ISSN 2385-1376
Testo massima
In tema di conto corrente bancario, ai sensi degli artt.1832 e 1857 cc, la mancata contestazione dell’estratto conto da parte del correntista nel termine pattuito ne comporta approvazione. Tale approvazione produce effetti anche nei confronti del fideiussore.
Ove infatti il debitore principale sia decaduto, a norma dell’art.1832 cc, dal diritto di impugnare gli estratti di saldo conto, il fideiussore chiamato in giudizio dalla banca medesima per il pagamento della somma dovuta non può sollevare contestazioni in ordine alla definitività di quegli estratti.
La contestazione degli estratti conto deve essere specifica, non potendo riferirsi genericamente all’insieme della movimentazione del conto corrente, ancorchè la mancata tempestiva contestazione dell’estratto conto da parte del correntista nel termine previsto dall’art.1832 cc, renda inoppugnabili gli accrediti e gli addebiti solo sotto il profilo meramente contabile, e non precluda pertanto la contestazione della validità e dell’efficacia dei rapporti obbligatori da cui essi derivino.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
C.C. e O.L.
– ricorrenti –
contro
BANCA società incorporante per fusione la Banca1, in persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione avv. M.D.,
– controricorrente –
FALLIMENTO alfa S.R.L., in persona del curatore Dott. Co.Pi.Lu.;
– intimato –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Ancona n. 841/03 del 27.12.2003;
Svolgimento del processo
La s.r.l. alfa nonchè C.C. ed O.L. proponevano opposizione avverso il decreto ingiuntivo del Presidente del Tribunale di Ascoli Piceno che intimava loro il pagamento della somma di L. 76.122.534 oltre interessi e spese in favore della Banca 2, nella qualità rispettivamente, di debitore principale, la società, e di fideiussori il C. e la O.. Premesso che la s.n.c. alfa aveva intrattenuto contratto di conto corrente con la Banca 2 sin dal 1987 e che il C. e la O. avevano prestato fideiussione, mentre il solo C. aveva la firma per le operazioni con la banca; che il 30.11.1993 la società si era trasformata in s.r.l. con amministratore unico il solo C. e che le fideiussioni personali erano state trasferite in favore della società con la nuova denominazione e veste giuridica, gli opponenti esponevano che il recesso della banca dal rapporto di conto corrente intrattenuto dalla società e dagli affidamenti concessi, intervenuto il 6.4.1995, era giunto improvviso, immotivato ed inaspettato, con preavviso di un solo giorno per pagare il debito; che la pretesa creditoria era insussistente in ragione dell’indebita negoziazione da parte della banca di titoli illegittimi, con conseguente inefficacia e nullità delle relative operazioni bancarie, che erano state poste in essere da tale D.C.P., figlio del socio della s.r.l. alfa, D.C.L.; che la società si era avvalsa del D.C.P. dal 1993 sino al marzo 1995 quale fiduciario per le operazioni amministrative ed in particolare per i versamenti presso gli istituti bancari ed il pagamento delle tasse ed attività varie, ivi compresi gli incassi presso clienti; che il D.C.P. si era appropriato indebitamente di somme consegnategli senza effettuare parte dei versamenti dovuti, alterando i documenti e falsificando la firma dell’amministratore per emettere titoli e per compiere operazioni bancarie e di sconto. Dichiarava il C. di disconoscere le sottoscrizioni apposte sui titoli. Concludevano gli opponenti perchè, accertata la falsità delle firme e l’illegittimità delle operazioni bancarie eseguite, le stesse venissero dichiarate inefficaci; venisse dichiarata l’inammissibilità della risoluzione del rapporto di conto corrente con conseguente illegittimità del decreto ingiuntivo opposto. Proponevano inoltre domanda riconvenzionale di risarcimento dei danni che erano loro derivati, che quantificavano in L. 500 milioni per ciascuno degli opponenti.
Si costituiva la Banca 2 contestando la narrativa attorea e concludendo per il rigetto delle riconvenzionali e la conferma del decreto opposto.
Dichiarato il fallimento della debitrice principale, il giudizio interrotto veniva riassunto dal C. e dalla O., che articolavano prova per testi e richiedevano l’ammissione di consulenza tecnica d’ufficio “ai fini della ricostruzione contabile del rapporto e della determinazione giudiziale delle effettive partite di dare ed avere”; chiedevano l’esibizione di “copia dei titoli”, relative distinte di versamento, specimen della firma del C.C. e comunque tutti i documenti relativi alle operazioni bancarie su cui era fondato il credito preteso dalla banca convenuta.
Il Tribunale di Ascoli Piceno respingeva le istanze istruttorie, dichiarava improcedibile l’opposizione proposta dalla s.r.l. alfa in ragione dell’intervenuto fallimento; rigettava l’opposizione proposta dal C. e dalla O. e le domande riconvenzionali da essi proposte, condannando gli opponenti, in solido, al pagamento delle spese processuali.
Osservava il Tribunale che la contestazione di tutte le operazioni negoziate in conto corrente relativa al periodo dal maggio 1987 al 1995 era generica e sostanzialmente indeterminata, mentre la pretesa vantata dalla banca si fondava su idonea documentazione che attestava il saldo negativo del conto corrente e le fideiussioni prestate dal C. e dalla O.. L’approvazione dell’estratto conto precludeva ogni questione in ordine all’esistenza dei crediti e degli addebiti, anche in ragione della mancata specificazione dei rapporti privi di causa che sarebbero stati posti in essere dal D.C.P..
Aggiungeva che non poteva ritenersi sussistente danno patrimoniale in relazione alle operazioni di sconto di titoli recanti la firma apparente di girata e di traenza del C.. La prova per testi verteva su fatti ininfluenti o non pertinenti, il recesso della banca dal rapporto in essere era giustificato ai sensi dell’art. 6 delle norme convenzionali regolanti il rapporto di conto corrente, che prevedeva il preavviso di un giorno. Proponevano appello il C. e la O., dolendosi del mancato accoglimento dell’opposizione e del rigetto delle domande riconvenzionali, oltre che dell’erronea determinazione delle spese di lite, liquidate sul valore di L. un miliardo della causa, calcolato con riferimento alle riconvenzionali proposte, quando nei confronti di ciascuno degli appellanti si sarebbe dovuto tener conto del valore della singola riconvenzionale proposta, insistendo anche per la compensazione delle spese.
Si costituiva in giudizio la Banca che nelle more aveva incorporato la Banca 2.
La Corte di appello di Ancona con sentenza 27.12.2003 rigettava il gravame. Osservava che la società debitrice principale non aveva tempestivamente contestato gli estratti conto inviatile dalla banca, sì che essa era decaduta, ai sensi dell’art.1832 cc, dal diritto di impugnarne le risultanze relative, che erano vincolanti anche per il fideiussore, in difetto di specifica contestazione.
Nella specie era mancata una specifica indicazione delle poste oggetto di contestazione, riferendosi quest’ultima all’intero arco del rapporto di conto corrente, dal 1987 al 1995. Sarebbe stato onere degli appellanti indicare le poste che si riferivano ad operazioni fraudolentemente poste in essere dal fiduciario della società debitrice principale. L’onere della prova a carico della banca di provare il fondamento negoziale della propria pretesa, riassuntivamente esposta nella posta dell’estratto conto, sorgeva soltanto per effetto della specifica contestazione che nella specie era mancata. Ancora le scritturazioni risultanti dall’estratto conto erano di regola assistite da presunzione di veridicità, sì che soltanto la puntuale contestazione delle relative voci poteva consentire l’espletamento di consulenza tecnica.
Nè poteva parlarsi di responsabilità della banca per l’operato di chi gli stessi opponenti indicavano come fiduciario della società debitrice principale. La banca aveva adempiuto ai propri doveri di diligenza e buona fede attraverso la comunicazione degli estratti conto alla debitrice principale, non essendo tenuta a nessuna altra prestazione, dovendosi ritenere la violazione dei propri doveri da parte del fiduciario relativa al rapporto tra questi ed il fiduciante, cui la banca rimaneva estranea.
La Corte di appello condivideva la valutazione del primo giudice secondo la quale l’asserita presentazione allo sconto di titoli da parte del D.C.P. con la firma falsificata del C. non aveva recato altro pregiudizio alla società debitrice principale che il mancato pagamento dell’effetto scontato, non imputabile all’istituto di credito.
Ne derivava l’ininfluenza della prova testimoniale dedotta e l’inammissibilità della richiesta consulenza tecnica, in ragione del suo carattere palesemente esplorativo.
Dovevano essere conseguentemente respinte le domande riconvenzionali, mentre la decisione del Tribunale di condannare gli appellanti alle spese del giudizio di primo grado appariva corretta, dovendosi guardare alla domanda proposta e non avendo la liquidazione operata dal primo giudice superato i valori massimi della tariffa forense, avuto riguardo alle questioni trattate nella loro importanza e nel loro numero ed allo svolgimento delle singole prestazioni difensive. Avverso la sentenza ricorrono per cassazione il C. e la O., articolando cinque motivi. Resiste con controricorso la Banca. Il Fallimento della s.r.l. alfa non ha svolto attività difensiva.
Motivi della decisione
1. Con il PRIMO MOTIVO i ricorrenti deducono violazione dell’art.1832 cc, artt.112, 113, 115 cpc, nonchè difetto e contraddittorietà della motivazione e mancata ammissione di mezzi istruttori.
Rilevano che la Corte d’appello ha ritenuto infondata l’opposizione perchè gli estratti di conto corrente non erano stati contestati tempestivamente, ai sensi dell’art.1832 cc, dalla società debitrice principale sì che essi facevano piena prova anche nei confronti dei fideiussori. La Corte inoltre ha aggiunto che la contestazione delle poste del conto corrente da parte degli opponenti era generica, investendo l’intero rapporto nel suo svolgimento dal 1987 al 1995, senza indicare le poste che sarebbero state il risultato dei rapporti fraudolentemente creati dal D.C.P., figlio del socio della società debitrice principale D.C.L..
Obiettano i ricorrenti che l’approvazione tacita dell’estratto conto non comporta novazione del credito oggetto della singola operazione, con la conseguenza che le azioni ed eccezioni relative all’atto da cui il credito deriva possono essere fatte valere anche dopo che sia avvenuta l’approvazione del conto, oltre il termine previsto dall’art.1832 cc.
Aggiungono che il C.C., all’epoca dei fatti amministratore della società, oltre che fideiussore, aveva espressamente disconosciuto i titoli di credito asseritamente negoziati a suo nome, evidenziando la sua estraneità alle operazioni poste in essere dal D.C.P.. La banca non avrebbe ottemperato alla richiesta di esibire in giudizio i titoli negoziati (assegni, cambiali, tratte, quant’altro eventuale), le distinte di versamento, lo specimen della firma del C., e comunque tutti i documenti relativi alle operazioni contestate. Il Tribunale, come la Corte di appello, aveva disatteso l’istanza di esibizione di tali documenti avanzata dagli opponenti. Del pari non aveva ammesso le prove testimoniali dedotte. Di conseguenza gli appellanti fideiussori non erano stati posti in condizione di provare le loro affermazioni.
Il motivo non è fondato.
Va premesso che ai sensi dell’art.1832 cc, richiamato in tema di conto corrente bancario dall’art.1857 cc, la mancata contestazione dell’estratto conto da parte del correntista nel termine pattuito, ne comporta approvazione. Tale approvazione produce effetti anche nei confronti del fideiussore (Cass. 5.12.2003, n.18650). Ove infatti (il debitore principale sia decaduto a norma dell’art. 1832 c.c., dal diritto di impugnare gli estratti di saldo conto, il fideiussore chiamato in giudizio dalla banca medesima per il pagamento della somma dovuta non può sollevare contestazioni in ordine alla definitività di quegli estratti. Ancora la contestazione degli estratti conto deve essere specifica (cfr. da ultimo Cass. 28.7.2006, n. 17242), non potendo riferirsi genericamente all’insieme della movimentazione del conto corrente, ancorchè la mancata tempestiva contestazione dell’estratto conto da parte del correntista nel termine previsto dall’art. 1832 c.c., renda inoppugnabili gli accrediti e gli addebiti solo sotto il profilo meramente contabile, e non precluda pertanto la contestazione della validità e dell’efficacia dei rapporti obbligatori da cui essi derivino (Cass. 19.3.2007, n. 6514).
Nel caso in esame la Corte d’appello ha ritenuto con accertamento in fatto insindacabile in questa sede di legittimità che gli estratti conto non fossero stati contestati nei termini dalla società debitrice principale e che le contestazioni mosse dai ricorrenti in ordine all’effettiva sussistenza dei crediti cui si riferivano le poste risultanti dagli estratti conto fossero generiche, non riferendosi a specifiche operazioni poste in essere dal D.C.P. (che aveva operato come fiduciario della società debitrice dal 1993 al marzo 1995), ma a tutte le operazioni effettuate per l’intero arco di durata del rapporto, per ben otto anni, dal 1987 al 1995.
I ricorrenti non contestano quest’ultima circostanza, che anzi confermano quando ricordano che la banca non avrebbe ottemperato alla richiesta di produrre in giudizio i titoli negoziati (assegni, cambiali, tratte, quant’altro eventuale), le distinte di versamento, lo specimen della firma del C., e comunque tutti i documenti relativi alle operazioni contestate.
Ne deriva che correttamente la Corte di merito, a fronte della contestazione generica, riferita ad un arco di ben otto anni di svolgimento del rapporto, senza nessun tentativo di meglio approfondire i fatti, sia pur nei limiti ricavabili dall’andamento del rapporto nel corso del tempo, ha ritenuto la contestazione inidonea a superare la preclusione derivante dalla mancata tempestiva impugnazione degli estratti conto, vincolante, come si è detto, anche nei confronti dei fideiussori.
Va poi aggiunto che la censura (e qui si viene all’esame del secondo motivo) con cui i ricorrenti lamentano ulteriore violazione degli artt.112, 113, 115, 116 cpc, nonchè difetto e contraddittorietà di motivazione, perchè la Corte d’appello non avrebbe considerato che per talune delle poste vi sarebbero state tempestive e formali contestazioni e disconoscimenti, è del tutto generica e come tale inammissibile.
2. Con il TERZO MOTIVO i ricorrenti deducono violazione dell’art.2697 cc, artt.113, 115 e 116 c.p.c., difetto di prova della pretesa della banca controricorrente nonchè difetto e contraddittorietà della motivazione. Osservano che la banca non ha prodotto i titoli su cui si sarebbe fondata la prova della sua pretesa, ancorchè tutte le poste del conto corrente fossero state disconosciute, in particolare nelle firme di sottoscrizione. Era onere della banca provare il suo credito, mentre il saldaconto prodotto poteva costituire prova in sede monitoria, ma non nel giudizio di opposizione. La Corte di merito, nell’affermare che gli estratti conto costituivano prova sufficiente del credito, non avrebbe considerato che tali estratti conto non erano mai stati prodotti in giudizio nè era stata fornita la prova che essi fossero stati ritualmente trasmessi alla società titolare del rapporto di conto corrente. Aggiungono che i ricorrenti nell’atto di opposizione a decreto ingiuntivo avevano anche contestato che non era stato depositato il contratto di conto corrente, sì che non era stata fornita la prova dell’esistenza del rapporto contrattuale posto che la documentazione prodotta si riferiva alla s.n.c. alfa, per la quale i ricorrenti avevano prestato fideiussione, non già l’ingiunta alfa s.r.l..
Di questi rilievi la sentenza di appello non avrebbe fatto alcuna menzione.
Il motivo non è fondato.
La sentenza impugnata ha ritenuto infondate le doglianze dei ricorrenti osservando, come si è già rilevato, che non vi era stata tempestiva contestazione degli estratti conto e che la contestazione riferita ai rapporti negoziali sottostanti le singole operazioni, documentate dalle poste del conto corrente, era generica sì che non era idonea a vincere la prova del credito che discendeva dalla mancata contestazione degli estratti conto.
I ricorrenti osservano che gli estratti conto non erano stati prodotti in giudizio dalla banca, ma a ben vedere la Corte d’appello non ha argomentato dall’avvenuta produzione in giudizio di tali documenti, bensì dalla tardività e genericità della contestazione, sì che la doglianza non ha colto l’effettiva ratio decidendi della decisione impugnata ed è, come tale, inammissibile.
Nel rilevare poi che nell’atto di opposizione era stato osservato che non era stato prodotto in giudizio il contratto di conto corrente e che tale rapporto contrattuale, relativo alla s.r.l. risultante dalla trasformazione della originaria s.n.c. alfa, non avrebbe potuto creare vincoli nei confronti dei fideiussori perchè essi avevano prestato garanzia nei confronti della s.n.c. e non della s.r.l., circostanze sulle quali la Corte d’appello non avrebbe motivato, i ricorrenti trascurano che, come risulta dalle stesse premesse in fatto del ricorso introduttivo, è assolutamente pacifico che la s.r.l. non era altro che il risultato della trasformazione dell’originaria s.n.c alfa, trasformazione che non ha determinato alcuna novazione del rapporto tra la banca ed il debitore principale nè poteva essere idonea ad incidere sul vincolo derivante dalle fideiussioni.
Nè la Corte d’appello aveva onere di motivare in ordine all’esistenza del rapporto di conto corrente, risultando tale circostanza dedotta dagli stessi opponenti nell’atto introduttivo del giudizio, riportato nel suo integrale tenore nella parte espositiva del ricorso per cassazione, ed essendo dunque essa del tutto pacifica in causa.
3. Con il QUARTO MOTIVO i ricorrenti deducono violazione degli artt.112, 115, 116 cpc, nonchè difetto di motivazione.
Si dolgono che il rifiuto della Corte di merito di ammettere le prove testimoniali dedotte e di accogliere l’istanza di esibizione di documenti avrebbe impedito l’accoglimento della domanda riconvenzionale di risarcimento dei danni causati ai fideiussori, accertando che la banca era venuta meno alla sua obbligazione di non avallare atti, comportamenti illegittimi e falsificazioni evidenti, rilevabili con l’ordinaria diligenza. La banca avrebbe consentito operazioni inammissibili facendo lievitare il preteso debito.
Il motivo è assorbito, non potendosi configurare responsabilità della banca per le operazioni risultanti dagli estratti conto una volta accertato che il credito portato da tali documenti non era stato validamente contestato e che la relativa obbligazione di pagamento era opponibile ai fideiussori.
5. Con il QUINTO MOTIVO i ricorrenti si dolgono, infine, dell’asserito errore nella determinazione e nel carico delle spese, con violazione delle norme di cui al D.M. 5 ottobre 1994, n.585, ed insufficiente motivazione.
La Corte d’appello ha rigettato il motivo con cui gli appellanti ricorrenti si dolevano della liquidazione delle spese effettuata dal giudice di primo grado, che le aveva liquidate in L. 18.035.000, di cui L. 380.000 per esborsi, L. 4.045.000 per diritti e L. 12.000.000 per onorari, più L. 1.605.000 per spese generali, oltre IVA e CPA. Ha osservato la Corte che la liquidazione effettuata dal Tribunale non aveva superato i limiti massimi della tariffa avuto riguardo alla domanda proposta dagli opponenti, ed appariva congrua in considerazione dell’importanza delle questioni trattate, del numero di esse e del modo di svolgimento delle singole prestazioni difensive. Obiettano i ricorrenti che le spese dovevano essere liquidate sul valore della domanda riconvenzionale proposta da ciascuno di essi, ammontante a 500 milioni, senza che potesse farsi luogo alla sommatoria delle due distinte riconvenzionali proposte dal C. e dalla O., potendosi al massimo effettuare l’aumento del 20% sulla somma spettante calcolata sul valore della prima domanda. Sarebbe stata inoltre opportuna la compensazione delle spese.
Il motivo è inammissibile. Questa Corte ha affermato che la parte che intende impugnare per cassazione la sentenza di merito nella parte relativa alla liquidazione dei diritti di procuratore e degli onorari di avvocato ha l’onere dell’analitica specificazione delle voci della tariffa professionale che si assumono violate e degli importi considerati, al fine di consentirne il controllo in sede di legittimità, senza bisogno di svolgere ulteriori indagini in fatto e di procedere alla diretta consultazione degli atti, giacchè l’eventuale violazione della suddetta tariffa integra un’ipotesi di “error in iudicando” e non “in procedendo” (Cass. 16.2.2007, n. 3651). Nel caso in esame risulta esposto in ricorso solo il risultato finale della liquidazione delle spese, così rimanendo impedito di accertare la sussistenza o meno della denunciata violazione della legge relativa all’inderogabilità dei massimi previsti dalla tariffa professionale degli avvocati per onorari e diritti in vigore all’atto dell’esecuzione della prestazione professionale.
Al rigetto del ricorso segue la condanna dei ricorrenti, in solido, alle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 5.200,00, di cui Euro 5.000,00 per onorari.
PQM
La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti alle spese, che liquida in Euro 5.200,00, di cui Euro 5.000,00 per onorari, oltre spese generali ed accessorie come per legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 7 luglio 2008.
Depositato in Cancelleria il 18 settembre 2008
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Numero Protocolo Interno : 503/2008