ISSN 2385-1376
Testo massima
Il grave, ingiustificato e reiterato ritardo nel deposito dei provvedimenti giurisdizionali comporta in ogni caso la responsabilità disciplinare del magistrato incolpato, salva l’allegazione e conseguente dimostrazione di circostanze assolutamente eccezionali che abbiano determinato tale ritardo.
E’ questo il principio di diritto che emerge dalla sentenza n.26284 pronunziata dalla Cassazione civile a sezioni unite in data 25/11/2013 in materia di responsabilità disciplinare della magistratura.
Nel caso di specie, la sentenza trae origine dal ricorso presentato da un magistrato del Tribunale di Milano avverso la decisione del Consiglio Superiore della Magistratura che gli aveva inflitto la sanzione della perdita di anzianità di due mesi per aver depositato numerose sentenze con gravi ritardi, alcune superiori ai 100-200 giorni, altre superiori ai 300 giorni, mentre nel caso più grave il ritardo aveva raggiunto i 2246 giorni.
Ad avviso del ricorrente la sentenza impugnata meritava censura, atteso che nella stessa si ometteva qualsivoglia indagine sull’ingiustificato ritardo, pur a fronte della documentazione prodotta in atti, dalla quale emergeva la sua indubbia laboriosità e le sue funzioni particolarmente impegnative.
Ebbene, le Sezioni Unite della Suprema Corte, chiamate a pronunziarsi sul caso de quo, hanno ritenuto infondate le censure sollevate dal ricorrente, atteso che la sentenza impugnata, nel rilevare che il magistrato aveva depositato numerose sentenze con ritardi superiori al triplo del termine concesso al giudice dalla legge, altre addirittura dopo mille giorni, mentre una “attendeva ancora di essere motivata da oltre quattro anni”, ha dato prova non soltanto della reiterazione, ma anche della gravità dei ritardi.
Quanto al requisito della ingiustificabilità, gli ermellini hanno ritenuto che il Consiglio Superiore della Magistratura avesse dato corretta e puntuale applicazione alla giurisprudenza delle Sezioni Unite secondo cui, ai fini dell’integrazione della fattispecie di cui all’art.2, comma 1, lett. q) D.Lgs 109/2006, la non giustificabilità del ritardo costituisce non un ulteriore elemento della fattispecie, ma un fatto ad essa esterno, che gravita nell’area delle situazioni riconducibili alle condizioni di inesigibilità ed è funzionale alla delimitazione degli obblighi giuridicamente determinati sul piano normativo con lo scopo di temperarne il rigore applicativo, allorché, per circostanze specificamente accertate, la sanzione apparirebbe irrogata “non iure”. Ne consegue che, quando i ritardi risultino intollerabili, la possibilità che essi vengano scriminati si restringe ed è pertanto richiesto il concorso di fattori eccezionali e proporzionati alla particolare gravità attribuibile alla violazione.
Da tali considerazioni deriva che è onere dell’incolpato allegare e provare i fattori assolutamente eccezionali che giustifichino il mancato rispetto dei termini previsti ex lege per il deposito dei provvedimenti giudiziali, non essendo di per sé rilevante né la laboriosità, né la comparazione percentuale tra i provvedimenti tempestivamente depositati e quelli depositati in ritardo, né infine il contenuto e la difficoltà particolare di quelli il cui termine di deposito sia stato ritardato oltre l’anno.
In conclusione, dunque, le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno rigettato il ricorso, valutando che i fatti oggetto di contestazione fossero oggettivamente molto gravi e che le omissioni fossero tali da non permettere il contenimento della sanzione nei limiti del minimo edittale.
In tema di ritardo nel deposito dei provvedimenti, si segnala, altresì, la sentenza n.17556 pronunziata dalla Cassazione civile, sezioni unite, in data 18/07/2013, con la quale si è stabilito il principio secondo il quale non va esente da responsabilità disciplinare il magistrato che abbia accumulato, nel deposito dei provvedimenti giurisdizionali, ritardi pari o superiori ad un anno, nonostante egli produca elementi a sua discolpa.
Testo del provvedimento
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