ISSN 2385-1376
Testo massima
Laddove siano contestualmente proposte con un unico atto un’opposizione all’esecuzione e un’opposizione agli atti esecutivi, l’impugnazione della sentenza deve seguire il differente regime previsto per i distinti tipi di opposizione: la sentenza sarà pertanto sarà soggetta alle forme ed ai termini dell’appello quando l’opposizione è stata proposta al fine di contestare la fondatezza del credito ai sensi dell’art. 615 cpc, mentre sarà ricorribile per cassazione ai sensi dell’art. 111, comma 7, Cost. con riferimento alla parte della pronuncia relativa all’opposizione agli atti esecutivi.
È questo il principio sancito dalla Suprema Corte di Cassazione al termine di un giudizio che ha avuto inizio con l’opposizione proposta contro una cartella esattoriale con cui l’I.N.P.S. aveva ingiunto al contribuente il pagamento di una somma a titolo di contributi previdenziali.
Il giudice di primo grado rigettava però l’opposizione per tardività, donde il contribuente proponeva appello che veniva però dichiarato inammissibile.
La Corte d’Appello riteneva che l’opposizione contro l’iscrizione a ruolo doveva essere configurata come un’opposizione all’esecuzione, in quanto il contribuente aveva contestato il diritto all’esecuzione forzata ai sensi dell’art. 615 cpc.
Per tale ragione la Corte d’Appello aveva ritenuto che l’unica forma di impugnazione esperibile fosse il ricorso per Cassazione ai sensi dell’art. 616 cpc, così come sostituito dall’art. 14 della Legge 24 febbraio 2006, n. 52, il quale prevedeva che la causa di opposizione all’esecuzione doveva essere decisa con sentenza non impugnabile.
Lo stato di sostanziale inappellabilità prevista dall’art. 616 cpc doveva inoltre ritenersi applicabile, come poi chiarito dai giudici di legittimità, con riferimento sia ai giudizi di opposizione a precetto sia ai giudizi di opposizione ad una esecuzione già avviata.
Il contribuente proponeva pertanto ricorso per Cassazione, contestando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 615, 616 e 618 bis cpc, nonché dell’art. 24 del D.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46.
Il ricorrente si doleva del fatto che la Corte d’Appello aveva ritenuto che l’opposizione dovesse essere qualificata come un’opposizione ad una esecuzione già iniziata con conseguente applicazione dell’art. 616 cpc nella formulazione prevista dall’art. 14 del D.lgs. 24 febbraio 2006, n. 52.
Il ricorrente riteneva, per contro, che l’opposizione fosse stata radicata per contestare il diritto a procedere all’esecuzione da parte dell’I.N.P.S.. ai sensi dell’art. 24, comma 2 del D.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46.
Nell’affrontare i motivi di impugnazione sollevati dal ricorrente, la Suprema Corte di Cassazione rammenta che il sistema di tutela giurisdizionale previsto dal nostro legislatore a tutela contribuente per le richieste previdenziali sollevate dall’I.N.P.S. prevede più strumenti di tutela.
L’art. 24, comma 6 e l’art. 29, comma 2, del D.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46 consentono innanzitutto di rivolgersi al giudice del lavoro ex art. 442 cpc per formulare opposizione contro l’iscrizione a ruolo per motivi inerenti il merito della pretesa contributiva.
Ai sensi del combinato disposto ex art. 615 cpc e 618 bis cpc, è poi possibile proporre opposizione all’esecuzione al giudice del lavoro, quando l’esecuzione non è ancora iniziata, o al giudice dell’esecuzione, se la medesima è stata invece avviata, eccependo questioni di merito riguardanti la pignorabilità dei beni o l’esistenza di fatti estintivi del credito sopravvenuti alla formazione del titolo.
È infine consentito proporre, ai sensi dell’art. 617 cpc, anche l’opposizione agli atti esecutivi per vizi formali riguardanti il titolo o la cartella di pagamento avanti al giudice del lavoro o al giudice dell’esecuzione a seconda del caso che l’esecuzione sia stata iniziata o meno.
È inoltre ammessa la possibilità per il contribuente di proporre con un unico atto sia l’opposizione per motivi di merito della pretesa contributiva sia l’opposizione per motivi di forma della cartella di pagamento.
I giudici di legittimità precisano che, in detto contesto, i termini per proporre l’opposizione agli atti esecutivi sono i medesimi rispetto a quelli previsti per l’opposizione all’esecuzione che va radicata entro quaranta giorni dalla notifica della cartella di pagamento ai sensi dell’art. 24, comma 2 del D.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46.
Sulla base delle norme sopra richiamate e dall’esame degli atti di causa, i giudici di legittimità hanno rilevato che, nel caso di specie, il giudice di primo grado non aveva effettuato una chiara qualificazione della domanda formulata dall’opponente, non avendo precisato se si trattasse solo di una opposizione agli atti esecutivi od anche di un’opposizione all’esecuzione.
Il giudice di primo grado aveva difatti assunto la sua decisione facendo solo riferimento al mancato rispetto da parte dell’opponente odierno ricorrente del termine indicato dal citato art. 24, comma 5, del D.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46.
Per la Suprema Corte di Cassazione il solo richiamo alla mancata osservanza del termine ex art. 24, comma 5 del D.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46 non era però elemento in grado di chiarire se l’opposizione poteva essere solamente considerata come opposizione all’esecuzione, essendo necessario invece fare riferimento alla qualificazione dell’azione proposta dal contribuente che avrebbe dovuto essere effettuata dal giudice del primo grado di giudizio.
In assenza di una qualificazione inequivocabile dell’opposizione data dal giudice di primo grado, la Cassazione ha ribadito il principio in forza del quale è riservato d’ufficio ai giudici di legittimità il compito di qualificare la domanda proposta dal debitore come opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi sia ai fini del merito del giudizio sia ai fini del giudizio sull’ammissibilità dell’impugnazione.
Essendo pertanto legittimata a esaminare nel merito la domanda iniziale formulata dall’opponente, la Suprema Corte di Cassazione ha rilevato che l’odierno ricorrente aveva fatto valere con un unico atto di opposizione sia motivi integranti un’opposizione agli atti esecutivi sia un’opposizione all’esecuzione per insussistenza dei diritto di credito.
Nel momento in cui un debitore propone in un unico atto un’opposizione agli atti esecutivi e un’opposizione all’esecuzione, l’impugnazione contro la sentenza che decide il giudizio, osservano i giudici di legittimità, va radicata in conformità alle modalità e ai termini previsti per ciascun distinto tipo di opposizione.
In altri termini, la parte della sentenza che decide l’opposizione proposta per motivi di merito del credito ai sensi dell’art. 24, comma 6 del D.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46 ed ex art. 615 cpc, è soggetta alle forme e i termini dell’appello.
La parte della sentenza riguardante l’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 cpc è invece ricorribile solo per cassazione ai sensi dell’art. 111, comma 7, Cost..
Nel caso di specie, la Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto pertanto erronea la decisione assunta dalla Corte d’Appello nella parte in cui ha affermato l’inammissibilità dell’appello proposto dal contribuente perché radicato nella forma dell’opposizione a una esecuzione già iniziata.
L’inammissibilità dell’appello avrebbe potuto essere infatti dichiarata solo con riferimento alla parte della domanda relativa all’opposizione agli atti esecutivi, ma non con riferimento alla residua parte dell’opposizione perché coinvolgente il diritto a procedere all’esecuzione.
Testo del provvedimento
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 10111/2008 proposto da:
TIZIO
– ricorrente –
contro
ALFA SPA
– controricorrente –
e contro
I.N.P.S.
– resistente con mandato –
avverso la sentenza n. 466/2007 della CORTE D’APPELLO di CALTANISSETTA, depositata il 10/01/2008 R.G.N. 34/2007;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
Con ricorso al Tribunale di Caltanissetta, TIZIO proponeva opposizione avverso la cartella esattoriale n. (OMISSIS) con la quale gli era stato ingiunto il pagamento, in favore dell’I.N.P.S., della somma di Euro 21.699,36 a titolo di “contributi commercianti“. Il Tribunale rigettava l’opposizione perchè proposta tardivamente. A seguito di impugnazione del C., la Corte di appello di Caltanissetta dichiarava l’appello inammissibile. Riteneva la Corte di merito che l’opposizione avverso l’iscrizione a ruolo andasse configurata come opposizione all’esecuzione laddove, come nella specie, si contestava il diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata ex art. 615 c.p.c.. In conseguenza riteneva che, ai sensi del novellato art. 616 c.p.c. (come sostituito dalla L. n. 52 del 2006, art. 14) l’unico rimedio esperibile fosse il ricorso per cassazione ex art. 111 Cost..
Contro la sentenza di appello ricorre TIZIO con un motivo.
Resiste la ALFA SPA con controricorso illustrato da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
L’I.N.P.S. ha depositato delega in calce al ricorso notificato.
Motivi della decisione
1. Con l’unico articolato motivo il ricorrente denuncia: “Violazione e falsa applicazione degli artt. 615, 616 e 618 bis del c.p.c., e del D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”. Si duole del fatto che la Corte territoriale ha ritenuto che la sentenza del Tribunale, quale opposizione all’esecuzione, non potesse essere oggetto di appello ai sensi dell’art. 616 c.p.c., come novellato. Evidenzia che, nella specie, oggetto di contestazione era il diritto a procedere all’esecuzione (come del resto contraddittoriamente posto in rilievo in premessa dalla stessa Corte territoriale) e che l’opposizione era stata avanzata ai sensi del D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 2, laddove la Corte di merito ha ritenuto che si trattasse di una opposizione avverso una esecuzione già iniziata e che quindi fosse applicabile l’art. 616 c.p.c., (così come sostituito dalla L. 24 febbraio 2006, n. 52, art. 14).
2. Il motivo è fondato.
Occorre premettere che il vigente sistema di tutela giurisdizionale per le entrate previdenziali (ed in genere per quelle non tributarie) prevede le seguenti possibilità di tutela per il contribuente: a) proposizione di opposizione al ruolo esattoriale per motivi attinenti al merito della pretesa contributiva ai sensi del D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 6, ovverosia nel termine di giorni quaranta dalla notifica della cartella di pagamento, davanti al giudice del lavoro; b) proposizione di opposizione ai sensi dell’art. 615 c.p.c., per questioni attinenti non solo alla pignorabilità dei beni, ma anche a fatti estintivi del credito sopravvenuti alla formazione del titolo (quali ad esempio la prescrizione del credito, la morte del contribuente, l’intervenuto pagamento della somma precettata) sempre davanti al giudice del lavoro nel caso in cui l’esecuzione non sia ancora iniziata (art. 615 c.p.c., comma 1) ovvero davanti al giudice dell’esecuzione se la stessa sia invece già iniziata (art. 615 c.p.c., comma 2, e art. 618 bis c.p.c.); c) proposizione di una opposizione agli atti esecutivi ai sensi dell’art. 617 c.p.c., ovverosia “nel termine perentorio di venti giorni (cinque prima delle modifiche delle modifiche apportate dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35, convertito in L. 14 maggio 2005, n. 80) dalla notifica del titolo esecutivo o del precetto” per i vizi formali del titolo ovvero della cartella di pagamento, anche in questo caso davanti al giudice dell’esecuzione o a quello del lavoro a seconda che l’esecuzione stessa sia già iniziata (art. 617 c.p.c., comma 2) o meno (art. 617 c.p.c., comma 1). Tanto si ricava sia dalla formulazione del D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 6, secondo cui “il giudizio di opposizione contro il ruolo per motivi inerenti il merito della pretesa contributiva è regolato dall’art. 442 c.p.c. e segg.”, sia dal medesimo D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 29, comma 2. Tale ultima disposizione infatti prevede che “alle entrate indicate nel comma 1, cioè, tra l’altro, quelle non tributarie non si applica la disposizione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 57, comma 1, come sostituito dall’art. 16, del presente decreto e le opposizioni all’esecuzione ed agli atti esecutivi si propongono nelle forme ordinarie”. Il citato D.P.R. n. 602 del 1973, art. 57, nel testo ora vigente, in relazione alla procedura di riscossione delle entrate tributarie, non consente le opposizioni regolate dall’art. 615 c.p.c., fatta eccezione per quelle concernenti la pignorabilità dei beni; nè le opposizioni regolate dall’art. 617 c.p.c., relative alla regolarità formale ed alla notificazione del titolo esecutivo.
Quindi, per quanto riguarda la riscossione dei crediti contributivi, il debitore ben può proporre l’opposizione agli atti esecutivi secondo la disciplina del codice di rito e, in particolare, secondo gli artt. 618 bis e 617 (cfr. Cass. 18 novembre 2004 ed in senso conforme Cass. 8 luglio 2008, n. 18691 secondo cui: “Nella disciplina della riscossione mediante iscrizione a ruolo dei crediti previdenziali, di cui al D.Lgs. n. 46 del 1999, l’opposizione agli atti esecutivi – con la quale si fanno valere i vizi di forma del titolo esecutivo, ivi compresa la carenza di motivazione dell’atto – è prevista dall’art. 29, comma 2, che per la relativa regolamentazione rinvia alle “forme ordinarie”, e non dall’art. 24 dello stesso D.Lgs., che si riferisce, invece, all’opposizione sul merito della pretesa di riscossione”).
In riferimento alle tipologie di opposizione di cui ai sopra indicati punti a) e b), unico soggetto legittimato passivo è l’Ente impositore (nonchè, per quanto riguarda i crediti contributivi dell’I.N.P.S., anche la S.C.CI. S.p.A. ai sensi della L. n. 448 del 1998, art. 13, comma 8, che indica quale litisconsorte necessario nel giudizio di opposizione il cessionario dei crediti dell’I.N.P.S.), in quanto, mentre la formulazione originaria del citato D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 5, disponeva che il ricorso di opposizione alla iscrizione al ruolo dovesse essere notificato “anche al concessionario”, tale specifica previsione è stata successivamente soppressa dal D.L. 24 settembre 2002, n. 209, art. 4, comma 2 ter, convertito con modificazioni in L. 22 novembre 2002, n. 265.
Il concessionario del servizio di riscossione è invece legittimato passivamente in giudizio rispetto all’opposizione agli atti esecutivi, laddove appunto venga contestata, in generale, la regolarità degli atti esecutivi o del titolo ovvero del precetto (che, nel caso dell’esecuzione mediante ruolo, è costituito proprio dalla cartella di pagamento: a norma del D.P.R. 602 del 1973, art. 25, quest’ultima deve infatti contenere l’intimazione di pagamento entro il termine di sessanta giorni dalla notificazione della cartella stessa con avvertimento che in mancanza si procederà ad esecuzione forzata).
Questa Corte ha precisato che all’opposizione alla cartella esattoriale per questioni meramente formali relative alla validità del titolo si applica il termine perentorio di venti giorni (prima cinque) dalla notifica, di cui all’art. 617 c.p.c., la cui inosservanza comporta l’inammissibilità dell’opposizione, rilevabile d’ufficio, anche in sede di legittimità, a prescindere dalla tardiva costituzione del convenuto, inammissibilità che preclude ogni questione sulla irritualità della notifica della cartella di pagamento (cfr. Cass. 11 maggio 2010, n. 11338; id. 12 novembre 2008, n. 27019).
Ha, altresì, precisato che quando con unico atto siano proposte – come è consentito – sia l’opposizione per motivi di merito della pretesa contributiva che l’opposizione per vizi di forma della cartella, vale il termine previsto per l’opposizione di merito dal D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 5, e non il termine richiamato dal successivo art. 29, comma 2, per l’opposizione agli atti esecutivi (così Cass. 6 settembre 2012, n. 14963).
E’ stato da questa Corte anche chiarito che la disciplina in tema di inappellabilità, a suo tempo sancita dall’art. 616 c.p.c., è applicabile tanto nei giudizi di opposizione a precetto, quanto in quelli di opposizione a una esecuzione già iniziata (confr. Cass. 30 aprile 2011, n. 9591; id. 29 maggio 2008, n. 14179). Le peculiarità che, in ragione della esistenza di una procedura esecutiva in atto, caratterizzano la fase iniziale della procedura delle opposizioni proposte a norma dell’art. 615 c.p.c., comma 2, rispetto a quelle proposte a norma del comma 1 (comb. disp. art. 616 c.p.c., e art. 186 disp. art. c.p.c.), come non incidono sulla natura giuridica del mezzo azionato, che è, e resta, per le une e per le altre, la contestazione dell’an dell’azione esecutiva, e cioè del diritto dell’istante di promuovere l’esecuzione, sia in via assoluta, che relativa (cfr. Cass. 13 novembre 2009, n. 24041), sono perciò stesso insensibili alla collocazione logistica della regola dell’inappellabilità ohm stabilita dall’art. 616 c.p.c. (nel testo sostituito dalla L. 14 febbraio 2006, n. 52, art. 14, comma 1).
Tanto precisato si osserva che, nel caso in esame, per quanto si rileva dal contenuto del presente ricorso e della sentenza qui impugnata, la decisione di primo grado, senza operare una chiara qualificazione della domanda (precisando se fosse stata proposta una opposizione agli atti esecutivi ovvero – solo o anche – una opposizione con la quale si fosse contestato il diritto a procedere in executivis per ragioni inerenti al merito della pretesa contributiva) ha fatto esclusivamente riferimento al mancato rispetto da parte dell’opponente termine di cui al D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 5.
Orbene, per il principio affermato da questa Corte nella sopra citata decisione n. 14963 del 6 settembre 2012, va escluso che il richiamo al solo termine previsto dal D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 5, potesse significare una chiara qualificazione della domanda nel senso solo di una opposizione di merito con la quale si contestasse il diritto della parte istante di agire in executivis.
Se tale qualificazione vi fosse stata l’identificazione del mezzo di impugnazione esperibile si sarebbe, evidentemente, dovuta operare in base al principio dell’apparenza, e cioè con riferimento esclusivo alla qualificazione dell’azione proposta effettuata dal giudice a quo, fosse essa corretta o meno, e a prescindere dalla qualificazione che ne avessero dato le parti (cfr. in tal senso Cass. 21 dicembre 2009, n. 26919; id. 2 marzo 2012, n. 3338).
In mancanza di una definizione certa data dal giudice di primo grado all’opposizione del debitore, la qualificazione della domanda come opposizione all’esecuzione (con cui si contesti il merito della pretesa contributiva e, dunque, il diritto della parte istante di agire in executivis) o agli atti esecutivi (con cui si contesti la regolarità formale dei singoli atti del procedimento esecutivo), spetta d’ufficio al giudice dell’impugnazione, non solo ai fini del merito, ma anche ai fini dell’ammissibilità dell’impugnazione stessa, e, perciò, spetta anche a questa Corte di cassazione adita con apposito ricorso (cfr. Cass. 13 ottobre 2009, n. 21683).
Ed allora, per valutare la fondatezza della censura del ricorrente, occorre rifarsi alla domanda iniziale del ricorrente.
Nel caso in esame, con il ricorso introduttivo del giudizio (il cui contenuto è stato ritualmente riprodotto nel presente ricorso) TIZIO aveva fatto valere sia motivi integranti una opposizione agli atti esecutivi (e così le censure di natura formale afferenti l’omessa indicazione delle modalità, del termine, dell’organo giurisdizionale o dell’autorità amministrativa cui sarebbe stato possibile ricorrere, l’omessa indicazione della precedente atto di accertamento o la motivazione della pretesa contributiva), sia motivi integranti una opposizione all’esecuzione (non debenza del credito per infondatezza della pretesa sulla base dell’assunto che il C. non si trovava in alcuna delle condizioni determinanti l’obbligo di iscrizione all’assicurazione IVS).
Dunque con il medesimo ricorso la parte aveva proposto tanto una opposizione agli atti quanto una domanda di accertamento negativo del credito.
Qualora, dunque, vengano proposte contestualmente, con il medesimo atto, un’opposizione all’esecuzione e un’opposizione agli atti esecutivi, l’impugnazione della conseguente sentenza deve seguire il diverso regime applicabile per i distinti tipi di opposizione e, pertanto, è soggetta alle forme e termini dell’appello con riguardo all’opposizione ai sensi del D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 6, ed all’opposizione ex art. 615 c.p.c., mentre è solo ricorribile per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7, con riferimento alla parte della pronuncia relativa all’opposizione agli atti esecutivi – cfr. Cass. sentenza n. 13203 del 31/5/2010 -.
Da tanto consegue che mentre per l’opposizione agli atti era precluso all’opponente il rimedio dell’appello, quest’ultimo era certamente esperibile con riferimento alla pronuncia resa in ordine alla opposizione nel merito diretta ad accertare la fondatezza della pretesa dell’ente.
Ha quindi errato la sentenza impugnata nel ritenere in foto inammissibile l’appello proposto dal C. sul presupposto che si trattasse di una opposizione ad esecuzione già iniziata, potendo tale inammissibilità essere pronunciata solo con riferimento alla parte della domanda relativa all’opposizione agli atti esecutivi (evidentemente con diversa motivazione) e vertendosi, per il resto, in materia di opposizione avverso il diritto a procedere in executivis.
Ciò determina la cassazione della sentenza con rinvio ad altro giudice, che si designa nella Corte di appello di Palermo, la quale deciderà la causa attenendosi al principio sopra riportato.
3. Al giudice del rinvio è rimessa anche la disciplina delle spese del presente processo.
LA CORTE accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Palermo.
Così deciso in Roma, il 13 marzo 2013.
Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2013
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