudizio d’appello, la Corte d’Appello di Roma riteneva che la prova testimoniale, ammessa dalla stessa Corte in diversa composizione e diretta a dimostrare l’accordo su di un termine di gg. 30 per la consegna dell’immobile, era da ritenersi inammissibile, perché dedotta in violazione degli artt. 2722 e 2723 c.c.
La committente ricorreva allora per Cassazione deducendo che la Corte d’Appello, dopo aver ammesso ed espletato la prova testimoniale circa l’esistenza di un accordo sul termine di gg. 30 per la consegna dell’immobile, aveva successivamente ritenuto inammissibile il predetto mezzo istruttorio, contraddicendo le proprie precedenti determinazioni. Peraltro, la ricorrente argomentava che, non avendo la controparte eccepito l’inammissibilità della prova, il giudice di secondo grado non avrebbe potuto rilevarla d’ufficio.
Ebbene, la Suprema Corte, chiamata a pronunziarsi sul caso de quo, ha in via preliminare osservato che le limitazioni poste dagli artt. 2721 e ss. c.c. circa l’ammissibilità della prova testimoniale non attengono a ragioni di ordine pubblico, ma sono dettate a tutela di interessi di natura privatistica; da tale premessa deduceva che la violazione delle suddette norme non solo non può essere rilevata d’ufficio dal giudice, ma neppure è rilevabile dalle parti ove non sia stata dedotta in sede di ammissione della prova ovvero nella prima istanza o difesa successiva ovvero ancora, al più tardi, in sede di espletamento della stessa (Cass. nn. 9925/06, 15554/03, 194/02, 264/97).
La Cassazione ha poi osservato che, ove la prova testimoniale sia stata ammessa nonostante l’eccezione d’inammissibilità della parte controinteressata, quest’ultima ha l’onere di eccepire, ai sensi dell’art. 157, co. 2, c.p.c. e quindi nella prima istanza o difesa successiva all’atto o alla notizia di esso, la nullità della prova ciò nondimeno assunta. Ciò in quanto l’eccezione d’inammissibilità e quella di nullità devono essere tenute ben distinte, soprassedendo a interessi differenti: la prima, infatti, opera ex ante per impedire un atto invalido; la seconda, al contrario, agisce ex post per evitare che gli effetti di esso si consolidino. Valutabili in senso diacronico, detti interessi possono essere apprezzati in modo differente dalla medesima parte, che può ben ritenere vantaggioso l’esito della prova espletata, la quale, in virtù del principio acquisitivo, giova o nuoce alle parti indipendentemente da chi abbia dedotto il mezzo istruttorio (Cass. n. 12784/13).
In definitiva, la Suprema Corte, ritenuta illegittima la rilevazione d’ufficio dell’inammissibilità della prova testimoniale diretta a dimostrare l’accordo su di un termine di gg. 30 per la consegna dell’immobile, ha accolto il motivo di ricorso formulato dalla ricorrente, cassando con rinvio la sentenza impugnata.
Testo del provvedimento
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