ISSN 2385-1376
Testo massima
A differenza di quanto avviene per il concordato preventivo, il concordato fallimentare ha ad oggetto una società già dichiarata fallita, donde il procedimento deve ritenersi valido anche quando il parere del curatore non rilevi la sussistenza di incongruenze o contraddizioni contenute nella proposta.
I creditori, grazie agli organi fallimentari, sono comunque già nella condizione di poter valutare, con un certo grado di approssimazione, la situazione debitoria dell’impresa e il presumibile attivo realizzabile, potendo esprimere il loro apprezzamento in merito alla proposta di concordato fallimentare.
Sono questi i principi sanciti dalla Suprema Corte di Cassazione, Sezione Prima, con la sentenza n. 24359 del 29 ottobre 2013 pronunciata nell’ambito di una procedura di reclamo proposto dall’erede del socio di una società in accomandita semplice, dichiarato fallito, contro il decreto con cui il Tribunale di Roma ha omologato la proposta di concordato fallimentare.
Il reclamo venne però rigettato dalla Corte di Appello di Roma, donde il ricorrente propone ricorso per cassazione, deducendo, in specie, vizi del provvedimento con particolare riferimento al mancato accoglimento delle censure rivolte contro il parere formulato dal curatore ai sensi dell’art. 125 L.F. in relazione alla proposta di concordato fallimentare.
Il ricorrente contesta l’erroneità del decreto di omologazione per effetto di una non corretta interpretazione dell’art. 125 L.F. e dell’art. 129 L.F.. Il ricorrente eccepisce, in particolare, il fatto che il giudice dell’appello avrebbe fornito una carente motivazione laddove ha considerato inammissibile il sindacato sui vizi riguardanti il parere del curatore fallimentare nella parte in cui la relazione avrebbe omesso di rilevare una presunta incongruenza della proposta concordataria.
Circostanza che avrebbe fornito al ceto creditorio un’errata rappresentazione in ordine ai vantaggi che i creditori avrebbero potuto trarre dall’omologazione del concordato rispetto alla prosecuzione della procedura fallimentare.
Nell’affrontare i motivi di gravame proposti dal ricorrente, la Cassazione richiama le disposizioni aventi ad oggetto la procedura di concordato fallimentare ed in particolare l’art. 124 L.F., l’art. 125 L.F., l’art. 127 L.F., l’art. 128 L.F. e l’art. 129 L.F. evidenziandone le differenze rispetto a quanto invece avviene per il concordato preventivo.
Ciò in ragione del richiamo operato dal ricorrente ad alcuni principi giurisprudenziali dettati per il concordato preventivo, istituto a cui l’istante ha fatto rinvio al fine di sostenere i propri motivi di ricorso.
La Cassazione ha tuttavia subito sgombrato il campo da ogni equivoco, sottolineando come solo alcuni dei principi giurisprudenziali previsti per il concordato preventivo possano ritenersi applicabili al concordato fallimentare, a fronte delle diversità normative esistenti tra i due istituti.
La Cassazione rammenta innanzitutto che, a norma dell’art. 124 L.F., la proposta di concordato fallimentare, può essere formulata, in principalità, da un creditore o da un terzo e, a certe condizioni, anche dal fallito, laddove è già intervenuta la dichiarazione di fallimento dell’impresa che ha dunque di norma già cessato la propria attività.
Gli organi fallimentari sono pertanto nella condizione di poter accertare sia la situazione debitoria dell’impresa attraverso la formazione dello stato passivo sia le attività facenti capo alla massa creditoria tramite l’inventario dei beni acquisiti e le azioni di recupero già intraprese.
La Cassazione sottolinea che questo tipo di attività è documentata dagli atti della procedura che sono messi a disposizione dei creditori, i quali sono quindi posti nella condizione di essere a conoscenza della situazione debitoria dell’impresa e del presumibile attivo realizzabile.
A differenza di quanto avviene nel concordato preventivo, la proposta di concordato fallimentare beneficia pertanto di una situazione statica, risultando così più semplificata.
La Cassazione osserva infatti che chi presenta una richiesta di concordato fallimentare non è tenuto a prospettare la situazione economico finanziaria e patrimoniale dell’impresa e le sue prospettive in una dimensione dinamica di operatività sul mercato.
Questo è il contesto generale nel quale si inserisce l’art. 125 L.F., il quale prevede, come noto, che la proposta di concordato fallimentare debba essere presentata con ricorso al giudice delegato, il quale deve chiedere il parere del curatore, con specifico riferimento ai presumibili risultati della liquidazione.
Nel concordato fallimentare, il parere del curatore riveste però una funzione più limitata rispetto al parere del professionista sulla veridicità dei dati aziendali e sulla fattibilità del piano così come invece prevista per la proposta di concordato preventivo ex art. 161 L.F..
La Cassazione evidenzia pertanto che il parere richiesto al curatore ai sensi dell’art. 125 L.F. deve essenzialmente mettere in luce il presumibile attivo che la massa dei creditori potrebbe realizzare a seguito dell’esaurimento della liquidazione nei confronti di quanto messo a disposizione dalla proposta di concordato, tenuto conto dell’adeguatezza delle garanzie prestate.
Esaurito tale adempimento, il giudice delegato, previa acquisizione del parere del comitato dei creditori, è unicamente investito del compito di valutare la ritualità della proposta, il cui esito va comunicato ai creditori per la loro valutazione.
La Cassazione ritiene pertanto che i creditori, a norma dell’art. 125 L.F., hanno a disposizione tutti gli elementi acquisiti dagli organi fallimentari nel corso della procedura oltre che dei pareri del curatore e del comitato dei creditori, al fine di poter formulare la loro valutazione in merito alla proposta di concordato fallimentare.
Ciò in ragione del fatto che la proposta di concordato fallimentare si limita a indicare la somma messa a disposizione con l’indicazione delle garanzie e dei tempi di distribuzione ai creditori.
I creditori sono possono dunque esprimere un proprio giudizio sulla proposta di concordato fallimentare ed assumere la posizione che ritengono più opportuna in sede di votazione a norma dell’art. 127 L.F..
La Cassazione afferma pertanto le eventuali carenze del parere del curatore nell’esame della proposta di concordato fallimentare non possono, di regola, inficiare la regolarità del procedimento.
Tale principio trova il proprio fondamento alla luce di quanto disposto dall’art. 125 L.F., il quale non richiede che il parere del curatore si incentri in modo specifico sulla congruenze e non contradditorietà della proposta di concordato fallimentare.
La Cassazione osserva che la valutazione del concordato fallimentare deve infatti ritenersi lasciata all’apprezzamento dei creditori, poiché essi hanno a disposizione gli strumenti informativi necessari non solo per rilevare possibili incongruenze interne e contraddizioni della proposta, ma anche per verificare eventuali carenze, omissioni o erronee indicazioni sulla base della documentazione del fallimento.
Sulla base dei principi sopra richiamati, la Cassazione ha pertanto ritenuto infondati i motivi di ricorso formulati dal ricorrente, evidenziando che il parere del curatore deve fornire ai creditori elementi di valutazione in merito alla proposta di concordato fallimentare, ma non deve necessariamente effettuare un’esame specifico della sua incongruenza o contraddittorietà.
Nel momento pertanto in cui il ceto creditorio ha ricevuto gli elementi riguardanti l’attivo realizzabile dal fallimento e le informazioni concernenti le attività in corso o le eventuali percentuali di ripartizione, i creditori sono nella condizione di poter valutare la proposta di concordato alla luce della documentazione a quest’ultimi fornita dagli organi fallimentari, potendone apprezzare sia le eventuali imprecisioni o contraddizioni sia le possibili divergenze interpretative.
La Cassazione evidenzia, in definitiva, che non può costituire causa di irregolarità della procedura, il mancato rilievo da parte del curatore di possibili contraddizioni o incompletezze, dal momento che queste possono essere direttamente riscontrabili dai creditori a cui sono stati forniti tutti gli elementi necessari per compiere una valutazione della proposta di concordato fallimentare.
Il parere del curatore può unicamente fornire un supporto orientativo, lasciando tuttavia intatti i criteri di valutazione che sono riservati ai creditori.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 16679-2012 proposto da:
S.F.M. (c.f. (OMISSIS)), nella qualità di erede di S.P. (dichiarato fallito nella qualità di socio accomandatario della S.U.s.a.s.,
– RICORRENTE –
contro
S.U., ALFA S.R.L., T.D., S.M. E., S.F., FALLIMENTO DI S.U. & C. S.A.S. E DI S.P.;
Nonchè da:
ALFA S.R.L. (c.f. (OMISSIS));
– CONTRORICORRENTE E RICORRENTE INCIDENTALE –
contro
S.U., S.F.M., T.D., S. M.E., S.F., FALLIMENTO DI S.U. & C. S.A.S. E DI S.P.;
– intimati
avverso il decreto n. 3173/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il 26/04/2012;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato il 12 gennaio 2011, S.F.M., nella qualità di erede con beneficio di inventario di S.P. in precedenza dichiarato fallito anche in proprio, quale socio accomandatario della S.a.s. S.U. & C, proponeva reclamo avverso il decreto 3 dicembre 2010 con il quale il Tribunale di Roma, rigettando la di lui opposizione, aveva omologato il concordato fallimentare proposto dalla ALFA S.R.L., mandando al G.D. di fissare le modalità di pagamento delle somme versate dalla proponente e di provvedere agli ulteriori atti esecutivi, ed alla cancelleria per le pubblicità di legge, con condanna dell’opponente alla rifusione delle spese della procedura.
Disposta la comparizione delle parti, si costituiva la resistente ALFA S.R.L. opponendosi all’accoglimento del reclamo in quanto inammissibile e infondato, e, in ogni caso, reiterando la già formulata eccezione di difetto di interesse ad agire da parte dell’erede S..
La Corte d’appello di Roma, con decreto depositato il 26.4.12, rigettava il reclamo.
Avverso la detta decisione ricorre per cassazione S.F. M. sulla base di dieci motivi cui resiste con controricorso, illustrato con memoria, la ALFA SRL che, a sua volta, propone ricorso incidentale condizionato cui resiste con controricorso il S..
Va anzitutto rilevato che i motivi di ricorso principale nel loro insieme deducono vizi del provvedimento impugnato sotto il profilo che esso non avrebbe accolto le censure mosse dal ricorrente al parere del curatore espresso L. Fall., ex art. 125 in relazione alla proposta di concordato che aveva costituito, invece, oggetto di specifica impugnazione già nella fase di merito.
Ciò posto, va preliminarmente osservato che l’evoluzione normativa introdotta con la novellazione del 2006 e 2007, in ragione della quale i poteri del giudice sono limitati alla sua funzione di garante della regolarità della procedura e custode dell’osservanza dei principi fondanti dell’ordinamento, nonchè di organo delegato alla soluzione dei conflitti che dalla procedura derivano, mentre resta affidata agli altri organi della procedura o direttamente ai creditori riuniti in adunanza la decisione circa il merito delle scelte che attengono alle modalità con cui pervenire alla liquidazione del patrimonio del debitore e, quindi, al soddisfacimento dei creditori (cfr. Cass., Sez. 1, 10 febbraio 2011, n. 3274), trova riscontro anche nell’ambito della procedura di concordato fallimentare.
La L. Fall., artt. 127 e 128 devolvono, infatti, ai creditori il giudizio di convenienza della proposta concordataria, sulla base del parere formulato dal curatore e dal comitato dei creditori, con riguardo ai presumibili risultati della liquidazione, restando pertanto soppressa la preventiva valutazione già affidata dall’art. 125 al giudice delegato, al quale spetta ora soltanto un controllo sulla ritualità della proposta.
Il procedimento di omologazione, poi, ha ad oggetto solamente la verifica della regolarità formale della procedura e dell’esito della votazione, salvo che il concordato preveda la suddivisione dei creditori in classi ed alcune di esse risultino dissenzienti (circostanza che qui non rileva), restando pertanto esclusa ogni valutazione sul contenuto della proposta, contrariamente a quanto previsto dal testo originario della L. Fall., art. 130, che demandava al tribunale non solo un controllo in ordine alla ritualità del procedimento ed all’osservanza degli adempimenti prescritti dalla legge, ma anche l’esame del merito della proposta, e, quindi, la valutazione della sua convenienza ed opportunità.
Questa Corte ha peraltro avuto occasione di precisare che “nel caso in cui la proposta concordataria venga avanzata da un terzo, tale esclusione può tuttavia comportare un ingiustificato sacrificio per le ragioni del debitore, il quale, non essendo parte dell’accordo intervenuto tra il proponente ed i creditori, può vedersi sottrarre i suoi beni sulla base di una valutazione che, pur idonea a soddisfare i crediti in misura ritenuta conveniente dalla maggioranza dei creditori, risulti insufficiente rispetto al valore reale dell’attivo fallimentare” (Cass. 16378/11) (omissis). Tale eventualità si pone in contrasto con i principi ispiratori del sistema della responsabilità patrimoniale e con le norme che disciplinano il processo di esecuzione forzata, individuale o collettiva, in virtù dei quali la sottrazione al debitore del potere di amministrare i propri beni e di disporne trova giustificazione soltanto nei limiti risultanti dalla finalità, cui essa è preordinata, di soddisfacimento delle pretese dei creditori, dovendosi realizzare un giusto equilibrio tra gl’interessi di questi ultimi e quello del debitore al rispetto dei propri beni (cfr. Cass., Sez. 1, 22 marzo 2010, n. 6904)(Cass 16378/11).(omissis)…
E’ stato d’altronde chiarito che l’utilizzazione del concordato non è sottratta al divieto di abuso del diritto, la cui applicazione, ormai ampiamente diffusa in riferimento sia agl’istituti di diritto sostanziale che a quelli di diritto processuale, trova fondamento nel principio generale secondo cui l’ordinamento tutela il ricorso agli strumenti che esso stesso predispone nei limiti in cui essi vengano impiegati per il fine per cui sono stati istituiti, senza procurare a chi li utilizza un vantaggio ulteriore rispetto alla tutela del diritto presidiato dallo strumento e a chi li subisce un danno maggiore rispetto a quello strettamente necessario per la realizzazione del diritto dell’agente…. (omissis).(Cass. 16378/11)”.
La limitazione dei poteri del giudice, in sede di omologazione del concordato, al controllo di legalità della procedura, con la conseguente esclusione di ogni valutazione in ordine al merito della proposta, non impedisce pertanto al tribunale di verificare l’eventuale abuso dell’istituto in esame, per la cui configurabilità non è peraltro sufficiente che la proposta appaia poco conveniente al debitore, anche in relazione alle previste modalità di soddisfazione dei creditori, o che la stima dei beni sia ritenuta da lui inadeguata, occorrendo invece che le modalità di utilizzazione del concordato rivelino l’intento di piegare tale strumento a finalità diverse da quelle per cui è predisposto, e che consistono nell’agevolare la soluzione anticipata della crisi d’impresa mediante una soluzione che tuteli i diritti di tutti i creditori con le modalità approvate dalla maggioranza, senza arrecare al fallito un pregiudizio non necessario. (Cass. 16378/11)”.
In conclusione dunque, alla luce della giurisprudenza di questa Corte, in sede di omologazione del concordato fallimentare al giudice compete solo di controllo di legalità della procedura con esclusione di ogni valutazione di merito ad eccezione della verifica dell’eventuale abuso dell’istituto in esame.
Il ricorrente nella parte introduttiva all’insieme dei motivi fa riferimento ad alcune sentenze di questa Corte riguardanti procedure di concordato preventivo ove vengono chiariti quelli che sono i poteri del giudice, in particolare sulla relazione del professionista circa la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano, ritenendo che gli stessi principi siano applicabili anche in tema di concordato fallimentare.
Ritiene il Collegio che alcuni principi fondamentali siano certamente comuni ai due istituti, ma che la rimarchevole differenza tra gli stessi non consenta di applicare, in assenza di adeguata verifica, ad un istituto principi applicabili all’altro.
E’ fin troppo noto che il concordato preventivo è proposto da un imprenditore in crisi di liquidità che propone, secondo diverse modalità, ai creditori un piano di rientro delle proprie esposizioni debitorie con una falcidia delle stesse.
Il tutto avviene mentre l’impresa è di regola in attività.
Da ciò consegue la particolare difficoltà per i creditori, che non necessariamente sono a conoscenza delle vicende imprenditoriali, finanziarie ed economiche dell’impresa di effettuare una prognosi sulla possibilità effettiva per il debitore di adempiere alle proposte obbligazioni concordatarie e sulla convenienza delle stesse.
Di qui la particolare importanza della relazione del professionista di cui alla L. Fall., art. 161 che attesta la veridicità dei dati aziendali allegati alla proposta di concordato e la fattibilità di quest’ultimo.
La relazione costituisce infatti lo strumento fondamentale attraverso il quale i creditori possono acquisire conoscenza della effettiva situazione dell’impresa ed effettuare le loro valutazioni circa la fattibilità e la convenienza della proposta.
Il noto dibattito che è seguito alla riforma operata nel 2006-07 dell’istituto del concordato preventivo circa i poteri di controllo del giudice sulla proposta concordataria e, in particolare, sulla relazione del professionista, ha trovato un punto di approdo nella recente sentenza delle sezioni Unite di questa Corte che ha affermato che:
“a) è irrilevante, nell’economia della proposta concordataria e della sua fattibilità economica, l’indicazione della prevedibile misura di soddisfacimento dei creditori;
b) il sindacato del giudice in ordine al requisito di fattibilità giuridica del concordato deve essere esercitato sotto il duplice aspetto del controllo di legalità sui singoli atti in cui si articola la procedura e della verifica della loro rispondenza alla causa del detto procedimento….., mentre non può essere esteso ai profili concernenti il merito e la convenienza della proposta;
c) agli eventuali difetti di informazione circa le condizioni di fattibilità del piano consegue il rigetto della domanda. ” (Cass. 1521/13).
Attenendosi a tali principi una successiva sentenza di questa Corte ha ribadito che in tema di concordato preventivo, il controllo del tribunale va effettuato sia verificando l’idoneità della documentazione prodotta (per la sua completezza e regolarità) a corrispondere alla funzione che le è propria, consistente nel fornire elementi di giudizio ai creditori, sia accertando la fattibilità giuridica della proposta, sia, infine, valutando l’effettiva idoneità di quest’ultima ad assicurare il soddisfacimento della causa della procedura. Rientrano, dunque, nell’ambito di detto controllo: la correttezza e la coerenza delle argomentazioni svolte e delle motivazioni addotte dal professionista a sostegno del formulato giudizio di fattibilità del piano; l’eventuale impossibilità giuridica di dare esecuzione, sia pure parziale, alla proposta di concordato; l’eventuale inidoneità della proposta, se emergente “prima facie”, a soddisfare in qualche misura i diversi crediti rappresentati. Resta, invece, riservata ai creditori la valutazione in ordine al merito di detto giudizio, che ha ad oggetto la fattibilità del piano e la sua convenienza economica.(Cass 13083/13).
I suddetti principi sono astrattamente applicabili anche al concordato fallimentare dovendosi però tenere conto delle differenze normative esistenti in ragione delle diversità esistenti tra i due istituti.
E’ perfino banale ricordare che la proposta di concordato fallimentare riguarda una impresa dichiarata fallita e può essere avanzata sia da un creditore che da un terzo ed a certe condizioni anche dal fallito.
Una impresa in stato di fallimento ha di regola cessato la propria attività e gli organi fallimentari, nel volgere di un ragionevole lasso di tempo, accertano sia la situazione debitoria tramite la formazione dello stato passivo che le attività facenti capo alla massa tramite l’inventario dei beni acquisiti e le varie azioni di recupero intraprese.
Tale attività risulta documentata dai vari atti della procedura ed è disponibile per i creditori.
Questi dunque sono in condizioni di sapere, con una certa approssimazione, la situazione debitoria dell’impresa ed il presumibile attivo realizzabile.
Una proposta di concordato che interviene in siffatta situazione statica si presenta di conseguenza alquanto più semplificata rispetto a quella di un concordato preventivo non essendo tenuto chi la presenta, a differenza dell’imprenditore nel caso di concordato preventivo,a prospettare la situazione economico-finanziaria e patrimoniale della impresa e le sue prospettive in una situazione dinamica di operatività sul mercato.
In siffatto contesto, la L. Fall., art. 125 prevede soltanto, a differenza della L. Fall., art. 161 (parere del professionista sulla veridicità dei dati esposti dal debitore e sulla fattibilità del concordatocene il giudice delegato chieda un parere al curatore con specifico riferimento ai presumibili risultati della liquidazione ed alle garanzie offerte.
In altri termini, il dato fondamentale che il parere deve fornire è quello relativo al presumibile attivo che la massa potrebbe realizzare a fronte dell’esaurimento della liquidazione nei confronti di quanto invece messo a disposizione dalla proposta concordataria tenendo conto della adeguatezza delle garanzie da questa prestate.
Successivamente, il giudice delegato, ai sensi della L. Fall., art. 125, comma 2, acquisisce il parere del Comitato dei creditori e, valutata la ritualità della proposta, ne ordina la comunicazione ai creditori unitamente ai pareri del curatore e del comitato dei creditori, specificando dove questi possono reperire i dati per la sua valutazione.
Da tali disposizioni si evince che i creditori dispongono per la loro valutazione della proposta concordataria di tutti gli elementi acquisiti dagli organi fallimentari nel corso della procedura nonchè dei pareri del curatore e del comitato dei creditori.
In tale contesto, il parere del curatore riveste una funzione alquanto più ridotta e limitata rispetto alla relazione del professionista di cui alla L. Fall., art. 161 nell’ambito del concordato preventivo. I dati veramente rilevanti ai fini dell’informazione dei creditori essendo il presumibile importo ricavabile dal fallimento a seguito dell’esaurimento della liquidazione e la serietà delle garanzie offerte dal proponente il concordato.
La proposta di concordato fallimentare infatti si limita sostanzialmente ad indicare la somma messa a disposizione della massa con l’indicazione delle garanzie e dei tempi con cui essa verrà distribuita ai creditori.
Sulla base di tutti i detti elementi ogni creditore è in condizione di esprimere un proprio giudizio sulla proposta concordataria ed assumere in sede di votazione la posizione che ritiene più opportuna.
In tale contesto eventuali carenze del parere del curatore nell’esame della proposta concordataria non inficiano di regola la regolarità del procedimento.
L’art. 125, infatti, non richiede che il parere del curatore si incentri in modo specifico sulla congruenza e non contraddittorietà della proposta, poichè la valutazione di essa, anche in relazione ai predetti profili, è comunque lasciata ai creditori che dispongono degli strumenti informativi di cui sopra per rilevare sia le incongruenze interne e le contraddizioni della proposta, sia per potere verificare in base alla documentazione del fallimento a loro disposizioni eventuali carenze, omissioni o erronee indicazioni.
Venendo ora all’esame dei singoli motivi del ricorso principale, si osserva che possono essere trattati congiuntamente il primo ed il secondo motivo con cui il ricorrente contesta l’erroneità del decreto impugnato in quanto il giudice di secondo grado avrebbe erroneamente interpretato la L. Fall., artt. 125 e 129, ed avrebbe fornito una motivazione carente laddove ha considerato inammissibile il sindacato su vizi attinenti al parere obbligatorio L. Fall., ex art. 125, del curatore fallimentare, nelle parti in cui tale atto avrebbe omesso di rilevare una pretesa incongruenza della proposta concordataria, considerando esatta la percentuale di soddisfacimento dei creditori chirografari indicata da ALFA S.R.L. (quantificata nella domanda di concordato come pari al 36,28%, anzichè nella misura del 24,13%, calcolata dal ricorrente includendo nell’attivo fallimentare anche la c.d. “Cassa” di Euro 540.000,00 destinata ad essere acquisita dalla società proponente), sì da fornire al ceto creditorio un’errata rappresentazione in ordine ai vantaggi che essi trarrebbero dall’omologazione del concordato rispetto alla prosecuzione della procedura fallimentare.
I motivi sono infondati.
Alla luce di quanto fin qui esposto il parere deve fornire ai creditori elementi di valutazione in ordine alla proposta concordataria ma non necessariamente deve effettuare un esame specifico della sua incongruenza e di possibili contrastanti interpretazioni cui la proposta potrebbe dar luogo.
Una volta forniti gli elementi relativi all’attivo realizzabile dal fallimento ed ulteriori informazioni ritenute opportune sulle attività in corso e su eventuali percentuali di ripartizione i creditori sono in condizioni di valutare la proposta alla luce di tutta la documentazione fornita loro dagli organi fallimentari valutandone anche le eventuali imprecisioni o contraddizioni e le possibili divergenze interpretative.
Sul punto specifico poi delle percentuali concordatarie ricavabili, questa Corte, sia pure in relazione al concordato preventivo con cessione dei beni ha già avuto occasione di precisare che non rientra nell’ambito del controllo sul giudizio di fattibilità esercitabile dal giudice un sindacato sull’aspetto pratico – economico della proposta, e quindi sulla correttezza della indicazione della misura di soddisfacimento percentuale offerta dal debitore ai creditori. La causa della procedura di concordato sopra richiamata esclude infatti che l’indicazione di una percentuale di soddisfacimento dei creditori da parte del debitore possa in qualche modo incidere sull’ammissione del concordato (Cass. 1521/13).
Del tutto corretta appare quindi la motivazione della Corte d’appello che ha ritenuto i motivi attinenti al merito della proposta.
Con il TERZO ed il QUARTO MOTIVO il ricorrente lamenta, sotto il profilo della violazione della L. Fall., artt. 125 e 129 nonchè del vizio di motivazione, che la Corte d’appello avrebbe omesso di rilevare che la relazione del curatore fallimentare non aveva evidenziato la contraddizione della domanda concordataria che, per un verso, avrebbe offerto di pagare, oltre ad Euro 650.000,00 relativi alle spese di procedura, l’ulteriore somma di Euro 3.400.000,00 da versarsi entro 15 gg. dall’approvazione della proposta, mentre, per altro verso, nell’esporre i conteggi necessari per determinare la percentuale da corrispondere ai creditori chirografari, non avrebbe annoverato l’importo di Euro 650.000,00 tra gli elementi dell’attivo messo a disposizione del ceto creditorio, mostrando anzi di voler estinguere le spese della procedura attingendo dalla somma di Euro 3.400.000,00.
Anche per questi due motivi, che possono essere trattati congiuntamente, deve pervenirsi alla conclusione della loro infondatezza per le medesime ragioni appena esposte.
Non è causa di irregolarità della procedura il mancato rilievo da parte del curatore di contraddizioni o incompletezze della relazione essendo queste comunque riscontrabili direttamente dai creditori cui sono stati forniti tutti gli elementi per valutare la proposta in relazione ai quali il parere del curatore fornisce di regola un supporto orientativo ma che lascia intatti i loro criteri di valutazione.
Anche in questo caso del tutto corretta appare la motivazione della Corte d’appello secondo cui la questione investe il merito della proposta.
Con il QUINTO ed il SESTO MOTIVO di ricorso il ricorrente contesta, sotto il profilo della violazione di legge e del vizio motivazionale, il decreto impugnato laddove non ha riscontrato la carenza del parere del curatore nel non rilevare che la proposta di concordato, pur enunciando tra le voci dell’attivo fallimentare un credito vantato dalla società fallita nei confronti della Federleasing pari ad Euro 141.105,21, tuttavia non avrebbe tenuto conto di tale credito nell’effettuare i conteggi a favore dei creditori chirografari determinando così un percentuale del 43,17 % anzichè una maggiore.
I motivi, da esaminarsi congiuntamente, presentano profili di inammissibilità in quanto non vengono riportati in violazione del principio di autosufficienza del ricorso i punti salienti della proposta di concordato (pg 4 e 7) e non viene spiegato come sia stata determinata la percentuale del 43,7% e come questa sarebbe stata inferiore a quella raggiungibile con l’inclusione del credito sopra indicato.
Anche in questo caso i motivi sono comunque infondati in quanto come più volte ripetuto le contraddizioni della proposta di concordato sono rilevabili direttamente dai creditori senza che il mancato rilievo di esse da parte del parere del curatore possa inficiare la regolarità della procedura.
Con SETTIMO e l’OTTAVO MOTIVO di ricorso il ricorrente contesta, sotto il profilo della violazione di legge e del vizio motivazionale, il decreto impugnato laddove non ha riscontrato la carenza del parere del curatore nel non rilevare che la proposta di concordato, pur dando atto del credito di Euro 9.604.844,21 nei confronti della A.F.Spa., a seguito di azione revocatoria promossa dalla Curatela, tuttavia non tiene conto dei cospicui interessi di mora che sarebbero maturati su tale somma a favore della massa.
Anche il questo caso, essendo rinvenibili per i creditori i dati relativi alla causa revocatoria in questione, gli stessi avrebbero potuto valutare l’esistenza di eventuali interessi come dedotti dal ricorrente e valutare in conseguenza la proposta.
Privo di ogni fondamento è poi l’assunto secondo cui la circostanza, in quanto non contestata, sarebbe da ritenersi ammessa.
Nel caso di specie, la censura non investe infatti in via principale l’esistenza degli interessi o meno quanto il fatto che il curatore non ne abbia fatto cenno nel proprio parere e quindi il fatto che la controparte non abbia contestato l’esistenza degli interessi è priva di rilievo.
Con il NONO MOTIVO di ricorso il ricorrente deduce, sotto il profilo della violazione dell’art.112 c.p.c., che la Corte d’appello non si sarebbe pronunciata sul motivo di reclamo con cui si deduceva l’esistenza di una domanda di insinuazione tardiva presentata dalla Immobiliare Sacco s.r.l., in relazione alla quale, sia la ALFA nel formulare la propria proposta concordataria, sia il Curatore nel rendere il proprio parere favorevole, sarebbero incorsi in un errore nella quantificazione dell’importo di cui era stata richiesta l’ammissione al passivo.
Tale importo non sarebbe infatti pari a circa Euro 10.000.000,00 bensì ad Euro 7.536.523,00. Inoltre, sia la Concordato che il Curatore, sarebbero incorsi in errore poichè, in realtà, l’ammontare esatto depurato dagli interessi, sarebbe pari a Euro 3.692.766,11. Infine, rileva sempre il ricorrente,che nelle more della procedura del concordato fallimentare, era intervenuta una sentenza (non ancora definitiva) che ammetteva la Immobiliare Sacco solo per l’importo di dollari 2.243.277 “….ben lontana dai paventati dieci milioni di Euro”.
Il motivo è inammissibile.
Di tale questione non si rinviene traccia nel decreto impugnato.
Era pertanto onere del ricorrente riportare nel ricorso, in osservanza del principio di autosufficienza i brani dell’atto di reclamo ove aveva proposto siffatta questione. In assenza di tutto ciò il motivo deve ritenersi nuovo e, quindi, non scrutinabile in questa sede di legittimità.
Con il decimo motivo il ricorrente deduce il vizio di motivazione in ordine alla pretesa esistenza di azioni della società A. S. e G.C. SA, di ingente valore, che sarebbero state nel possesso fallito Sig. S.P. di cui il parere del curatore non avrebbe fatto cenno.
Il motivo è inammissibile.
Il decreto impugnato ha rilevato su tale questione che le azioni non erano in realtà state in alcun modo individuate nè consegnate dal loro titolare con la conseguenza che la riferita disponibilità doveva ritenersi a livello di mera enunciazione.
Trattasi di motivazione del tutto adeguata basata sul riscontro della assenza delle azioni in questione come tale non sindacabile in questa sede di legittimità.
Le censure che il ricorrente avanza tendono infatti a prospettare una diversa ricostruzione e valutazione delle risultanze probatorie investendo inammissibilmente il merito della decisione.
Il ricorso principale va in conclusione respinto.
Resta assorbito il ricorso incidentale condizionato.
In ragione della novità della questione relativa ai poteri di sindacato del giudice in tema, di concordato fallimentare si compensano le spese di giudizio.
Rigetta il ricorso principale, assorbito l’incidentale compensa le spese di giudizio.
Così deciso in Roma, il 19 settembre 2013.
Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2013
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Autore, Titolo, in Ex Parte Creditoris - www.expartecreditoris.it - ISSN: 2385-1376, anno
Numero Protocolo Interno : 627/2013