Testo massima
Con una recentissima pronuncia, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 51, della Legge 13 dicembre 2010, n. 220 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato Legge di stabilità 2011) sia nel testo risultante a seguito delle modificazioni introdotte dall’art. 17, comma 4, lett. e), del Decreto legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito con modificazioni dalla Legge 15 luglio 2011, n. 111, sia nel testo attualmente vigente, risultante a seguito delle modifiche introdotte dall’art. 6 bis, comma 2, lett. a) e b) del Decreto legge 13 dicembre 2012, n. 158, convertito con modificazioni dalla Legge 8 novembre 2012, n. 189.
La questione è stata sollevata dal T.A.R. della Campania e dal Tribunale di Napoli sia dalla sede metropolitana sia da diverse sezioni distaccate, nel corso di giudizi aventi ad oggetto l’esecuzione di provvedimenti giurisdizionali divenuti definitivi in fase di svolgimento di fronte al giudice amministrativo nella forme del giudizio di ottemperanza e di fronte al giudice ordinario nelle forme del processo di esecuzione.
Nel testo attualmente in vigore scaturito a seguito delle modificazioni apportate dal legislatore, l’art. 1, comma 51, della Legge 13 dicembre 2010 n. 220 prevede l’impossibilità di intraprendere o proseguire azioni esecutive, anche nelle forme del giudizio di ottemperanza previsto dall’art. 112 del D.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (Codice del Processo Amministrativo), fino al 31 dicembre 2013 nei confronti delle aziende sanitarie locali e ospedaliere delle Regioni commissariate, in quanto sottoposte al piano di rientro dei disavanzi sanitari, così come sottoscritto ai sensi dell’art. 1, comma 180, della Legge 30 dicembre 2004, n. 311.
La norma prosegue sancendo altresì che i pignoramenti e le prenotazioni a debito sulle rimesse finanziarie trasferite dalle regioni commissariate alle aziende sanitarie locali e ospedaliere, ancorché effettuati prima della data di entrata in vigore del Decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, sono estinti di diritto a partire dalla data di entrata in vigore dell’art. 1 comma 51, della Legge 13 dicembre 2010, n. 220, così come modificato dall’art. 6-bis, comma 2, lett. a) e b), del Decreto Legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito con modificazioni dalla Legge 8 novembre 2012, n. 189.
L’entrata in vigore della disposizione determina inoltre cessazione dei doveri di custodia sulle somme, con obbligo per i tesorieri di renderle immediatamente disponibili, senza previa acquisizione di una pronuncia giurisdizionale.
Le autorità rimettenti hanno ritenuto opportuno sollevare la questione di illegittimità costituzionale della disposizione per contrarietà all’art. 3 Cost., art. 24 Cost., art. 41 Cost., art. 111 Cost., art. 2 Cost. e art. 117 Cost.
Le autorità rimettenti hanno infatti, a vario titolo, ritenuto che la norma possa, innanzitutto, contrastare con l’art. 3 Cost., in quanto la sua applicazione determinerebbe una disparità di trattamento ingiustificata tra soggetti che vantano diritti di credito nei confronti delle aziende sanitarie situate nelle Regioni soggette a commissariamento rispetto a quelle non commissariate. La disposizione finirebbe per determinare quindi un sacrificio irragionevole dell’interesse dei creditori a ricevere il pagamento del propri crediti rispetto all’interesse pubblico finalizzato a ristabilire l’ordine dei conti dell’azienda sanitaria.
La norma si porrebbe inoltre in contrasto con l’art. 24 Cost., in quanto non consentirebbe al creditore di poter avere concreta ed effettiva soddisfazione dei diritti di credito, giacché il legislatore ha previsto: a) la sanzione dell’inammissibilità o della improcedibilità delle procedure esecutive con chiusura del procedimento da assumersi con provvedimento definitivo, anziché la sospensione dei processi; b) l’inefficacia dei pignoramenti già oggetto di esecuzione (per fatti, attività e comportamenti non riconducibili al creditore).
Si assisterebbe quindi ad una repressione del diritto sostanziale del creditore al soddisfacimento della sua pretesa con conseguente compromissione della tutela giuridica assicurata dall’ordinamento, donde la contrarietà della disposizione anche ai principi sanciti dall’art. 2 Cost..
È stata inoltre contestata la contrarietà della norma rispetto all’art. 41 Cost., perché il blocco delle azioni esecutive non metterebbe i creditori dell’azienda sanitaria nella possibilità di poter programmare la propria attività, tenuto conto del fatto che i titolari di diritto di credito sono, nella maggioranza dei casi, delle imprese che vedrebbero non rispettate le scadenze dei pagamenti con conseguente necessità di ricorrere a onerosi prestiti e finanziamenti bancari.
La disposizione si porrebbe inoltre in contrasto con l’art. 111 Cost. dal momento che l’amministrazione verrebbe ingiustificatamente posta in una posizione di privilegio e si inciderebbe negativamente sulla ragionevole durata del processo, con conseguente alterazione del principio di parità tra le parti.
L’art. 1 comma 51, della Legge 13 dicembre 2010, n. 220 non sarebbe compatibile anche con l’art. 117 Cost. per contrarietà all’art. 6, par. 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali che garantisce il giusto processo in tutte le sue articolazioni.
La Corte Costituzionale ha ritenuto fondati i profili di illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 51, della Legge 13 dicembre 2010, n. 220.sollevati dalle autorità rimettenti ed ha riunito i giudizi.
Nell’esaminare la questione, la Corte Costituzionale parte dal presupposto che le autorità rimettenti hanno contestato il fatto che l’art. 1, comma 51, della Legge 13 dicembre 2010, n. 220 non consente di poter porre in esecuzione titoli esecutivi acquisiti anche per effetto del passaggio in giudicato di provvedimenti giurisdizionali ed ottenuti nei confronti di aziende sanitarie ed ospedaliere.
Ciò in forza del disposto per cui non solo non è possibile intraprendere o proseguire azioni esecutive nei confronti di detti enti, ma i pignoramenti e le prenotazioni a debito già operate devono ritenersi inefficaci e non costituiscono vincoli a carico degli enti.
L’art. 1, comma 51, della Legge 13 dicembre 2010, n. 220 determinerebbe pertanto, da un lato, l’estinzione di diritto delle procedure esecutive, dall’altro, l’obbligo per i tesorieri degli enti di mettere a disposizione le somme oggetto di pignoramento senza una previa pronuncia giurisdizionale, al fine di realizzare gli obiettivi di risanamento finanziario.
La Corte Costituzionale rammenta come possa ritenersi giustificato un intervento legislativo che privi di contenuto i titoli esecutivi giudiziali ottenuti nei confronti di un debitore.
Detto intervento può però ritenersi giustificato solo in presenza di determinate esigenze transitorie perché lo svuotamento del contenuto dei titoli esecutivi può essere attivo soltanto per un limitato periodo di tempo.
Le disposizioni di carattere processuale che incidono sui giudizi pendenti, provocandone la caducazione, devono tuttavia essere controbilanciate da norme che assicurino la realizzazione sostanziale dei diritti oggetto delle procedure sottoposte ad estinzione per vie differenti rispetto a quelle dell’esecuzione giudiziale (Corte Cost. 28.05.204, n. 155; Corte Cost. 11.02.2003, n. 310; Corte Cost. 12.12.2012, n. 277; Corte Cost. 7.11.2004, n. 364).
Sulla base dei propri orientamenti giurisprudenziali, la Corte Costituzionale rileva come le previsioni contenute nell’art. 1, comma 51, della Legge 13 dicembre 2010, n. 220 non preveda alcun meccanismo certo in ordine alla soddisfazione delle posizioni sostanziali sottostanti ai titoli esecutivi azionati ed è censurabile anche sotto il profilo temporale, in quanto gli effetti della norma dapprima erano stati fissati in un anno per poi essere prorogati di ulteriori due anni sino al 31 dicembre 2013: a ciò si aggiunge il fatto che la disposizione prevede anche l’estinzione delle procedure esecutive iniziate e la cessazione del vincolo pignoratizio gravante sui beni.
La Corte Costituzionale ritiene pertanto che la norma si ponga in contrasto con l’art. 24 Cost. dal momento che la disposizione rende vani gli effetti della tutela giurisdizionale già conseguita dai creditori delle aziende sanitarie nei giudizi di esecuzione forzata.
I creditori si troverebbero infatti non solo nella condizione di non poter realizzare attraverso il titolo esecutivo già conseguito il risultato connesso al provvedimento, ma anche di dover sopportare i costi anticipati per l’avvio della procedura esecutiva intrapresa e dichiarata estinta o inefficace (a seconda di quale versione della norma viene presa in considerazione per effetto delle modifiche intervenute).
La Corte Costituzionale ritiene inoltre che, nel caso di specie, non possa neppure sussistere alcuna ragione giustificativa del blocco delle azioni esecutive che avrebbe potuto essere rappresentata dalla previsione di un meccanismo di risanamento da realizzarsi attraverso una procedura concorsuale in cui far confluire le azioni esecutive.
Nei piani di rientro non sono infatti stati contemplati meccanismi di tutela dei diritti dei creditori, indi per cui la posizione sostanziale di questi ultimi non trova alcuna modalità sostitutiva di soddisfazione.
La Corte Costituzionale concorda poi sul fatto che l’art. 51, comma 1, della Legge 13 dicembre 2010, n. 220 si pone in violazione con il principio di parità delle parti sancito dall’art. 111 Cost.,
La norma ha infatti creato una fattispecie ius singulare che determina lo sbilanciamento fra le posizioni del privato e della pubblica amministrazione, in quanto quest’ultima verrebbe esentata dagli effetti pregiudizievoli di un provvedimento giurisdizionale di condanna.
La Consulta ritiene inoltre che la decisione di bloccare le azioni esecutive possa ritenersi giustificata dal fatto che la norma sarebbe finalizzata a garantire la continuità dell’erogazione delle funzioni connesse al servizio sanitario.
La Corte Costituzionale eccepisce tuttavia che tale risultato è però già assicurato dal disposto ex art. 1, comma 5, del Decreto legge 18 gennaio 1993, n. 9 che assicura l’impignorabilità dei fondi a destinazione vincolata essenziali ai fini dell’erogazione dei servizi sanitari.
Deve pertanto ritenersi fondata l’illegittimità costituzionale dell’art. 51, comma 1, della Legge 13 dicembre 2010, n. 220, per cui i creditori delle aziende sanitarie ed ospedaliere hanno la possibilità di veder riconosciute e soddisfatte le proprie ragioni di credito. È stato infatti rimosso il divieto di impignorabilità nei confronti delle aziende sanitarie locali situate nelle Regioni oggetto di piani di rientro dai disavanzi sanitari.
Testo del provvedimento
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