ISSN 2385-1376
Testo massima
Con l’interessante decisione in commento, la Corte di Cassazione, con ordinanza n.10255 del 02/05/2013, ha annullato la pronuncia del giudice tributario che aveva rigettato l’appello proposto dal contribuente e confermato la ripresa a tassazione di un importo superiore ai due milioni di euro, portato in deduzione dall’appellante a titolo di perdita su crediti.
Le perdite si erano originate per la rinuncia volontaria della società contribuente, seguita ai reclami ricevuti, e finalizzata al mantenimento di buoni rapporti con i clienti, seppure debitori.
La Suprema Corte ha accolto il gravame ritenendo sussistere il vizio di omessa o insufficiente motivazione della sentenza di secondo grado, con riferimento al fatto decisivo della esistenza, documentata, di reclami indirizzati al contribuente, posti alla base della decisione di rinunciare alla riscossione.
L’affermazione della Commissione Regionale secondo cui non risulterebbe “alcuna prova dell’esistenza di tali perdite su crediti” è stata giudicata apodittica e non legata da alcun nesso argomentativo alla disamina della documentazione prodotta in atti dal ricorrente.
Non è stato infatti censurato, da parte dei Giudici di legittimità, il giudizio di merito circa l’inidoneità della documentazione a fondare quegli “elementi certi e precisi” richiesti dalla norma di cui all’art.101 comma quinto del T.u.i.r. (D.p.r. 917/86) ai fini della deduzione della perdita dal reddito, quanto piuttosto il “non avere esplicitato tale giudizio, spiegandone le ragioni di fatto
o di diritto
“.
In questo ambito viene stigmatizzata come inconferente la difesa “di merito” dell’Agenzia delle Entrate, volta ad attaccare il rilievo probatorio dei documenti in atti in riferimento al disposto della legge fiscale.
La decisione citata appare come un lodevole richiamo all’obbligo di motivazione di tutti i provvedimenti giurisdizionali, sancito dall’art.111 della Costituzione, in un settore dell’Ordinamento che soffre sovente della stringatezza delle motivazioni di rigetto espresse dai giudici di merito.
Ciò posto, merita comunque un rapido cenno la questione sottesa alla pronuncia di legittimità, ovvero la deducibilità delle perdite su crediti, con particolare riferimento a quelli volontariamente rinunciati, e di modesto importo.
Ai sensi dell’art.101 comma quinto del D.p.r. n.917/86, le perdite su crediti sono deducibili se risultano da elementi certi e precisi, e in ogni caso se il debitore è assoggettato a procedure concorsuali.
La rinuncia ai crediti di modesto importo ritenuti inesigibili è stata in linea di massima riconosciuta come deducibile a condizione che la remissione del credito (ex art.1236 cc) realizzi una scelta di convenienza economica per l’imprenditore. La remissione deve divenire efficace anche per silenzio assenso entro la chiusura dell’esercizio in questione, e deve essere previamente deliberata dall’organo amministrativo.
Già con R.m. n. 9/517 del 06.09.1980 è stato affermato: “Il principio generale di deducibilità fiscale è quello che pone come condizione il requisito di inerenza dei costi e degli oneri, inteso non soltanto nella obiettiva riferibilità dell’onere all’esercizio di impresa, ma anche nella ricorrenza del concetto di inevitabilità dello stesso
potrebbe dubitarsi che una rinuncia volontaria ad un credito possa considerarsi come un onere inerente
l’inerenza della perdita deve essere riconosciuta ogni volta che il costo si ponga come scelta di convenienza economica per l’imprenditore, ovvero quando il fine sia quello di pervenire al miglior risultato economico”.
In altri termini, se i costi di recupero superano i benefici, pare evidente che esistano elementi sufficienti per dare dimostrazione del motivo per il quale si è provveduto allo stralcio del credito.
Al riguardo, è utile rammentare che la stessa norma, come più volte notato in dottrina, non richiede la certezza della perdita, bensì, in modo concettualmente piuttosto diverso, che le perdite risultino da elementi certi e precisi.
La materia è stata sensibilmente innovata dall’art. 33 comma 5 del D.l. n. 83/2012 (cosiddetto “decreto crescita“), che ha modificato l’art. 101 del Tuir, prevedendo la deducibilità automatica delle perdite relative ai crediti di importo relativamente modesto.
Il nuovo art. 101 stabilisce quindi che gli elementi certi e precisi risultano integrati in ogni caso quando il credito sia di modesta entità, e sia decorso il termine di sei mesi dalla scadenza del pagamento (doppio requisito, di tipo quantitativo e temporale).
La modesta entità è tradotta nelle soglie di credito non superiore ad 5.000,00 per valore nominale, con riferimento alle imprese aventi un volume d’affari o ricavi non inferiori a 100 ml. di euro; e non superiore ad 2.500,00 per tutte le altre imprese.
Sul decorso del termine temporale di sei mesi è stato chiarito che esso determina una presunzione di favore per il contribuente, dando luogo alla possibilità di conseguire la deduzione automatica, senza però precludere la facoltà di dedurre anteriormente, o posteriormente, quando elementi di fatto lo consentano o lo suggeriscano.
A mente della novella normativa, da ultimo, “gli elementi certi e precisi sussistono inoltre quando il diritto alla riscossione del credito è prescritto“.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 5117/2011 proposto da:
SOC. COOP. ALFA
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE
– controricorrente
–
avverso la sentenza n. 267/02/2009 della Commissione Tributaria Regionale di PALERMO – Sezione Staccata di MESSINA del 25.6.09, depositata il 29/12/2009;
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
rilevato che, ai sensi dell’art. 380 bis cpc, è stata depositata in cancelleria la relazione di seguito integralmente trascritta:
La società Coop. ALFA ricorre contro l’Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza con cui la Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, respingendo l’appello contro la sentenza di primo grado, ha confermato – per quanto qui interessa – la ripresa a tassazione dell’importo di Euro 2.055.127,56 dedotto dalla contribuente come perdite su crediti, in quanto oggetto di crediti che erano stati rinunciati dalla contribuente stessa per il mantenimento dei buoni rapporti commerciali con i clienti debitori.
Con l’unico motivo di ricorso si censura il vizio di omessa o insufficiente motivazione della sentenza gravata (art. 360 cpc, n.5) in ordine al fatto decisivo della esistenza di reclami intercorsi tra la contribuente ed i propri clienti, costituenti la ragione della rinuncia della contribuente a taluni crediti vantati verso tali clienti.
Il motivo appare fondato.
Nella motivazione sul punto della sentenza gravata si legge – dopo la trascrizione delle considerazioni svolte dall’Ufficio nell’atto di costituzione in appello – che la commissione, a tal proposito, osserva che non risulta prodotto alcuna prova dell’esistenza di tali perdite su crediti e che pertanto anche codesto motivo di appello è privo di fondamento. Tale affermazione è del tutto apodittica e non poggia su alcuna disamina della documentazione concernente i reclami tra la contribuente ed i suoi clienti debitori, prodotta nel giudizio di merito e debitamente riportata, in osservanza dell’onere di autosufficienza, nelle pagine 25-28 del ricorso per cassazione.
E’ peraltro opportuno aggiungere che le osservazioni svolte nel contro ricorso dell’Agenzia sulla non idoneità della suddetta documentazione a fornire la prova di elementi certi e precisi da cui risultino le perdite non sono conferenti nella presente sede di legittimità, giacchè l’apprezzamento della rilevanza di tale documentazione compete al giudice di merito, il cui errore (censurabile, e in concreto censurato, ai sensi dell’art.360 cpc, n.5) consiste non nell’aver giudicato detta documentazione inidonea a dimostrare le perdite su crediti, ma nel non aver esplicitato tale giudizio, spiegandone le relative ragioni di fatto (relative alla individuazione delle circostanze emergenti dai documenti) o di diritto (relative alla rilevanza giuridica delle suddette circostanze).
In conclusione, si ritiene che il procedimento possa essere definito in camera di consiglio con l’accoglimento del ricorso e la cassazione con rinvio della sentenza gravata.
che l’Agenzia delle entrate è costituita con controricorso;
che la relazione è stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata alle parti;
che non sono state depositate memorie difensive.
Considerato che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide la proposta del relatore;
che pertanto, riaffermati i principi sopra richiamati, il ricorso va accolto e la sentenza gravata va cassata, con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale, in altra composizione, perchè motivi sulla portata della documentazione prodotta dal contribuente.
PQM
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza gravata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, in altra composizione, che regolerà anche le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 27 febbraio 2013.
Depositato in Cancelleria il 2 maggio 2013
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Numero Protocolo Interno : 316/2013