ISSN 2385-1376
Testo massima
La remissione della querela da parte del cliente per appropriazione indebita del legale con conseguente assoluzione del professionista in sede penale non esclude la sussistenza della violazione dei principi e delle norme contenuti nel Codice Deontologico Forense, che regolamenta la correttezza nell’espletamento dell’attività professionale.
E’ quanto statuito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che di recente sono intervenute ad affrontare la questione relativa alla legittimità della adozione di un provvedimento disciplinare di sospensione dalla professione, che i vari Ordini forensi possono emanare come sanzione per la violazione di varie norme e principi del codice deontologico.
In particolare, con la sentenza n. 17652 del 19 luglio 2013 la Suprema Corte ha rigettato il ricorso di un legale che aveva subito la condanna alla sospensione dall’esercizio della professione per sei mesi da parte del consiglio dell’ordine degli avvocati di Lucca, sul presupposto di aver violato alcuni principi del codice deontologico, quali i doveri di probità, dignità e decoro, di lealtà e correttezza, fedeltà, diligenza, informazione, gestione del denaro altrui, di restituzione di documenti, di richiesta di pagamento, di patto di quota lite, di obbligo di corrispondenza con il collega.
Tali contestazioni erano scaturite dalla condotta tenuta dal legale incolpato, nell’ambito di una pratica di risarcimento danni, consistente nell’aver omesso di rispondere alle richieste di informativa avanzate dal legale di controparte e nell’aver omesso di comunicare al cliente di aver sottoscritto una quietanza per l’ammontare complessivo di euro 35.000 quale liquidazione del danno al cliente che aveva manifestato la propria accettazione per il minore importo di euro 25.000.
Si veniva in tal modo a configurare l’indebita appropriazione per il restante ammontare delle somme complessivamente erogate a titolo di liquidazione.
Con la sentenza in commento la Suprema Corte dichiara la infondatezza delle ragioni di ricorso addotte dal legale. Quest’ultimo lamentava la mancata presa in considerazione da parte del C.N.F., quale organismo giudicante di secondo grado, della documentazione dallo stesso allegata in sede di discussione. A ciò si sommava, a parere del ricorrente, il non aver dato conto, nella motivazione del provvedimento emanato, della presenza di una sentenza del Tribunale penale che per la stessa fattispecie l’aveva assolto dal reato di patrocinio infedele di cui all’art. 380 c.p. per insussistenza del fatto e aveva dichiarato la improcedibilità in ordine al reato di appropriazione indebita per remissione della querela.
All’esito di un’accurata argomentazione, la Cassazione giunge a confermare la condanna alla sospensione dell’avvocato per indebita sottrazione di somme spettanti al cliente. Le SS.UU. hanno fondato il ragionamento in primis sul fatto che il ricorrente non abbia specificato, in sede di ricorso, che portata e che valenza potesse avere la documentazione allegata ai fini della decisione in esame.
In secondo luogo si sottolinea in motivazione che la rilevanza di una sentenza penale di assoluzione per l’accusa di patrocinio infedele appare insussistente e irrilevante, in quanto il provvedimento disciplinare ha ad oggetto un’incriminazione differente.
In merito, invece, al secondo profilo di incolpazione per appropriazione indebita di somme, che è proprio l’addebito posto a fondamento della richiesta di sospensione, osserva la Cassazione che a nulla vale sollevare l’assoluzione avvenuta in sede penale per mancanza di una condizione di procedibilità, in quanto questa circostanza non può escludere la sussistenza della condotta lesiva e illecita posta in essere dall’avvocato, causa dell’addebito disciplinare.
Il principio di diritto che enuncia la Suprema Corte consiste pertanto nell’affermare la irrilevanza, sul piano disciplinare, di una pronuncia penale di assoluzione per mancanza di una condizione di procedibilità, nel caso de quo la remissione di querela, perché ciò non toglie rilievo giuridico ad un comportamento che ha configurato una lesione di principi e norme contenuti nel codice che regolamenta la correttezza nell’espletamento dell’attività professionale, ovvero il Codice Deontologico Forense.
Tale pronuncia conferma la validità di una condanna che non tocca la sfera penale bensì esclusivamente il profilo disciplinare della condotta del legale, che attiene ad un ambito di valutazione rimesso alla discrezionalità esclusiva di un organo, il CNF che resta autonomo e indipendente nella sua sfera decisionale.
Testo del provvedimento
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