Testo massima
Molto
articolata e complessa è la sentenza della Cassazione civile, sezione terza, n. 22808 depositata il 7.10.2013.
Il
Supremo Collegio ha preso in esame ben 17 motivi di ricorso ritenuti tutti
inammissibili.
Particolarmente
significativo è l’undicesimo motivo, rubricato violazione e falsa applicazione
del D.P.R. 21 gennaio 1976, n. 7, artt. 14 e 15, artt. 1224, 1458, 1819 e 2041
c.c., che conclude con il quesito rivolto alla Corte se una volta risolto il contratto di mutuo
fondiario a seguito dell’intimazione dell’atto di precetto il mutuatario possa pretendere
la cessazione dell’anatocismo, se non abbia specificato adeguatamente le
ulteriori ragioni di risoluzione anticipata del contratto.
La
soluzione data dalla Corte di Cassazione è la seguente: in base a consolidata giurisprudenza
di legittimità (cfr. ex plurimis Cass. 14 febbraio 2013, 3656; Cass. 3 maggio 2011,
n. 9695), in materia
di mutuo fondiario, disciplinato dal D.P.R. 21 gennaio 1976, n. 7, “spetta
al giudice di merito accertare se, mediante la notificazione di atto di
precetto al mutuatario inadempiente, la banca abbia manifestato la propria
volontà di avvalersi della clausola risolutiva espressa prevista dal D.P.R. 21
gennaio 1976, n. 7, art. 15, dichiarando espressamente di voler risolvere il
contratto di mutuo, ovvero, per fatti concludenti, intimando l’immediato
pagamento di ogni residua somma ad essa spettante“.
Perché sia valida la clausola risolutiva prevista dall’art.
15 del D.P.R. su citato, è necessario che la banca abbia espressamente
dichiarato di volersene avvalere oppure che abbia manifestato tale volontà per
fatti concludenti, mediante la richiesta
di pagamento dell’intero effettuata prima della notifica dell’atto di precetto ovvero con l’intimazione di pagamento
dell’intera somma dovuta.
Non si può escludere che la suddetta volontà venga
manifestata in un momento successivo, mediante una dichiarazione che intervenga
dopo la notifica dell’atto di precetto. Tale dichiarazione, però, deve sempre contenere o l’espressione della
volontà di risolvere il contratto o la richiesta di pagamento dell’intero
capitale residuo.
Infatti, mentre l’atto di precetto individua l’oggetto della
prestazione dovuta sulla base del titolo esecutivo, ossia il credito per il
quale sarà iniziata l’azione esecutiva, il successivo atto di pignoramento non svolge
affatto tale funzione.
Da ciò discende che, nel caso in cui il precetto
intimi solo il pagamento della parte di credito scaduta alla data della sua
notifica, senza che l’istituto di credito manifesti la volontà di avvalersi
della clausola risolutiva espressa, il vincolo nascente dal contratto di mutuo
persiste e al debitore sarà consentito di beneficiare della rateizzazione
operata dall’originario piano di ammortamento.
Il debitore, però, dovrà corrispondere per intero l’importo
della rata stabilita secondo tale piano, maggiorata dal giorno della scadenza
degli interessi dovuti ai sensi dell’art. 14 dello stesso D.P.R. 21 gennaio
1976, n. 7.
Continua
il Supremo Collegio sostenendo che il debitore non può, “per
il solo fatto dell’intimazione del precetto e senza addurre e specificare
adeguatamente le ulteriori ragioni di risoluzione anticipata del contratto,
pretendere la cessazione di operatività dello speciale anatocismo legale
previsto in materia (dall’art. 14, D.P.R. 21 gennaio 1976, n. 7) e riferito al
tasso convenzionale e non a quello legale”.
Nel caso de quo hanno ritenuto gli Ermellini che non si ricava
né il contenuto del precetto, né tanto meno il riferimento dei conteggi poi
posti a fondamento della decisione gravata all’anatocismo sulle rate a scadere.
La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso.
Testo del provvedimento
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