ISSN 2385-1376
Testo massima
Il rispetto del termine perentorio previsto dal Codice ai fini della tempestiva riassunzione deve essere stimato con esclusivo riferimento al momento della rinnovata edictio actionis, e quindi al momento del deposito del ricorso in cancelleria.
E pertanto, “Verificatasi una causa d’interruzione del processo, in presenza di un meccanismo di riattivazione del processo interrotto il termine perentorio di sei mesi, previsto dall’art. 305 cod. proc. civ. (ridotto a 3 mesi con l’entrata in vigore della Legge 69/2008), è riferibile solo al deposito del ricorso nella cancelleria del giudice: pertanto, una volta eseguito tempestivamente tale adempimento, quel termine non gioca più alcun ruolo“.
Così si è pronunciata, la Corte di Cassazione con sentenza n, 19514 del 19/08/2013, rigettando l’impugnazione svolta dalla parte ricorrente per asserita violazione del disposto di cui agli artt. 303 e 305 C.p.c. e violazione del generale principio del contraddittorio.
Si sosteneva, nel ricorso, la tardività della riassunzione del giudizio interrotto, non avendo provveduto, la parte interessata, alla notifica degli atti entro il termine di sei mesi dal verificarsi dell’evento interruttivo.
Il pronunciamento della Terza Sezione della Suprema Corte si situa nel solco giurisprudenziale già tracciato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 14854 del 28.06.2006, e poi consolidato con le ulteriori pronunce del 2007, 2010 e 2011 citate nella sentenza in commento.
Secondo i Giudici di legittimità, il rispetto del termine perentorio previsto dal Codice ai fini della tempestiva riassunzione, deve essere stimato con esclusivo riferimento al “momento della rinnovata edictio actionis“, e quindi al momento del deposito del ricorso in cancelleria, ai sensi dell’art. 303 c.p.c., rappresentando il secondo termine eventualmente concesso dal Giudice ai fini della notifica del ricorso decreto, soltanto un adempimento volto ad “assicurare il rispetto delle regole proprie della vocatio in ius“.
Nella ricostruzione del disposto di legge, viene quindi posto l’accento, in modo condivisibile, sulla tradizionale distinzione tra edictio e vocatio di cui all’art. 163 c.p.c.: solo la manifestazione di volontà riferita alla prima assumerà rilievo nella valutazione del rispetto del termine, non l’adempimento della successiva notifica, diretta soltanto al ripristino dell’iniziale contraddittorio.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 1291-2008 proposto da:
U.G.
– ricorrente –
contro
D.N.L.
– controricorrente –
e contro
P.C., UR.CL., P.M., D. FINANZIARIA S.R.L.
– intimati –
avverso il provvedimento n. 352/2006 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO, depositata il 27/12/2006, R.G.N. 366/2002;
Svolgimento del processo
U.G. e Pa.Mi. hanno citato in giudizio davanti al Tribunale di Campobasso la D. Finanziaria e l’ing. d.N.L., per sentirli condannare al pagamento della somma di L. 1.929.503.177. Assumevano a fondamento della richiesta che – la società l. spa, di cui era legale rapp.nte U.G., e la società M., di cui era legale rapp.nte P. M. spa, avevano in corso di costruzione di un villaggio turistico in (OMISSIS);
– le predette società, nelle persone dei loro rappresentanti, sottoscrissero nel 1963 con l’ing. D.N. due distinti preliminari per la cessione di parte del villaggio in corso di costruzione;
– successivamente nel 1983, con apposite postille poste in calce ai preliminari, si convenne di cedere al della N. gli interi complessi immobiliari con modalità da definire e successivamente e il D.N. decise di acquisire le azioni delle due società.
A seguito di un complesso regolamento di dare ed avere fra le parti, fra debiti che gravavano sulle società cedute asseritamene accollati dal D.N., che garantiva l’intero debito di circa 18 miliardi, e pagamenti ricevuti dallo U. e dal D.N., gli attori asserivano di essere rimasti creditori della somma di L. 1.929.503.177 Si costituiva il D.N., che eccepiva che le cessione dei capitali erano avvenute, ma nessuna somma era dovuta a titolo di prezzo o di altro.
La D. finanziaria rimaneva contumace.
Il Tribunale di Campobasso ha accolto la domanda nei confronti del D.N., rigettandola nei confronti della D. Finanziaria La sentenza è stata appellata dal D.N..
Il giudizio è stato interrotto a seguito della Morte di Pa.
M. e riassunto nei confronti degli eredi.
Il decreto di fissazione dell’udienza per la prosecuzione del giudizio è stato notificato allo U. oltre il termine fissato dal giudice ed oltre l’udienza fissata per la prosecuzione.
Lo U. si è costituito eccependo l’estinzione del giudizio e l’infondatezza dell’appello.
La Corte di appello, dopo aver rigettato l’eccezione di estinzione, a modifica della decisione di primo grado, con sentenza del 27-12-2006 ha rigettato la domanda.
Propone ricorso U.G. con due motivi.
Resiste d.N.L. e presenta memoria.
Gli altri intimati non presentano difese.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo si denunzia violazione degli artt.303 e 305 c.p.c. e violazione del principio del contraddittorio.
Sostiene il ricorrente che la riassunzione del giudizio è avvenuta tardivamente i quanto “la parte che ha riassunto il giudizio non ha provveduto alla notifica del ricorso – decreto entro il termine di sei mesi dal verificarsi dell’evento interruttivo“.
2. Il motivo è infondato.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che verificatasi una causa d’interruzione del processo, in presenza di un meccanismo di riattivazione del processo interrotto, destinato a realizzarsi distinguendo il momento della rinnovata edictio actionis da quello della vocatio in ius, il termine perentorio di sei mesi, previsto dall’art. 305 cod. proc. civ., è riferibile solo al deposito del ricorso nella cancelleria del giudice, sicchè, una volta eseguito tempestivamente tale adempimento, quel termine non gioca più alcun ruolo, atteso che la fissazione successiva, ad opera del medesimo giudice, di un ulteriore termine, destinato a garantire il corretto ripristino del contraddittorio interrotto nei confronti della controparte, pur presupponendo che il precedente termine sia stato rispettato, ormai ne prescinde, rispondendo unicamente alla necessità di assicurare il rispetto delle regole proprie della vocatio in ius. (in termini, Cass., sez. un., 28 giugno 2006, n. 14854).
3. Quanto precede è stato ribadito anche dalla giurisprudenza successiva di questa Corte che – pertanto – al momento può dirsi assolutamente consolidata nell’affermare che una volta eseguito tempestivamente il deposito del ricorso in cancelleria, il termine di sei mesi di cui all’art. 305 cod. proc. civ. non ha alcun ruolo nella successiva notifica dell’atto volta a garantire il corretto ripristino del contraddittorio (Cass. 8 marzo 2007, n. 5348; Cass. 15 marzo 2007, n. 6023; Cass. 16 marzo 2010, n. 6325; Cass. 7 luglio 2010, n. 16016; Cass. 27 gennaio 2011, n. 1900; Cass. 6 maggio 2011, n. 10016).
4. La pronunzia del giudice del merito è conforme a tale indirizzo interpretativo in quanto il ricorso in riassunzione è stato depositato entro il termine semestrale di legge e nel termine inizialmente assegnato dal giudice il ricorso decreto è stato notificato almeno a una delle controparti e successivamente il giudice ha preso atto che lo I. si è costituito difendendosi anche nel merito.
5. Con il secondo motivo si denunzia violazione dell’art. 345 cpc in quanto solo nell’atto di appello, per la prima volta, era stata contestata la legittimazione attiva dello U. e del P., eccezione poi accolta dalla Corte di appello.
6. Il motivo è inammissibile in quanto il ricorrente non solo non prova, ma neanche deduce di aver eccepito tempestivamente la novità della censura nel giudizio di appello,ponendo la questione per la prima volta nel presente giudizio di legittimità.
La difesa dello I. nel corso del giudizio di appello argomenta al fine di contrastare tale deduzione difensiva, senza mai eccepirne la novità. Le spese del giudizio seguono la soccombenza nei confronti del resistente.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore di D.N.L. liquidate in Euro 20.200,00 di cui Euro 200,00 per spese, oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 23 maggio 2013.
Depositato in Cancelleria il 19 agosto 2013
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Numero Protocolo Interno : 562/2013