ISSN 2385-1376
Testo massima
Il titolo esecutivo deve necessariamente contenere in sé la somma di danaro che costituisce l’oggetto dell’obbligazione di pagamento destinata a sfociare nel precetto e quindi a fondare l’esecuzione forzata per cui l’atto pubblico con iscrizione ipotecaria relativa all’apertura di credito in conto corrente non è titolo esecutivo.
Il contratto di apertura di credito in conto corrente, a differenza del mutuo, non contempla sin dall’origine una somma determinata, posto che il credito per la banca si determina solo con la utilizzazione delle somme da parte del correntista nel corso del rapporto, nei limiti della somma disponibile
Così il Tribunale di Taranto, in persona del Giudice monocratico, dott. Claudio Casarano, con sentenza n.1170 del 30/05/2013 ha affrontato la delicata questione relativa alla idoneità o meno dell’apertura di credito su conto corrente a fondare titolo esecutivo idoneo ex art.474 cpc stante la mancata determinabilità ex artt.1346 e 1418 cc delle obbligazioni accessorie che concorrono a determinare la remunerazione del credito.
Nel caso di specie, alcuni correntisti, dopo aver stipulato con atto notarile con la Banca contratto di apertura di credito in conto corrente con garanzia ipotecaria, vedevano recapitarsi precetto e successivo pignoramento immobiliare avente ad oggetto il bene immobile oggetto di garanzia.
Avverso tale pignoramento i correntisti proponevano opposizione all’esecuzione deducendo, tra l’altro, che giammai il contratto di apertura di credito in conto corrente, pur se stipulato nella forma dell’atto pubblico ed assistito da ipoteca, avrebbe potuto costituire valido titolo esecutivo ex art.474 comma III cpc.
In particolare, sostenevano come il contratto di apertura di credito in conto corrente, a differenza del mutuo, non contempla sin dall’origine una somma determinata atteso che il credito per la Banca si determina solo con l’utilizzazione delle somme da parte del correntista, nei limiti della somma disponibile.
Il Giudicante, dopo avere precisato che per il mutuo la questione della determinabilità della somma non si pone (per esser espressamente pattuito nell’atto stesso) evidenzia come detta problematica sia presente specificatamente per il contratto di apertura di credito in conto corrente.
Invero, elementi di indeterminatezza presenti nel contratto di apertura di credito in conto corrente oggetto di lite sono, tra gli altri, l’aleatorietà del tasso complessivo applicato nel corso del rapporto di conto corrente (destinato a modificarsi in dipendenza delle variazioni delle condizioni del mercato monetario e creditizio); ovvero il rilievo del tasso annuale in realtà regolato trimestralmente con addebiti periodici o ancora la previsione delle commissioni di massimo scoperto e spese.
Tutti questi elementi di indeterminatezza del tasso complessivamente applicato al correntista nel corso del rapporto sono contenuti nello stesso atto pubblico posto a fondamento dell’esecuzione forzata.
A ciò è da aggiungere che nel contratto di apertura di credito in conto corrente, a differenza del mutuo, non si contempla sin dall’origine una somma determinata, posto che il credito per la banca si determina solo con la utilizzazione delle somme da parte del correntista nel corso del rapporto, nei limiti della somma disponibile
La forma solenne dell’atto pubblico non è poi rilevante ai fini della esistenza del titolo esecutivo.
Tale atto non riveste la qualità di titolo esecutivo in quanto l’effettivo debito dipende dalla concreta utilizzabilità della somma messa a disposizione della banca, ragione per la quale per azionare giudizialmente lo stesso ci si dovrà rivolgere al giudice di cognizione per quantificare l’esatto ammontare dell’obbligazione gravante sul correntista.
Per tali ragioni il Tribunale ha accolto l’opposizione dichiarando l’inesistenza della procedura esecutiva.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI TARANTO – II SEZIONE
In composizione monocratica, dott. Claudio Casarano
Ha pronunziato la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n. 4867 R.G. anno 2008 Affari Civili Contenziosi promossa da:
TIZIO ed CAIA;
CONTRO
BANCA;
OGGETTO: “Opposizione all’esecuzione immobiliare“.
Conclusioni: le parti rassegnavano quelle in atti riportate e qui da intendersi richiamate;
MOTIVI DELLA DECISIONE
IL FONDAMENTO DELLA DOMANDA
In citazione si affermava che i sig.ri TIZIO, CAIA, SEMPRONIO ed MEVIA, con atto per notar Cito del 17-09-1987, stipulavano in Taranto, nei locali della Filiale della BANCA, contratto di apertura di credito in conto corrente con garanzia ipotecaria.
In data 27-01-2004 la Filiale di Taranto della BANCA notificava atto di precetto ai suddetti correntisti, ingiungendo loro di pagare, in solido, la somma di allora £ 46.972.158, oltre interessi maturati dal 26-01-1994 al tasso convenzionale del 13% annuo, le spese ed i diritti successivi.
In data 10-02-1994 veniva notificato pignoramento immobiliare avente ad oggetto la casa di abitazione di proprietà degli attori e quindi si instaurava la procedura esecutiva contraddistinta dal numero 104/94 R. G. Es. Imm.-
I due correntisti che erano anche proprietari dell’immobile pignorato, con ricorso del 10-03-2008, proponevano opposizione all’esecuzione ed ottenevano dal giudice dell’esecuzione la sospensione della predetta procedura esecutiva.
In questa sede i ricorrenti proponevano nella forma ordinaria l’opposizione all’esecuzione, e facevano valere, fra gli altri, due motivi assorbenti di impugnativa che, qualora fossero stati accolti, avrebbero dovuto portare all’annullamento del pignoramento e quindi della evocata procedura esecutiva.
Il PRIMO MOTIVO si fondava sul difetto di capacità processuale della Filiale di Taranto dell’allora BANCA a proporre ex se l’azione esecutiva; non avendo infatti la prima personalità giuridica, al più avrebbe potuto proporla, precisava la difesa opponente, spendendo il nome della società nella cui organizzazione sociale essa era inserita.
Il SECONDO MOTIVO di opposizione si fondava sul rilievo che giammai il contratto di apertura di credito in conto corrente, pur se stipulato nella forma dell’atto pubblico ed assistito da ipoteca, avrebbe potuto costituire un valido titolo esecutivo ex art 474 c.p.c.
Ricordava infatti la difesa opponente che il contratto di apertura di credito in conto corrente, a differenza del mutuo, non contempla sin dall’origine una somma determinata, posto che il credito per la banca si determina solo con la utilizzazione delle somme da parte del correntista nel corso del rapporto, nei limiti della somma disponibile.
Di conseguenza l’importo del credito non è possibile determinarlo con il contratto originario stipulato della forma dell’atto pubblico, bensì solo con gli estratti conto successivi, peraltro mai prodotti.
La notifica del precetto per di più, precisava la difesa istante, si fondava sul solo contratto di apertura di credito, senza che fosse accompagnato dalla produzione degli estratti conto, i soli che avrebbero consentito di determinare l’ammontare del credito.
I quali ultimi peraltro, precisava la difesa istante, non avrebbe potuto integrare la necessaria forma scritta ex art. 474 c.p.c. neanche per relationem.
LA DIFESA DELLA BANCA
Con riferimento all’eccezione di difetto di capacità processuale della Filiale, la difesa della banca opposta ricordava come per giurisprudenza consolidata della S.C., il dirigente della filiale o succursale di un istituto di bancario sia da considerare un institore della banca ex art. 2203 c.c., con la conseguente sua legittimazione ad agire o resistere in giudizio per conto dell’impresa preponente.
Per quel che concerne il secondo motivo di impugnativa dell’evocata procedura esecutiva, la banca sosteneva come il contratto di apertura di credito fosse da assimilare al mutuo ipotecario.
In entrambi i casi infatti l’accordo si perfeziona con la traditio del danaro, con l’unica differenza che nel mutuo viene erogata in un’unica soluzione, nell’altro il danaro viene erogato in varie soluzioni, sino all’ammontare massimo garantito, pari ad allora lire 35.000.000, pienamente utilizzato dal correntista.
Il quale peraltro aveva avuto conoscenza costante della propria esposizione debitoria con l’invio degli estratti conto, mai contestati; come attestato, aggiungeva la difesa opposta, la nota inviata dalla Banca in data 24-03-2004 e da cui risulta a quella data un debito di euro 58.215,00, di cui euro 19.162,38 per sorte capitale.
L’ISTRUTTORIA
Senza necessità di istruire oralmente la causa, all’udienza del 09-01-2013, veniva riservata per la decisione, con la concessione dei termini ex art. 190 c.p.c. per lo scambio di comparse conclusionali e repliche.
LA QUALITÀ DI INSISTITORE DEL DIRIGENTE DELLA FILIALE EX ART. 2203-2204 C.. E LA PRESUNZIONE DELL’ESISTENZA DEL POTERE DI RAPPRESENTANZA DELLA BANCA EX ART. 77, II CO., C.C.: LA SPENDITA IMPLICITA DEL NOME DELLA BANCA CONTENUTA NEL PRECETTO
Come risulta evidente dal combinato disposto ex art. 2203 2204 c.c., all’institore e quindi al dirigente di una filiale di banca, non solo è attribuito ex lege il potere di rappresentanza sostanziale della banca, per gli affari pertinenti all’esercizio dell’impresa cui è preposto, ma anche quello di rappresentanza processuale.
Non solo ma ai sensi dell’art. 77, co. II, c.p.c., in coerenza peraltro con la disciplina sostanziale sopra richiamata, il potere di rappresentanza processuale della banca si presume conferito all’institore( e quindi al dirigente della filiale); non occorre quindi una procura sostanziale ad hoc.
A ben vedere allora, leggendo l’atto di precetto qui controverso, a mancare, a tutto voler concedere alla tesi opponente, è la compiuta espressa spendita del nome della Banca; così infatti recita l’esordio del precetto: “La BANCA Filiale di Taranto, in persona del dott
.”.
Tuttavia non vi possono essere dubbi sul fatto che fosse necessariamente implicita la spendita del nome della BANCA, come peraltro anche la lettera del precetto sta, a ben vedere, a confermare.
Non può allora parlarsi di difetto di capacità processuale della Filiale e quindi di invalidità del precetto e della esecuzione forzata.
L’INIDONEITÀ DEL CONTRATTO DI APERTURA DI CREDITO SU CONTO CORRENTE, QUANDO STIPULATO IN FORMA SOLENNE, A FONDARE UN TITOLO ESECUTIVO IDONEO EX ART. 474 C.P.C., SOTTO IL PROFILO DELLA MANCATA DETERMINABILITÀ EX ART. 1346 1418, II CO., C.C. DELLE OBBLIGAZIONI ACCESSORIE CHE CONCORRONO A DETERMINARE LA REMUNERAZIONE DEL CREDITO( QUALI INTERESSI SEMPLICI, INTERESSI ANATOCISTICI, SPESE, COMMISSIONI DI MASSIMO SCOPERTO, ETC.)
Occorre muovere dalla concreta fattispecie dedotta in giudizio.
L’autonomia negoziale si esprimeva nel senso di stipulare un contratto, per la cui validità non è richiesta dalla legge la forma solenne, nella forma dell’atto pubblico allo scopo prevalente di contemplare il negozio accessorio di dazione di ipoteca e per quel che avveniva in concreto di precostituirsi un titolo idoneo ex art. 474 c.p.c. all’esecuzione diretta senza l’intermdiazione del giudice della cognizione.
Naturalmente il contratto prevedeva pure il massimo del fido concesso, nell’ammontare di allora 35.000.000.
Inoltre erano allegate le condizioni generali del contratto di apertura di credito in conto corrente, con tanto di espressa sottoscrizione di clausole vessatorie ex art. 1341 c.c.. Infine in un altro allegato all’atto pubblico era previsto un piano di riduzione progressiva del fido per tutta la durata del contratto, peraltro espressamente convenuta fino al 30-06-1997.
Come si desume dalla disciplina prevista dall’art. 474 c.c., il titolo esecutivo deve necessariamente contenere in sé la somma di danaro che costituisce l’oggetto dell’obbligazione di pagamento destinata a sfociare nel precetto e quindi a fondare l’esecuzione forzata.
Nessuno così dubita che la sentenza di cui al n. 1 dell’art. 474 c.p.c. debba contenere la condanna al pagamento di una somma di danaro determinata.
Anzi il successivo numero 2 della predetta norma, quando attribuisce efficacia esecutiva al diverso caso delle scritture private autenticate relative ad obbligazioni di somme di danaro, richiede espressamente che in esse siano contenute.
Quando allora al n. 3 si parla di atti ricevuti da notaio, come terza categoria di atti esecutivi, è implicito che il suo oggetto debba essere determinato.
Certo è pur vero che i principi generali in tema di forma per relationem hanno portato all’affermazione secondo cui le sentenze di condanna siano idonee a fondare l’esecuzione forzata anche quando la quantificazione della somma sia determinabile; si ricordi ad esempio la sentenza per la parte contenente la condanna agli interessi di legge ed alla rivalutazione.
Per gli atti negoziali ex art. 474, n. 3, c.p.c., l’atto solenne deve contenere al suo interno i criteri per permettere in base ad un calcolo aritmetico di determinare l’oggetto complessivo dell’obbligazione di restituzione della somma di danaro.
Tanto è imposto dalla disciplina generale in tema di determinabilità dell’oggetto del contratto o per quel che qui rileva anche della clausola che contempla l’obbligazione accessoria degli interessi quale desumibile dagli art. 1346 e 1418, II co., c.c. per un verso e dalla necessità che sia rispettato il requisito della forma solenne ex art. 474, n. 3 c.p.c.-
Se per un mutuo la questione della determinabilità in linea di principio non si pone, per essere espressamente pattuiti nello stesso atto fonte dell’obbligazione i tassi applicati, invece per il contratto di apertura di credito in conto corrente un problema di determinabilità dell’oggetto si pone; anzi verrebbe fatto di dire che si pone per definizione, se si pensa alla nota aleatorietà del tasso complessivo in concreto applicato nel corso del rapporto dalle banche quando vengono in rilievo i conti correnti.
Ora nell’atto pubblico era sì precisato il tasso applicato, nella misura del 13% annuo (quello stesso che viene indicato nel precetto), ma è pur vero che espressamente veniva stabilito che questo fosse solo quello iniziale; non solo ma veniva pure autorizzato il potere di modificarlo unilateralmente in dipendenza delle variazioni intervenute nelle condizioni di mercato monetario e creditizio.
In questo modo si finiva con l’introdurre un elemento aleatorio sul quantum dell’obbligazione di restituzione gravante sul correntista, il quale infatti al momento della sua nascita non avrebbe potuto sapere quale sarebbe stato l’importo della propria obbligazione a titolo di interessi.
Altro elemento di indeterminatezza del tasso di interesse che in concreto sarebbe stato applicabile era rappresentato dal rilievo che il tasso annuale in realtà era regolato trimestralmente, con i conseguenti e noti addebiti periodici; ancora una volta veniva introdotto altro elemento aleatorio, posto che per effetto della capitalizzazione trimestrale anche in questo caso una parte dell’obbligazione risultava indeterminabile, sempre con valutazione da effettuarsi al momento genetico del rapporto.
Un ulteriore elemento di indeterminatezza dell’obbligazione di restituzione, contenuta sempre nello stesso atto pubblico, risiedeva nella previsione delle commissioni di massimo scoperto e spese, che pure come è noto non consentono di rendere determinabile al momento della stipula solenne una parte dell’obbligazione assunta( per di più con conseguente capitalizzazione trimestrale).
Elemento di indeterminatezza che poi risultava aggravato dall’autorizzazione allo sconfinamento, senza che sia emerso quale poi fosse il tasso in questo caso e se fosse variato nel corso del rapporto.
Tutti questi elementi di indeterminatezza del tasso complessivamente applicato al correntista nel corso del rapporto, come si è visto, sono contenuti nello stesso atto pubblico posto a fondamento dell’esecuzione forzata( per di di più non supportati dall’allegazione degli estratti conto).
In altri termini se c’era un contratto che non poteva rivestire la forma solenne ai sensi dell’art. 474, III co., c.p.c., verrebbe fatto di affermare, questo era proprio il contratto di apertura di credito in conto corrente; tanto per le note problematiche sulla determinabilità del tasso complessivo applicato, che, come si è sopra verificato, si ponevano tutte nella fattispecie in esame, anche in considerazione della disciplina ad esso applicabile ratione temporis: quali quella relativa alla generica variazione del tasso secondo le condizioni di mercato, alla peraltro allora vietata capitalizzazione trimestrale degli interessi, spese, etc., alle commissioni di massimo scoperto in concreto applicate, al tasso applicato per le esposizioni extrafido.
E si tratta di obbligazione accessoria di remunerazione complessiva del credito che di fatto incide in maniera preponderante sul quantum dovuto: come ricordava la stessa difesa opposta alla data del 24-03-2004 risulta un debito di euro 58.215,00, di cui solo euro 19.162,38 per sorte capitale.
Dunque l’atto pubblico, per come veniva in concreto consacrato il contenuto del contratto bancario in esame, giammai avrebbe potuto costituire titolo esecutivo ex art. 474, III co., c.p.c.; viceversa balza evidente ad un tempo come fosse necessario il vaglio preventivo (prima cioè dell’esecuzione forzata diretta ex art. 474, III co., c.p.c.) del giudice della cognizione per quantificare l’esatto ammontare dell’obbligazione gravante sul correntista.
Va quindi annullato il precetto e l’evocata procedura esecutiva.
Le spese seguono la soccombenza della banca opposta; si liquidano come da dispositivo, tenuto conto dell’effettiva attività svolta.
PQM
Definitivamente pronunziando sull’opposizione all’esecuzione forzata immobiliare contraddistinta dal n. 104-94 proposta dai sig.ri TIZIO ed CAIA, con citazione regolarmente notificata, nei confronti della BANCA , quale procuratrice della C. F. S.R.L., rigettata ogni altra domanda ed eccezione, così provvede:
Accoglie l’opposizione ed annulla l’atto di precetto notificato in data 27-01-1994 ed il pignoramento del 10-02-1994, effettuato sulla casa di abitazione sita in (OMISSIS), alla via (OMISSIS), composta di quattro vani al piano terra, quattro vani al primo piano, e quattro vani al secondo piano, confinanti (OMISSIS);
Annulla quindi la procedura esecutiva n. 104-94;
Ordina al Conservatore la cancellazione della trascrizione del pignoramento;
Pone a carico della banca, in via definitiva, il pagamento delle spese della predetta procedura esecutiva;
Condanna la banca opposta al pagamento delle spese processuali sopportate dagli attori – opponenti, che si liquidano in favore dei difensori anticipanti, in solido, in euro 373,77 per esborsi ed 5.900,00 per compenso professionale, oltre I.V.A. e C.A.P.
Il giudice dott. Claudio Casarano
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Numero Protocolo Interno : 354/2013