ISSN 2385-1376
Testo massima
L’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche “per relationem”, ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione che questi ultimi siano allegati all’atto notificato ovvero che lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, per tale dovendosi intendere l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento che risultino necessarie e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, e la cui indicazione consente al contribuente – ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale – di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono quelle parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
ALFA srl,
– ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 135/26/2006 della Commissione Tributaria regionale del Lazio, depositata il 26/09/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dell’8/05/2013 ;
udito l’Avvocato dello Stato,;
udito il P.M. che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
Con sentenza n. 135/26/2006 del 29/05/2006, depositata in data 26/09/2006, la Commissione Tributaria Regionale del Lazio, Sez. 26, accoglieva, con compensazione delle spese di lite, l’appello proposto, in data 12/08/2005, dall’Agenzia delle Entrate, avverso la decisione n. 96/48/2004 della Commissione Tributaria Provinciale di Roma, che aveva accolto il ricorsi della ALFA srl contro un avviso di accertamento inerente la rettifica della dichiarazione dei redditi, IRPEG ed ILOR, presentata per l’anno 1996, all’esito di una verifica fiscale effettuata nei confronti di altra società, la BETA snc, dalla quale era emerso, attraverso l’esame di contabilità occulta reperita, l’acquisto, da parte di quest’ultima presso la ALFA srl, di prodotti ittici, pari ad un imponibile di L. 101.122.000, a fronte di regolare fattura per sole L. 57.199.000, con conseguente contestazione alla contribuente di ricavi non contabilizzati relativi alla cessione di prodotti ittici non fatturati.
La Commissione Tributaria Regionale accoglieva il gravame dell’Agenzia delle Entrate, in quanto rilevava che l’Ufficio aveva dimostrato “per tabulas che, unitamente all’avviso di accertamento, era stato notificato alla Nord Pesca copia del verbale redatto dalla Guardia di Finanza di Bari in data 3/09/1997, nei confronti della Risola Prodotti Ittici, motivando così per relationem l’avviso nel rispetto del D.P.R. n. 600 del 1973, art.42”; inoltre, secondo i giudici tributari, l’appellante non aveva provveduto “all’allegazione di fatti o atti impeditivi o estintivi della pretesa”.
Avverso tale sentenza ha promosso ricorso per cassazione la società contribuente, deducendo tre motivi, per violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art.360 cpc, n. 3, (PRIMO MOTIVO, in relazione al D.P.R. n. 600 del 1973, artt.4 e 42, L. n. 241 del 1990, art.3, L. n. 212 del 2000, art.7, D.Lgs. n. 32 del 2001, art.1, non avendo i giudici tributari considerato che, come già rilevato dalla C.T.P., il Processo Verbale di Constatazione non era stato integralmente notificato, difettando di un elenco allegato relativo alla documentazione extracontabile contestata alla società Risola; SECONDO MOTIVO, in relazione agli artt.2697 e 2709 cc, artt.115 e 116 cpc, D.P.R. n. 600 del 1973, artt.39 e 40, dovendo ritenersi che, in ipotesi di accertamento analitico e non induttivo, l’onere della prova della omessa fatturazione di una limitata parte di beni ceduti spettasse all’Ufficio e che non potesse costituire prova documentale in danno della Nord Pesca la documentazione extracontabile rinvenuta presso terzi), nonchè per insufficiente motivazione, ai sensi dell’art.360 cpc, n. 5, (TERZO MOTIVO, avendo i giudici tributari immotivatamente ritenuto legittimo un atto impositivo privo di qualsiasi elemento di prova in ordine alla pretesa omessa fatturazione).
La ricorrente ha sollevato altresì eccezione di incostituzionalità del D.Lgs. n. 32 del 2001, art.1, p.1, lett. c), di modifica del D.P.R. n. 600 del 1973, art.42, per eccesso di delega, oltre che per contrasto con gli artt.3, 23, 24, 53, 97 e 111 Cost..
Ha resistito l’Agenzia delle Entrate con controricorso.
Parte ricorrente ALFA ha depositato memoria, ai sensi dell’art.378 cpc, nel termine di legge prima dell’udienza fissata per la discussione.
Motivi della decisione
Il ricorso è inammissibile, in quanto non viene censurata l’autonoma (rispetto a quella relativa alla sufficiente motivazione per relationem dell’atto impositivo) statuizione della sentenza impugnata, inerente la mancata “allegazione di fatti o atti impeditivi o estintivi della pretesa”, da parte della contribuente.
In ogni caso, il primo motivo è infondato.
Trattasi di avviso di accertamento notificato nel 2001, successivamente dunque alle modifiche normative introdotte prima dalla L. n. 212 del 2000, art.7, e poi, per le imposte sui redditi, dal D.Lgs. n. 32 del 2001, art.1 (i quali hanno introdotto l’obbligo di allegazione dell’atto richiamato, o, comunque, di riproduzione del suo contenuto nell’atto notificato).
Come chiarito da questa Corte (Cass. 1906/2008, Cass. 13110/2012), “Nel regime introdotto dalla L. 21 luglio 2000, n. 212, art.7, l’obbligo di motivazione degli atti tributar può essere adempiuto anche “per relationem”, ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione che questi ultimi siano allegati all’atto notificato ovvero che lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, per tale dovendosi intendere l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento che risultino necessarie e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, e la cui indicazione consente al contribuente – ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale – di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono quelle parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento”.
Il D.Lgs. 26 gennaio 2001, n. 32, nel modificare il testo del D.P.R. n. 600 del 1973, art.42, pur confermando, in via generale, l’obbligo di allegazione dell’atto presupposto sconosciuto, ha ritenuto, però, di dover escludere tale obbligo, quando l’atto impositivo riproduca il contenuto essenziale dell’atto richiamato. Detta disposizione, pur ponendosi in continuità logico-sistematica con i principi di chiarezza e motivazione degli atti dell’Amministrazione finanziaria, ne attenua il rigore, esonerando dall’obbligo dell’allegazione in tutti i casi in cui venga riprodotto in motivazione il contenuto essenziale dell’atto richiamato, per tale intendendosi l’indicazione degli elementi da cui trae le mosse la pretesa impositiva.
Nella sentenza si afferma che non sussiste il difetto di motivazione dell’atto impositivo, in quanto la ALFA, attraverso la “notifica del P.V.C., redatto dalla Guardia di Finanza di Bari in data 3/09/1997 nei confronti della BETA” è stata “posta nella condizione di conoscere la pretesa tributaria e quindi poterne contestare l’an ed il quantum”.
Il secondo motivo è, del pari, infondato.
In generale, a fronte della dichiarazione del contribuente, l’Ufficio può rettificare in aumento l’imponibile esposto nella dichiarazione con tre metodi, quello analitico-contabile, quello extracontabile o induttivo e quello, che qui interessa, misto, analitico – induttivo.
Con tale metodologia, la determinazione (o meglio, la rettifica) del reddito viene effettuata sempre nell’ambito delle risultanze della contabilità, ma con una ricostruzione induttiva di singoli elementi, attivi o passivi, di cui risulti provata aliunde l’inesattezza o la mancanza.
Nell’ipotesi prevista dal D.P.R. n. 600 del 1973, art.39, comma 1, lett. d), in tema di imposte reddituali, la rettifica in aumento dell’imponibile esposto in dichiarazione è possibile se l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati risulta dall’ispezione delle scritture contabili e dalle altre verifiche ovvero dal controllo della completezza, esattezza e veridicità delle registrazioni contabili sulla scorta delle fatture e degli altri atti e documenti relativi all’impresa nonchè dei dati e delle notizie raccolte dall’Ufficio, anche sulla base di presunzioni semplici, purchè queste siano gravi, precise e concordanti.
Il metodo misto trova applicazione analoga anche ai fini IVA ed è disciplinato dal D.P.R. n. 633 del 1972, art.54, commi 2 e 3; la determinazione dell’imponibile è ancorata alle risultanze delle registrazioni contabili e la rettifica concerne singoli corrispettivi relativi ad operazioni imponibili non dichiarati o non risultanti dalla contabilità.
Nella specie, la modalità di accertamento adottata dall’Ufficio nell’atto impositivo impugnato risulta fondata su dati desunti proprio dalle scritture aziendali, in rapporto alla documentazione contabile ed extracontabile reperita presso una terza società che aveva avuto rapporti commerciali con la ALFA, e quindi non soggiace alla disciplina del D.P.R. n. 600 del 1973, art.39, comma 2, e D.P.R. n. 633 del 1973, art.55, bensì a quella del D.P.R. n. 600 del 1973, art.39, comma 1, e D.P.R. n. 633 del 1973, art.54;
sì tratta, cioè, di accertamento analitico – induttivo e non di accertamento induttivo extracontabile e, pertanto, andava giudicato legittimo anche in presenza di contabilità formalmente regolare (Cass. 1647-17408 e 21697/2010; Cass. 7184/2009; Cass. 5977/2007).
In tema di determinazione del reddito d’impresa, mentre all’accertamento con metodo induttivo (extracontabile) D.P.R. 20 settembre 1973, n. 600, ex art.39, comma 2, lett. d, si ricorre in presenza di contabilità complessivamente inattendibile, in quanto tale rivelata dalle circostanze indicate nella norma, e con riferimento al reddito complessivamente considerato, l’accertamento con metodo analitico – induttivo D.P.R. 20 settembre 1973, n. 600, ex art.39, comma 1, lett. d, si risolve nella rettifica di singole componenti reddituali e presuppone elementi presuntivi semplici, purchè gravi, precisi e concordanti, che prospettino l’esistenza di attività non dichiarate o l’inesistenza di passività dichiarate, secondo canoni di ragionevole probabilità (cfr. Cass. 26919/06, 9884/02 63377/02). Si è altresì ribadito che “l’accertamento in rettifica è consentito, ai sensi del D.P.R. 20 settembre 1973, n. 600, art.39, comma 1, lett. d, pure in presenza di contabilità formalmente regolare, giacchè la disposizione presuppone, appunto, scritture regolarmente tenute e, tuttavia, contestabili in forza di valutazioni condotte sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che facciano seriamente dubitare della completezza e fedeltà della contabilità esaminata” (cfr. la giurisprudenza richiamata in precedenza).
Il motivo implicante vizio motivazionale, riportato nell’ambito del secondo motivo, difetta di specificità, non essendo individuate le parti della motivazione non sufficientemente motivate, ed è quindi inammissibile.
La Corte rigetta il ricorso.
Le spese processuali, liquidate come in dispositivo, in conformità del D.M. n. 140 del 2012, attuativo della prescrizione contenuta nel D.L. n. 1 del 2012, art.9, comma 2, convertito dalla L. n. 271 del 2012 (Cass. S.U. 17405/2012), seguono la soccombenza.
PQM
La Corte rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al rimborso delle spese processuali, liquidate in complessivi Euro 2.500,00, a titolo di compensi, oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Quinta Civile, il 8 maggio 2013.
Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2013
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Numero Protocolo Interno : 505/2013