ISSN 2385-1376
Testo massima
La cessione di credito, se compiuta in funzione solutoria, si caratterizza come anomala rispetto al pagamento effettuato in danaro o con titoli di credito considerati equivalenti, in quanto il relativo processo satisfattorio non è usuale alla stregua delle ordinarie transazioni commerciali, ed è, pertanto, soggetta a revocatoria fallimentare, a norma dell’art. 67, comma 1, n. 2, legge fall., sottraendosene soltanto quando sia stata stipulata a scopo di garanzia di un debito sorto contestualmente e non già per estinguere un debito preesistente e scaduto.
La sentenza trae originale dall’azione proposta dal Curatore di un Fallimento in danno del titolare di una Agenzia Assicurativa, per sentir revocare ex art. 67, comma 1, n. 2, L. Fall. – quale atto estintivo di un debito pecuniario costituito da premi assicurativi non eseguito con mezzo normale – la cessione, effettuata con scrittura privata autenticata in favore della Agenzia stessa di un credito vantato dalla società poi fallita nei confronti del Comune di Benevento, con la conseguente condanna alla restituzione di tale somma in favore della massa.
Il SC, quindi, ha rigettato il ricorso confermando la sentenza della Corte di Appello di Napoli che aveva confermato la sentenza del Tribunale di Benevento sul rilievo, nel merito, che la cessione di credito costituisce mezzo anomalo di pagamento, con conseguente revocabilità dell’atto perchè compiuto entro i due anni anteriori alla sentenza di fallimento (secondo il disposto dell’art. 67, comma 1, n. 2 applicabile ratione temporis), in mancanza di prova da parte della società convenuta in ordine alla propria inscientia decoctionis.
In più pronunce, la Corte di Cassazione ha affermato, infatti, che la cessione di credito effettuata in funzione solutoria, cioè per estinguere un debito pecuniario scaduto ed esigibile, si caratterizza come anomala rispetto al pagamento effettuato in danaro o con titoli di credito considerati equivalenti, in quanto il relativo processo satisfattorio non è usuale – a prescindere dalla maggiore o minore affidabilità della posizione creditoria trasferita – alla stregua delle ordinarie transazioni commerciali. Essa pertanto, è suscettibile di revocatoria fallimentare anche se pattuita contestualmente alla concessione di un ulteriore credito al cedente che versi già in posizione debitoria nei confronti del cessionario.
Va, infatti, rilevato che è orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità quello secondo cui, al fine della esperibilità dell’azione revocatoria prevista dalla L. Fall., art. 67, comma 1, n. 2, mezzi normali di pagamento, diversi dal denaro, sono soltanto quelli comunemente accettati nella pratica commerciale in sostituzione dei denaro, come gli assegni circolari e bancari ed i vaglia cambiari, sicchè l’estinzione di una precedente passività come scopo ulteriore rispetto alla causa tipica dei singoli negozi a tal fine utilizzati, secondo lo schema del collegamento negoziale, conferisce all’operazione complessivamente realizzata, e all’atto terminale di estinzione del debito, carattere di anormalità (Cass., sez. 1^, 4/8/2000, n. 10264); ed è, perciò, necessario, per escludere la revoca, non solo constatare che l’estinzione del debito pecuniario scaduto ed esigibile si sia realizzata con danaro, ma che questo non sia stato corrisposto al compimento di un processo satisfattorio non usuale alla stregua delle ordinarie transazioni commerciali (Cass., sez. 1^, 22/11/1996, n. 10347).
In particolare è indiscusso in giurisprudenza che la cessione di credito, effettuata in funzione solutoria, anomala rispetto al pagamento effettuato in danaro o con titoli di credito considerati equivalenti al danaro, è, pertanto, soggetta a revocatoria sottraendosene soltanto quando sia stata prevista come mezzo di estinzione contestualmente al sorgere del debito con essa estinto (Cass., sez. 1^, 23/4/2002, n. 5917). E il fatto che la cessione di credito ex art. 1198 cc, come la datio in solutum ex art. 1197 cc, siano ammesse come possibili modalità di estinzione delle obbligazioni non esclude che si tratti di modalità di pagamento diverse da quelle normali (Cass., sez. 1^, 21/12/2004, n. 23714).
Agli effetti dell’esercizio della revocatoria fallimentare sub art. 67, comma 1, n. 2, la cessione di credito non può ritenersi mezzo anormale di pagamento, solo ove non sia stipulata per estinguere un debito preesistente e scaduto, ma sia stata prevista a garanzia di un debito non ancora sorto o sorto contestualmente (Cass., sez. 1^, 2/8/1977, n. 3421; Cass., sez. 1^, 12/7/1991, n. 7794; Cass., sez. 1, 31/8/2005, n. 17590), e che il concetto di contestualità deve essere inteso non in senso formale o semplicemente cronologico, bensì in senso preminentemente sostanziale e causale (Cass., sez. 1^, 9/5/2000, n. 5845; Cass., sez. 1^, 29/8/1995, n. 9075).
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 2857-2007 proposto da:
ALFA S.N.C., (c.f. (OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro tempore
– ricorrente –
contro
CURATELA FALLIMENTO BETA S.A.S., in persona del Curatore dott. M.C.
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 76/2006 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 17/01/2006;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GOLIA Aurelio che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
Il Curatore del Fallimento della BETA s.a.s., dichiarata fallita dal Tribunale di Benevento nel giugno 1996, convenne in giudizio dinanzi al medesimo Tribunale la s.n.c. ALFA, titolare della Agenzia di Campobasso della R.A.S., per sentir revocare ex art. 67, comma 1, n. 2, L. Fall. – quale atto estintivo di un debito pecuniario (pagamento premi assicurativi) non eseguito con mezzo normale – la cessione, effettuata con scrittura privata autenticata del 28 ottobre 1994, in favore della Agenzia di un credito vantato dalla società poi fallita nei confronti del Comune di Benevento, sino a concorrenza della somma di L. 54.805.000, con la conseguente condanna alla restituzione di tale somma in favore della massa. La società convenuta, costituitasi, eccepì preliminarmente il difetto di legittimazione passiva essendo stata citata in proprio e non quale rappresentante della R.A.S. s.p.a. titolare del credito per premi assicurativi, e dedusse comunque, nel merito, di aver incassato, in virtù della cessione impugnata, solo l’importo di L. 30.136.350. Il Tribunale accolse la domanda limitatamente alla somma effettivamente riscossa dalla società convenuta, che condannò alla restituzione di Euro 15.564,12 oltre interessi legali in favore della massa.
Proponeva appello la ALFA s.n.c. chiedendo dichiararsi inammissibile per difetto di legittimazione attiva e passiva, o in subordine rigettarsi nel merito, la domanda. La Curatela fallimentare resisteva, chiedendo in via incidentale la condanna alla restituzione dell’intero ammontare del credito ceduto.
La Corte di Appello di Napoli, con sentenza depositata il 12 gennaio 2006, ha rigettato entrambi gli appelli, compensando le spese del grado. Ha osservato la Corte, per quanto qui ancora rileva, che la pronuncia del Tribunale relativa alla sussistenza in capo alla società convenuta della legittimazione passiva (la doglianza relativa alla legittimazione attiva è stata ritenuta inammissibile ex art. 342 c.p.c.) merita condivisione, ancorchè sulla base di motivazione diversa da quella esposta dal primo giudice, atteso che dall’esame dell’atto di cessione risulta che la cessione fu operata dalla società fallita in favore non già della Compagnia R.A.S. bensì di T.N. in proprio – allora evidentemente titolare della Agenzia nella cui gestione deve ritenersi (in difetto di contestazioni sul punto) successivamente subentrata la società convenuta -, tanto che nell’atto stesso si precisava che l’importo ceduto doveva essere accreditato sul c/c intestato al T., ed era stato quest’ultimo ad accettare la cessione e ad interloquire direttamente con il Comune di Benevento (accettando la proposta di decurtazione del credito a L. 30.136.350 e ricevendo poi tale somma in qualità di legale rappresentante della società gestrice dell’Agenzia), irrilevante essendo che tale denaro sia stato poi utilizzato per soddisfare il credito della R.A.S. per premi assicurativi, in difetto di prove (che era onere della società appellante esibire) in ordine alla eventuale inclusione, tra i poteri di rappresentanza attribuiti dalla R.A.S. al proprio agente, della accettazione di pagamenti a mezzo cessioni di credito e della rinunzia ai crediti della Compagnia. Nel merito, la Corte territoriale ha rilevato come la cessione di credito costituisca mezzo anomalo di pagamento, con conseguente revocabilità dell’atto perchè compiuto entro i due anni anteriori alla sentenza di fallimento (secondo il disposto dell’art. 67, comma 1, n. 2 applicabile ratione temporis), in mancanza di prova da parte della società convenuta in ordine alla propria inscientia decoctionis.
Avverso tale sentenza la ALFA s.n.c. ha proposto ricorso a questa Corte formulando due motivi, cui resiste con controricorso la Curatela del Fallimento della BETA s.a.s..
La società ricorrente ha depositato memoria a norma dell’art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
1. Con il PRIMO MOTIVO la società ricorrente censura, sotto il profilo della violazione dell’art. 100 cod. proc. civ. art. 1903 cod. civ., la statuizione con la quale la Corte di merito ha rigettato l’appello sulla sussistenza della sua legittimazione passiva (non anche quello sulla legittimazione attiva di controparte, al quale soltanto si riferisce, contrariamente a quanto dedotto in controricorso, il difetto di specificità rilevato dalla Corte di merito). Lamenta che la Corte di merito, pur dichiarando validi i motivi di censura, abbia poi confermato la statuizione impugnata ritenendo arbitrariamente che l’attività svolta da T.N. nella sua qualità di procuratore della R.A.S. sia imputabile alla Agenzia, divenuta – non si sa come – ALFA s.n.c..
1.1. Osserva tuttavia il Collegio che la ricorrente, in punto di fatto, non deduce di avere, in sede di merito, contestato che la titolarità dell’impresa che gestisce l’Agenzia fosse all’epoca della cessione in capo a T.N., nè che a questi sia poi succeduta la società in nome collettivo da lui stesso costituita insieme con T.P.. Quanto alla interpretazione dell’atto di cessione, essa costituisce oggetto di valutazione discrezionale riservata al giudice di merito, sindacabile in questa sede di legittimità solo sotto il profilo di eventuali vizi di motivazione, o sotto quello della eventuale violazione delle norme codicistiche in materia di ermeneutica contrattuale: nessuno di tali profili di censura risulta evocato dalla ricorrente, la quale si è invece limitata a proporre inammissibilmente una interpretazione alternativa il cui vaglio non è di competenza di questa Corte di legittimità.
Sì che il rigetto del motivo si impone.
2. Con il SECONDO MOTIVO la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 67, comma 1, l.fall., sull’assunto che la cessione di credito rientrerebbe tra gli atti normali di pagamento di qualunque imprenditore, con conseguente inapplicabilità nella specie del termine biennale previsto dall’art. 67, comma 1, n. 2 (testo previgente), e inammissibilità dell’azione revocatoria per compimento, al momento del fallimento, del termine annuale previsto dal comma 2 (testo previgente), oltre che per decorso del termine prescrizionale di cinque anni prima dell’inizio dell’azione.
2.1. Anche questo motivo non merita accoglimento. In primo luogo, la questione di prescrizione evidenziata in ricorso è inapprezzabile in questa sede di legittimità, non essendo indicato il luogo del processo di merito nel quale la relativa eccezione sarebbe stata utilmente proposta. L’altra censura si mostra (oltre che indimostrata) priva di fondamento alla luce della costante giurisprudenza di questa corte – alla quale va data continuità non offrendo il ricorso elementi per mutarla – secondo la quale la cessione di credito, se compiuta in funzione solutoria, si caratterizza come anomala rispetto al pagamento effettuato in danaro o con titoli di credito considerati equivalenti, in quanto il relativo processo satisfattorio non è usuale alla stregua delle ordinarie transazioni commerciali, ed è, pertanto, soggetta a revocatoria fallimentare, a norma dell’art. 67, comma 1, n. 2, legge fall., sottraendosene soltanto quando sia stata stipulata a scopo di garanzia di un debito sorto contestualmente e non già per estinguere un debito preesistente e scaduto (cfr. ex multis: Sez. 1 n. 12736/11; n. 9388/11; n. 17683/09; n. 1617/09).
Si impone dunque il rigetto del ricorso, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese, che si liquidano come in dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna le società ricorrente al pagamento delle spese di questo grado di giudizio, in complessivi Euro 2.700,00 – di cui Euro 200,00 per esborsi – oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile della Corte Suprema di Cassazione, il 11 giugno 2013.
Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2013
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