ISSN 2385-1376
Testo massima
In sede di legittimità, il ricorrente che denunci il difetto di motivazione sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito, indicandone inoltre, quanto meno, la sua esatta ubicazione all’interno dei fascicoli di causa, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, la S.C. deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto.
Testo del provvedimento
Svolgimento del processo
Con ricorso al Tribunale de L’Aquila, A. M. La S. conveniva in giudizio la s.r.l. P., titolare di un panificio, con cui aveva stipulato, in data 26 novembre 2004, un contratto di associazione in partecipazione avente ad oggetto la collaborazione autonoma nella gestione di un punto vendita della società dietro pagamento di un compenso commisurato al 3% dei ricavi. Lamentava che tale contratto dissimulava un rapporto di lavoro subordinato, avendo la ricorrente svolto le sue mansioni sotto le direttive della datrice di lavoro e senza margini di autonomia, osservando un orario di lavoro fisso e percependo mensilmente una retribuzione fissa. Aggiungeva che nel giugno 2006 fu costretta a firmare una quietanza per la somma di .1.407,00, in realtà mai ricevuta, e che nel luglio 2006 venne licenziata oralmente, peraltro per la dedotta chiusura del punto vendita, circostanza in realtà mai intervenuta. Chiedeva pertanto la declaratoria di inefficacia del contratto simulato e l’efficacia del contratto dissimulato di rapporto di lavoro subordinato, con inquadramento nel IV livello di cui al c.c.n.l. per gli addetti al settore commercio, con condanna della convenuta al pagamento della complessiva somma di .18.629,70. Chiedeva inoltre la declaratoria di nullità del licenziamento e la sua reintegra nel posto di lavoro, con il risarcimento del danno ex art. 18 L. n. 300/70.
Si costituiva la società P. deducendo che la circostanza che la La S. dovesse osservare un orario di lavoro, anche in base ai regolamenti comunali, e l’assenza di poteri decisori in ordine alla quantità, al tipo ed al prezzo dei prodotti venduti, così come il percepimento di una retribuzione fissa, non costituivano elementi sufficienti per poter ritenere esistente un rapporto di lavoro subordinato.
Il Tribunale, ritenuta provata la simulazione del contratto di associazione in partecipazione, accoglieva la domanda attorea.
Veniva proposto appello dalla società, cui resisteva la La S..
Con sentenza depositata il 28 maggio 2010, la Corte d’appello de L’Aquila respingeva il gravame e condanna va l’appellante al pagamento delle spese.
Riteneva la Corte infondata la reiterata eccezione di nullità del ricorso introduttivo della lite; nel merito confermava la simulazione del contratto associativo in questione, e l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, la cui cessazione accertò essere stata determinata dalla datrice di lavoro, sia pure oralmente.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la società P., affidato a quattro motivi.
Resiste la La S. con controricorso.
Motivi della decisione
1. Con il PRIMO MOTIVO la ricorrente denuncia (ex art.360, comma 1, n. 3 cpc) violazione e falsa applicazione del c.c.n.l. per gli addetti al settore commercio, oltre ad insufficiente e contraddittoria motivazione (ex art.360, comma 1, n. 5 cpc) sul punto. Lamenta che la lavoratrice non aveva allegato al ricorso introduttivo il c.c.n.l., che in realtà non aveva neppure indicato, e che di esso comunque non era precisato il settore merceologico di competenza, né il connesso livello contrattuale di inquadramento, derivandone cosi il rigetto della domanda.
Il motivo è inammissibile per difetto di specificità ed autosufficienza; ed invero il c.c.n.l. risulta indicato in quanto oggetto di esame da parte del c.t.u. nominato in primo grado, circostanza su cui difetta una specifica censura; la società stessa, inoltre, denuncia una violazione del medesimo c.c.n.l., che tuttavia non deposita e di cui contesta solo genericamente la violazione, sicché deve rimarcarsi che il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci il difetto di motivazione sulla valutazione di un documento o dì risultanze probatorie o processuali, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito, indicandone inoltre, quanto meno, la sua esatta ubicazione all’interno dei fascicoli di causa (Cass. sez. un. 3 novembre 2011 n. 22726), al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, la S.C. deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto (Cass. ord. 30 luglio 2010 n. 17915).
2. Con il SECONDO MOTIVO la società denuncia (ex art.360, comma 1, n. 3 cpc) la violazione degli artt. 2552 e 2553 cc, oltre ad insufficiente e contraddittoria motivazione (ex art.360, comma 1, n. 5 cpc) circa la presunta omessa partecipazione agli utili ed alle perdite dell’impresa, e “la configurabilità dell’associazione in partecipazione in caso di partecipazione ai ricavi“. Lamenta che tale tipo di contratto ben era ravvisabile anche in ipotesi di sola partecipazione ai ricavi, che non richiedeva rendiconti essendo direttamente percepibili dall’associato, né era esclusa dalla mancata previsione della partecipazione del lavoratore alle perdite (Cass. n. 9264/07, n.24871/08, n. 3894/09; n. 1954/11), a tal scopo, peraltro, invoca una diversa ricostruzione dei fatti e delle emergenze istruttorie.
Il motivo risulta in parte inammissibile e per il resto infondato. Inammissibile per sottoporre a questa S.C. censure in fatto, ed un diverso apprezzamento dello stesso e delle emergenze istruttorie nel giudizio di legittimità (Cass. 6 marzo 2006 n. 4766; Cass. 25 maggio 2006 n. 12445; Cass. 8 settembre 2006 n. 19274; Cass. 19 dicembre 2006 n. 27168; Cass. 27 febbraio 2007 n. 4500; Cass. 26 marzo 2010 n. 7394).
Occorre al riguardo evidenziare che non risulta adeguatamente contestato l’accertamento della Corte territoriale circa la natura dell’apporto della La S., consistito nel mero espletamento di una prestazione lavorativa (su cui deve rinviarsi all’esame della terza censura).
Se è poi vero che la questione della partecipazione agli utili è stata ritenuta necessaria ai fini della partecipazione dell’associato da un orientamento di questa S.C. (Cass. n. 19475/03; Cass. n. 24781/06) ed esclusa dal altro (Cass. n. 9264/07; n. 24871/08; n. 3894/09), rileva il Collegio che in ogni caso la caratteristica dell’associazione in partecipazione è la ricaduta o meno dell’alea imprenditoriale in capo all’associato, ciò che nella specie non risulta affatto emersa.
3. Con il TERZO MOTIVO la società denuncia (ex art.360, comma 1, n. 3 cpc) la violazione degli artt.2549, 2552 e 2553 cc, oltre ad insufficiente e contraddittoria motivazione (ex art.360, comma 1, n. 5 cpc) in relazione alle medesime norme ed all’art.2697 cc, circa la prova degli elementi costitutivi della subordinazione e le caratteristiche dell’associazione in partecipazione.
Lamenta che la Corte di merito non considerò adeguatamente che spettava comunque alla La S. la prova della subordinazione, prova che non risultava adegautamente offerta, al di là della validità (o meno) del contratto associativo.
Anche tale motivo è inammissibile per contenere essenzialmente censure in fatto, e cioè inerenti l’accertamento dei fatti compiuti dalla Corte di merito.
Quest’ultima ha invero congruamente accertato che la La S. svolgeva le attività tipiche dell’addetto alla vendita del pane, sotto le direttive del datore di lavoro; aveva un orario fisso di lavoro, mentre è pacifico che ricevesse, al contempo, una retribuzione fissa; che non aveva alcun potere decisionale (pag. 3 sentenza impugnata). Accertamenti, questi, non specificatamente censurati.
4. Con il QUARTO MOTIVOla società denuncia (ex art.360, comma 1, n. 3 cpc) la violazione degli artt.2549, 2552 e 2553 cc, oltre ad insufficiente e contraddittoria motivazione (ex art.360, comma 1, n. 5 cpc) in relazione alle medesime norme ed all’art.2697 cc, circa il controllo dell’associato ed il valore della quietanza di pagamento.
Lamenta che la Corte di merito non attribuì alcun valore a tale documento, ritenendolo pretestuoso senza sufficienti argomentazioni. Deduce al riguardo che essendo il rapporto con la La S. durato dal novembre 2004 al luglio 2006, ella partecipò solo alla partecipazione dei ricavi per l’anno 2005 (essendo il rendiconto effettuato per l’anno precedente), sicché assumeva valore confessorio la quietanza 2006, in atti, per l’anno 2005 (.1400), che peraltro rappresentava il residuo del dovuto per l’anno di riferimento, come risultava dalle testimonianze escusse. La circostanza risulta in contrasto con quanto esposto nel secondo motivo di ricorso, e risulta pertanto inammissibile e per il resto infondato.
Inammissibile per sottoporre a questa S.C. un riesame ed una diversa valutazione delle circostanze di fatto e delle risultanze istruttorie, senza alcuna effettiva indicazione idonea ad inficiarne l’esito.
La Corte distrettuale ha al riguardo adeguatamente accertato il carattere fittizio del documento di rendicontazione in questione (peraltro dedotto dalla ricorrente in contrasto con le affermazioni di cui al secondo motivo).
5. Solo alla fine del ricorso, senza articolazione in autonoma censura, la società ricorrente accenna che, trattandosi di associazione in partecipazione, non poteva esservi alcun licenziamento, essendo peraltro la cessazione del rapporto derivata dall’abbandono del posto dì lavoro da parte della La S.. Pur volendo prescindere dall’assenza di specifica formale censura sul punto, essa è comunque inammissibile, limitandosi a contestare accertamenti di fatto, cui si limita a contrapporre una propria e diversa lettura, in contrasto con l’accertata (e non adeguatamente censurata) natura subordinata del rapporto.
5. Il ricorso deve pertanto rigettarsi.
Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, pari ad .50,00 per esborsi ed . 3.500,00 per compensi, oltre accessori di legge.
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Numero Protocolo Interno : 521/2013