ISSN 2385-1376
Testo massima
Sentenza, ordinanza e decreto in materia civile Nullità ed inesistenza della sentenza Insussistenza Verbale d’udienza Funzione Lavoro subordinato (controversie individuali di) – Lettura del dispositivo in udienza – Attestazione nel verbale d’udienza – Necessità – Attestazione contenuta nella narrativa della sentenza – Rilevanza – Esclusione Fondamento
Scopo del verbale d’udienza è in generale l’attestazione che l’udienza si sia effettivamente celebrata, e per quanto riguarda specificamente il rito del lavoro l’attestazione della lettura del dispositivo all’ udienza di discussione della causa.
La nullità della sentenza si configura solo ove emerga un vizio del procedimento tale da impedire all’atto viziato (rectius, assente) di conseguire il proprio scopo, e solo a condizione che vi sia una espressa contestazione del vizio procedimentale da parte del difensore.
Con la pubblicazione del dispositivo, in quanto atto idoneo a certificare in ragione del rito applicabile la lettura del dispositivo, ed a fortiori la celebrazione dell’udienza, può ritenersi aliunde conseguito lo scopo che la legge attribuisce al verbale d’udienza, di guisa che l’assenza dello stesso nel fascicolo d’ufficio costituisce mera irregolarità e non già vizio di nullità della sentenza; e ciò in conformità alle prescrizioni dell’art. 156 c.p.c., a mente del quale la nullità può essere dichiarata ove espressamente prevista, e mai quando sia stato comunque raggiunto lo scopo cui era destinato l’atto viziato.
Testo del provvedimento
1. Con ricorso del 5.12.2007 l’AUSL Piacenza ricorreva in opposizione alla ordinanza 05.11.2007 con cui l’Autorità Garante per la Privacy ingiungeva il pagamento di sanzione amministrativa per l’importo di Euro 10.000,00 in relazione ad una pretesa omessa notifica del trattamento dei dati personali ai sensi dell’art. 37 D.Lgs. 196/2003.
Con ordinanza del 20.12.2007 l’allora Istruttore sospendeva l’efficacia esecutiva dell’impugnata ingiunzione, fissando la comparizione delle parti alla data dell’8.04.2008.
Si costituiva resistendo in data 03.04.2008 l’Avvocatura dello Stato, per l’ Autorità Garante suddetta, contestando quanto ex adverso dedotto ed eccepito.
Esaurita l’istruttoria all’udienza del 19.03.2009 la causa veniva rinviata per discussione orale e contestuale decisione, in ragione del rito applicabile, all’udienza del 12.01.2010, quindi per il carico di ruolo dell’Istruttore al 06.03.2012, poi differita d’ufficio al 02.10.2012.
L’udienza del 02.10.2012 veniva ulteriormente differita all’8.11.2012 essendo lo scrivente estensore, nelle more divenuto assegnatario tabellare del procedimento, impegnato in corso di formazione obbligatorio in Roma. All’udienza dell’8.11.2012, preso atto dell’impossibilità materiale, per il gravoso carico di udienza, di definire immediatamente il procedimento, si disponeva il rinvio all’ udienza del 12.02.2012.
A tale ultima udienza i procuratori delle parti discutevano la causa, che veniva definita mediante pubblicazione del dispositivo, riservandosi il Giudice termine per il deposito delle motivazioni.
2. Preliminarmente è doveroso rilevare d’ufficio un vizio di irregolarità della sentenza che qui si rende. Sin dal giorno successivo all’ultima udienza (13.02.2012), difatti, lo scrivente magistrato riscontrava l’assenza nel fascicolo del verbale d’ udienza, risultando fascicolato il solo dispositivo oggetto di lettura. Vane le ricerche effettuate, ed ormai definito il procedimento, non restava che procedere alla stesura della sentenza in forma integrale, pur dando atto della assenza del citato verbale. Sul punto si osserva che nessun vizio di nullità della pronuncia appare configurabile, per le seguenti ragioni.
Ai sensi dell’art. 152 D.Lgs. 196/2003 “tutte le controversie che riguardano, comunque, l’applicazione delle disposizioni” del suddetto D.Lgs., “comprese quelle inerenti ai provvedimenti del Garante in materia di protezione dei dati personali o alla loro mancata adozione [
] sono attribuite all’autorità giudiziaria ordinaria” e “sono disciplinate dall’articolo 10 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150″. Tale ultima disposizione prevede che “Le controversie previste dall’articolo 152 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, sono regolate dal rito del lavoro, ove non diversamente disposto dal presente articolo“.
Trova pertanto applicazione l’art. 429 c.p.c., a mente del quale “Nell’udienza il giudice, esaurita la discussione orale e udite le conclusioni delle parti, pronuncia sentenza con cui definisce il giudizio dando lettura del dispositivo e della esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione. In caso di particolare complessità della controversia, il giudice fissa nel dispositivo un termine, non superiore a sessanta giorni, per il deposito della sentenza“.
Pacifica la natura documentale della controversia, la stessa appariva meritevole di approfondimento in relazione ad alcune questioni di diritto processuale e sostanziale, sicché a verbale d’udienza il Giudice dava atto di ritirarsi in camera di consiglio per decidere la controversia e stendere il dispositivo, riservandosi nel verbale il termine per il deposito delle motivazioni.
Esaminati gli atti si procedeva a stendere il dispositivo, che veniva letto in udienza alla presenza dei Difensori e pubblicato dalla Cancelleria.
Orbene, l’ipotesi dell’assenza del verbale appare assimilabile non si sono reperiti precedenti giurisprudenziali a quella di inesistenza dello stesso e/o a quella di omessa sottoscrizione. Afferma la giurisprudenza di legittimità che in ipotesi di omessa sottoscrizione da parte del giudice e del cancelliere del verbale dell’udienza di discussione di cui all’art. 429 c.p.c., tale atto risulta privo dell’ efficacia probatoria assegnata dalla legge, ed è totalmente inidoneo a raggiungere il proprio scopo, ove sia contestato il regolare svolgimento dell’attività processuale che lo stesso verbale dovrebbe documentare. La nullità in questione determina conseguentemente quella degli atti compiuti e della stessa sentenza che necessariamente li presuppone (Cassazione civile, sez. lav., 07/08/1999, n. 8521).
Il principio, affermato con chiarezza da detta pronuncia, è che la nullità della sentenza si configuri solo ove emerga un vizio del procedimento tale da impedire all’atto viziato (rectius, assente) di conseguire il proprio scopo, e solo a condizione che vi sia una espressa contestazione del vizio procedimentale da parte del difensore.
Ritiene questo Giudice che, nel caso di specie, anche richiamando tali principi, non sia configurabile alcuna nullità, ma al più una mera irregolarità della sentenza. Occorre infatti considerare che scopo del verbale d’udienza è in generale l’attestazione che l’udienza si sia effettivamente celebrata, e per quanto riguarda specificamente il rito del lavoro “l’attestazione della lettura del dispositivo all’ udienza di discussione della causa” (Cassazione civile, sez. lav., 08/06/2009, n. 13165). La Cassazione, nella sentenza appena citata, ha affermato l’irrilevanza del fatto che, nella narrativa della sentenza, il collegio abbia dato atto del compimento di tale incombente, dovendosi escludere – a differenza di quanto stabilito dall’art. 126 c.p.c. per il cancelliere, al quale sono richieste specifiche attestazioni nella redazione del verbale di udienza – che l’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., nel prevedere, tra i contenuti necessari della sentenza, una «concisa esposizione dello svolgimento del processo», attribuisca al giudice un particolare potere certificativo.
Ma, nel caso di specie, tale potere certificativo risulta indubbiamente esercitato dal Cancelliere, che ha proceduto alla pubblicazione del dispositivo. Incombente questo che va altresì rilevato precludeva l’unico possibile adempimento volto alla sanatoria del vizio riscontrato, cioè la fissazione di nuova udienza di discussione.
Che di mera irregolarità si tratti risulta del resto confermato dalla prevalente giurisprudenza di legittimità: “La lettura del dispositivo della sentenza, richiesta a pena di nullità nel rito del lavoro, non deve necessariamente risultare da esplicita menzione nella sentenza medesima o nel verbale di udienza, ben potendo essere documentata da un qualsiasi atto processuale, o desumersi per implicito da determinate circostanze” (Cassazione civile, sez. lav., 13/04/2004, n. 7037; Cassazione civile, sez. lav., 08/04/2002, n. 5019) quali appunto quelle obiettive di cui s’è detto. Ne discende che con la pubblicazione del dispositivo, in quanto atto idoneo a certificare in ragione del rito applicabile la lettura del dispositivo, ed a fortiori la celebrazione dell’udienza, può ritenersi aliunde conseguito lo scopo che la legge attribuisce al verbale d’udienza, di guisa che l’assenza dello stesso nel fascicolo d’ufficio costituisce mera irregolarità e non già vizio di nullità della sentenza; e ciò in conformità alle prescrizioni dell’art. 156 c.p.c., a mente del quale la nullità può essere dichiarata ove espressamente prevista, e mai quando sia stato comunque raggiunto lo scopo cui era destinato l’atto viziato.
3. Nel merito, l’opposizione è fondata.
Oggetto del contendere è la portata applicativa della norma di cui all’art. 37 D.Lgs. 196/2003, che testualmente così dispone:
“1. Il titolare notifica al Garante il trattamento di dati personali cui intende procedere, solo se il trattamento riguarda: [
] b) dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale, trattati a fini di procreazione assistita, prestazione di servizi sanitari per via telematica relativi a banche di dati o alla fornitura di beni, indagini epidemiologiche, rilevazione di malattie mentali, infettive e diffusive, sieropositività, trapianto di organi e tessuti e monitoraggio della spesa sanitaria; [
] 2. Il Garante può individuare altri trattamenti suscettibili di recare pregiudizio ai diritti e alle libertà dell’interessato, in ragione delle relative modalità o della natura dei dati personali, con proprio provvedimento adottato anche ai sensi dell’articolo 17. Con analogo provvedimento pubblicato sulla Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana il Garante può anche individuare, nell’ambito dei trattamenti di cui al comma 1, eventuali trattamenti non suscettibili di recare detto pregiudizio e pertanto sottratti all’obbligo di notificazione. [
]“
La ricorrente contesta, in primo luogo, la sussistenza dell’obbligo legale di procedere a detta notificazione, evidenziando che i dati trattati non vi sarebbero soggetti sia in quanto non costituenti oggetto di trattamento sistematico, sia in considerazione della natura eccezionale dell’adempimento richiesto, donde la non estensibilità al di fuori dei casi espressamente previsti coerentemente con quanto sancito dall’art.1 L. 689/1981 sia infine in ragione di quanto previsto al comma 1-bis della citata disposizione, a mente della quale “La notificazione relativa al trattamento dei dati di cui al comma 1 non è dovuta se relativa all’attività dei medici di famiglia e dei pediatri di libera scelta, in quanto tale funzione è tipica del loro rapporto professionale con il Servizio sanitario nazionale“. Deduce la sussistenza, in forza di tale disposizione, di un esonero dall’obbligo di notificazione per i trattamenti di dati strumentali allo svolgimento di attività e funzioni nell’ambito del s.s.n. e pertanto non solo delle singole categorie di professionisti menzionati da tale norma, ma in generale per l’attività delle aziende sanitarie, per identità di ratio.
La doglianza appare fondata. È sufficiente sul punto richiamare, oltre alle argomentazioni di cui sopra, coerenti con il dato normativo e che pertanto si ritiene di condividere, anche il tenore letterale del provvedimento emesso dalla resistente Autorità in data 31.03.2004 in attuazione della disposizione controversa. In tale provvedimento si prevede infatti che non siano soggetti a notificazione “i trattamenti non sistematici di dati genetici o biometrici effettuati da esercenti le professioni sanitarie [
] limitatamente ai dati e alle operazioni, compresa la comunicazione, indispensabili per perseguire finalità di tutela della salute o dell’incolumità fisica dell’interessato o di un terzo“. La natura non sistematica del trattamento non è oggetto di specifica e puntuale contestazione, sicché può ritenersi provata; la qualità soggettiva della ricorrente ente pubblico preposto proprio all’attività sanitaria, che si avvale al proprio interno dell’opera di professionisti (medici, sanitari), e che ha come scopo istituzionale la tutela della salute rende non ragionevole l’interpretazione, sostenuta dalla resistente Autorità, secondo cui l’AUSL non può ritenersi inclusa in tale previsione.
4. Con un secondo motivo di censura la ricorrente lamenta la sanzione di una condotta obiettivamente incolpevole. Anche tale doglianza appare fondata, sotto vari profili. In primo luogo, in tal senso depone il rilievo che l’AUSL abbia posto in essere condotte di spontanea ottemperanza; e ciò sia in riferimento a un dato normativo oggettivamente non perspicuo attesa la sovrapposizione di disposizioni legali nazionali dall’infelice formulazione, di disposizioni comunitarie (v. in specie la direttiva 95/46/CE), di provvedimenti amministrativi del pari farraginosi, il tutto da coordinarsi con il concorrente ambito normativo della L. 689/1981 (disciplina generale dell’illecito amministrativo) con la scelta di dare comunque esecuzione all’obbligo di comunicazione; sia in riferimento alla sanzione amministrativa irrogata, che è stata pagata. In relazione a tale ultimo punto, peraltro, la prospettazione ex adverso di una acquiescenza è smentita per tabulas, recando il mandato di pagamento prodotto in atti l’espressa menzione che il pagamento avveniva “con riserva di ripetizione” (doc. 5 parte ricorrente).
In secondo luogo, è stato provato che la ricorrente abbia ripetutamente tentato di eseguire la prescritta comunicazione, cui il dato normativo in questione imponeva procedersi in forma telematica, e che solo per problemi tecnici del sito internet della resistente Autorità tali tentativi non avevano esito positivo in tempo utile. Tale circostanza, confermata dalle prove orali esperite, è di per sé sufficiente ad escludere la sussistenza della colpevolezza che l’art. 3 L. 689/1981 prevede ai fini dell’irrogazione di sanzione amministrativa; principio di colpevolezza che costituisce un cardine del nostro ordinamento giuridico, costituendo il comune fondamento delle forme di responsabilità previste (civile, sia contrattuale sia aquiliana; penale; amministrativa) l’esigibilità della condotta prescritta e l’antigiuridicità della sua omissione.
5. Attesa l’obiettiva complessità della vicenda, nonché del quadro normativo e l’assenza di precedenti giurisprudenziali in materia (non se ne sono rinvenuti), si ravvisano giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciandosi, ogni contraria istanza, difesa ed eccezione assorbita o disattesa,
accoglie l’opposizione; per l’effetto
annulla l’ordinanza ingiunzione n. 44 del 14.09.2006, notificata in data 5.11.2007, con cui è stata comminata all’opponente la sanzione di Euro 10.000,00;
condanna parte opposta a rifondere all’opponente le somme pagate in ottemperanza all’ordinanza annullata, in quanto non dovute;
Spese compensate.
Così deciso in Piacenza, nella camera di consiglio del 12.02.2013
Il Giudice
(dott. Antonino Fazio)
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Autore, Titolo, in Ex Parte Creditoris - www.expartecreditoris.it - ISSN: 2385-1376, anno
Numero Protocolo Interno : 567/2013