ISSN 2385-1376
Testo massima
Filtro in appello e inammissibilità della domanda ove l’appellante non indichi specificatamente le parti della sentenza delle quali chiede la riforma oltre che le modifiche richieste.
E’ quanto emerge dalla sentenza del 28/05/2013 n. 66968 del Tribunale di Verona, in persona del dott. Massimo Vaccari, nella causa civile di secondo grado promossa da un soggetto avverso la sentenza del giudice di pace che aveva rigettato la sua domanda di risarcimento del danno patrimoniale patito a seguito di incidente stradale, facendo corretta applicazione della modifica all’art.342 cpc introdotta dal D.l. 83/2012, convertito dalla legge 134/12 (cd. filtro in Appello).
Ebbene, nel caso di specie, il Tribunale di Verona ha ritenuto inammissibile il gravame giacchè privo del requisito della specificità dei motivi di appello previsto dall’art.342 cpc. Ed infatti, l’appellante si era limitato a censurare la sentenza di primo grado, sollevando doglianze generiche non già su una o più parti della motivazione della sentenza impugnata ma sul complesso della stessa, senza specificare in quali punti la decisione si presentasse illogica, in quali contraddittoria, in quali insufficiente.
In motivazione, il giudice di merito ha precisato che il legislatore, riformando l’art.342 cpc, ha imposto all’appellante l’obbligo di indicare le parti del provvedimento che si vogliono riformare, nonché le modifiche richieste, così da consentire al giudice dell’appello un’opera alquanto simile ad un preciso intervento di ritaglio, con conseguente innesto delle parti modificate, con operazione quasi chirurgica del testo della sentenza di primo grado.
La ratio del legislatore è quella di garantire al giudice di appello l’immediata percezione, già ad una prima lettura dell’atto di impugnazione, delle conseguenze che l’accoglimento delle doglianze dell’appellante può avere sulla tenuta della decisione impugnata.
In conclusione, dunque, il giudice di Verona ha ritenuto inammissibile l’appello ai sensi dell’art.342 comma 1 cpc e confermato la sentenza impugnata.
Testo del provvedimento
All’esito della discussione, il Giudice, dandone integrale lettura in udienza, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Repubblica Italiana
In nome del popolo italiano
Il Giudice Unico del Tribunale di Verona, sezione III Civile, dott. Massimo Vaccari
definitivamente pronunziando nella causa civile di secondo grado promossa con atto di citazione in appello notificato in data 15 settembre 2012
da
V. M.
ATTORE APPELLANTE
contro
F.- S. Assicurazioni
CONVENUTA APPELLATA
RILEVATO CHE
V. M. ha convenuto in giudizio davanti a questo Tribunale la F. S. Assicurazioni S.p.A. (d’ora innanzi per brevità solo F. S.) proponendo appello avverso la sentenza del Giudice di Pace di Verona n.538/2012, pubblicata l’8 febbraio 2012, che aveva rigettato la sua domanda di condanna della F. S., società assicuratrice dell’autovettura P. concessagli in dotazione dalla sua datrice di lavoro, al risarcimento deò danno patrimoniale che aveva assunto di aver patito a seguito del sinistro stradale occorsogli in data 26 novembre 2008 alle ore 16.15, allorquando era stato tamponato dall’autovettura Fiat P. tg. -..
L’attore, per meglio dar conto delle ragioni della predetta domanda, aveva dedotto di:
– essere dipendente di A. T. Ass.ni S.p.A. dal 1 giugno 1990 e di essere stato inquadrato come funzionario di primo grado dal gennaio 2008 con la qualifica di vice ispettore generale;
– tale incarico contemplava varie attività, tra le quali la ricerca di nuovi collaboratori, l’assegnazione ad essi dei compiti e il controllo sul loro operato e la formazione della forza vendita, e richiedeva spostamenti continui sul territorio, frequenti riunioni, pranzi e cene di lavoro;
– il proprio compenso era costituito da una parte fissa e da una parte variabile ricorrente a titolo di provvigioni ed una parte variabile a titolo di rappel e premi, legate al conseguimento di obiettivi di produzione mensili e annuali;
– le lesioni che aveva riportato nel succitato sinistro avevano comportato la sua assenza dal lavoro in un periodo dell’anno molto intenso dal punto di vista lavorativo (novembre-dicembre 2008) e la perdita di una serie di compensi variabili che sarebbero maturati in quel periodo.
A sostegno dell’appello l’attore ha dedotto due motivi di impugnazione.
Con il primo di essi il M. ha lamentato la insufficienza, la contraddittorietà e l’illogicità della motivazione della sentenza di primo grado in relazione a punti decisivi della controversia. Secondo il M. il giudice di pace era caduto in contraddizione poiché, pur dando atto del suo ruolo di tutor sulla struttura di lavoro a lui sottoposta, non aveva ritenuto lo stesso credibile e, a sostegno ditale doglianza, ha illustrato nuovamente in questa sede le caratteristiche della propria attività e le modalità con le quali veniva determinata la componente variabile del proprio compenso correlata ad essa.
Con il secondo motivo di impugnazione l’attore ha sostenuto l’erroneità della sentenza impugnata poiché il giudice di prime cure, in violazione degli artt. 61 e 116 c.p.c., aveva disatteso le risultanze della ctu medico legale che aveva disposto sebbene la stessa avesse ravvisato un nesso causale tra le lesioni riscontrate sulla sua persona e la diminuizione di guadagno che egli aveva lamentato.
La F. S. si è costituita in giudizio e, in via preliminare, ha eccepito l’inammissibilità dell’appello sia ai sensi dell’art. 342 c.p.c. come novellato dal d.l. 22 giugno 2012 n.83, convertito dalla L. 7 agosto 2012 n.134, sia ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c.
Con riguardo al merito la convenuta ha sostenuto la infondatezza della domanda di controparte chiedendo il rigetto della stessa.
Ciò detto con riguardo alle prospettazioni delle parti occorre esaminare, in via preliminare, il rilievo di inammissibilità dell’appello che è stato mosso dalla appellata. Esso invero è fondato con riguardo al primo dei motivi di appello che sono stati dedotti dal M..
E’ indubbio, innanzitutto, che il presente giudizio ricada nell’ambito di applicazione della modifica dell’art. 342 c.p.c introdotta con il d.l. 22 giugno 2012 n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012 n.134, pubblicata l’11 agosto ed entrata in vigore il giorno successivo. L’art. 54 comma 2 del precitato decreto legge ha infatti previsto che la nuova disciplina si applichi ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del decreto e, nel caso di specie, l’atto di citazione in appello è stato inviato per la notifica a mezzo posta proprio il primo giorno di vigenza della predetta modifica.
Tale norma stabilisce che la motivazione dell’appello debba contenere, oltre alle indicazioni prescritte dall’art. 163 c.p.c., a pena di inammissibilità:
– l’indicazione delle parti del provvedimento che si intende appellare e delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado;
– l’indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata.
Con riguardo al secondo dei predetti requisiti può condividersi la critica di una parte della dottrina secondo cui esso risulta ambiguo ed oscuro, non essendo chiaro, quali possano essere le circostanze, evidentemente di fatto, “da cui deriva la violazione della legge“. E’ stato infatti, giustamente, fatto notare che la violazione della legge è tendenzialmente frutto di una errata interpretazione delle norme da parte del giudice, e quindi dell’attività cognitiva, rispetto alla quale le circostanze che la hanno originata (ignoranza, impreparazione, negligenza, errore percettivo del significato della norma) sono indifferenti, oltrechè ignote.
Il primo requisito è invece più facilmente individuabile poiché la norma obbliga l’appellante ad indicare, in primo luogo, le parti della sentenza delle quali chiede la riforma, nonché le modifiche richieste, così da consentire al giudice dell’appello una opera “alquanto simile a un preciso e mirato intervento di “ritaglio” delle parti di sentenza di cui si imponga l’emendamento, con conseguente innesto, che appare quasi automatico, giusta l’impostazione dell’atto di appello, delle parti modificate, con operazione di correzione quasi chirurgica del testo della sentenza di primo grado” (così Corte di Appello Salerno 1 febbraio2013).
In altri termini il legislatore con la disposizione in esame ha inteso agevolare, da un lato, l’immediata percezione da parte del giudice di appello, già ad una prima lettura dell’atto di impugnazione, delle conseguenze che l’accoglimento delle doglianze dell’appellante può avere sulla tenuta della decisione impugnata e, dall’altro, la stesura della sentenza di riforma, nel caso l’appello venisse ritenuto fondato in tutto o in parte, consentendo il ricorso ad una motivazione mediante richiamo alle deduzioni dello stesso appellante.
Può pertanto escludersi che il legislatore, con la modifica normativa in esame, abbia voluto meramente confermare il consolidato orientamento giurisprudenziale formatosi con riferimento al testo previgente dell’art. 342 c.p.c. a proposito del requisito della specificità dei motivi di appello (cfr. tra le più recenti, cfr. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 27727 del 16/12/2005; Cass., SS. UU, Sentenza n. 23299 del 09/11/2011), perché se questa fosse stata la sua intenzione non vi sarebbe stata alcuna ragione di procedere all’intervento di riforma con decretazione d’urgenza, per di più eliminando l’espresso riferimento proprio a detta specificità.
Il requisito della specificità dei motivi di cui all’art. 342, primo comma c.p.c., ante riforma anzi è stato ora sostituito da quello contemplato dalla nuova norma.
Tutto ciò chiarito sotto il profilo teorico, è evidente come nel caso di specie l’appello sia stato redatto secondo i criteri previgenti e occorre pertanto stabilire, in una prospettiva conservativa, se i due motivi addotti a sostegno di esso soddisfino i requisiti di cui al nuovo art. 342 c.p.c.
Orbene risulta macroscopica la mancanza del requisito di cui all’art. 342, primo comma, n. 1 c.p.c. in quello che è stato presentato come primo motivo di appello poiché con esso l’appellante ha censurato non già una o più parti della motivazione della sentenza impugnata ma il complesso di essa, sulla base del rilievo, invero onnicomprensivo, di insufficienza, contraddittorietà ed illogicità.
A ben vedere, con riguardo a quest’ultimo profilo, il motivo in esame difetta anche di specificità poiché i difetti che, a detta del M., viziano il ragionamento del giudice di primo grado sono stati prospettati come tra loro perfettamente alternativi mentre, alla luce del nuovo art. 342 c.p.c., era necessario precisare in
quali punti la decisione si presentasse illogica, in quali contraddittoria e in quali insufficiente.
D’altro canto il presupposto di ammissibilità richiesto dalla norma non può nemmeno ritenersi realizzato per il fatto che l’appellante si sia doluto del passaggio della decisione impugnata nel quale il giudice di primo grado ha ricondotto la diminuizione di guadagno lamentata dal M. alle condizioni di mercato di quel periodo in contrasto con quelle che, a giudizio dell’attore, erano state le evidenze documentali del giudizio di primo grado.
Infatti, a prescindere dalla considerazione che la pretesa erroneità di tale valutazione non si traduce in nessuno dei vizi prospettati dall’attore, la censura è inserita in una argomentazione asS. più articolata, cosicché non è dato comprendere l’incidenza che l’accoglimento di essa avrebbe avuto sulla decisone di primo grado.
E’ evidente poi come, in virtù della impostazione seguita per la redazione dell’atto di impugnazione, l’appellante non abbia nemmeno individuato le singole modifiche da apportare, in sede di riforma, alla ricostruzione in fatto contenuta nella decisione impugnata ma abbia riproposto, pressoché interamente le deduzioni che aveva svolto in primo grado a sostegno della propria domanda sulle caratteristiche della propria attività, sui criteri con i quali veniva determinata la componente variabile del proprio compenso e sulla incidenza che su di essa ha avuto l’assenza fisica dal lavoro per il periodo indicato (a ben vedere il testo dell’appello corrisponde quasi esattamente a quello delle note conclusionali del giudizio di primo grado).
Discostandosi dalle modalità di redazione imposte dall’art. 342, primo comma n.1, c.p.c. l’attore ha invitato il giudice del gravame ad una riconsiderazione della intera struttura della sentenza impugnata, in rapporto alla propria complessiva rappresentazione in punto di fatto, in palese contrasto non solo con il testo ma anche con la ratio della norma, come sopra individuata.
Ad avviso di questo Giudice la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 342 riformato può essere valutata rispetto a ciascuna delle doglianze che l’appellante muova alla decisione impugnata, a fortiori nel caso, come quello di specie, in cui esse siano state formulate sotto forma di motivi di appello, sul modello dell’atto di appello di cui all’art. 342 c.p.c previgente. E’ quindi possibile pervenire a conclusioni diverse rispetto ad esse, con una pronuncia di inammissibilità per alcune e di fondatezza o infondatezza nel merito per altre.
Nel caso di specie il secondo motivo di impugnazione che il M. ha fatto valere risulta redatto in conformità alle indicazioni della nuova versione dell’art. 342, primo comma, n.1 c.p.c. poiché l’appellante ha censurato quella parte della motivazione della decisione di primo grado che ha disatteso le risultanze della ctu medico legale, pur avendo dato atto che esse erano state favorevoli all’attore.
Questa doglianza è però infondata nel merito. L’appellante, infatti, non ha considerato che il ctu, dopo aver stimato che le lesioni riscontrate sulla persona del M. erano state idonee ad impedirgli di prestare attività lavorativa per una decina di giorni, ha proposto un criterio per determinare il pregiudizio patrimoniale che lo stesso poteva aver subito. La valutazione di quest’ultimo aspetto competeva però, in via esclusiva, al giudice che ha stabilito, in modo del tutto condivisile, che l’appellante non avesse fornito prova di aver subito una riduzione dei compensi variabili nel predetto periodo, precisando che tale prova avrebbe dovuto essere documentale. A bene vedere il M. aveva formulato capitoli di prova orale diretti a dimostrare solo quali erano le componenti variabili della propria retribuzione ma non anche che il loro ammontare si era ridotto successivamente al sinistro nel quale aveva riportato le predette lesioni.
Si tratta ora di stabilire quale sia il modello di decisione da adottare a seguito della rilevata inammissibilità della prima doglianza dell’attore, atteso che la norma tace sul punto.
In proposito sono state prospettate due soluzioni: la prima che il giudice dichiari l’inammissibilità dell’appello con sentenza, soggetta alle impugnazioni ordinarie; la seconda che il giudice, ritenendo che l’appello inammissibile non abbia “una ragionevole probabilità” di accoglimento, possa provvedere, ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c., con ordinanza succintamente motivata, non soggetta a gravame.
Si ritiene preferibile, unitamente alla migliore dottrina, la prima ditali soluzioni giacchè essa non priva la parte del diritto di far valere la violazione di legge in sede di legittimità, con riferimento ad una pronuncia che riguarda i requisiti di forma-contenuto della impugnazione in appello ed impedisce, in limine, qualsiasi prognosi sulla fondatezza o meno, nel merito, dell’appello. A conforto di tale interpretazione vale la pena evidenziare che non risulta nemmenoconcretamente esperibile il percorso disegnato dal legislatore per l’ipotesi di declaratoria di inammissibilità ex art. 348-bis c.p.c. perché nell’ipotesi di inammissibilità ex art. 342 nuovo testo è proprio il contenuto dell’atto di appello a costituire oggetto di esame, indipendentemente dalla fondatezza o meno di esso nel merito.
Ai fini ditale pronuncia poi ben può essere utilizzato il modello decisorio previsto dall’art. 281 sexies c.p.c. al quale, dopo la modifica dell’art. 351, comma 4, c.p.c. ad opera dell’art. 27, comma 1, lett. c), n. 2) della Legge 12 novembre 2011 n. 183, è possibile ricorrere, ad avviso di questo giudice, in tutti i casi in cui la causa sia di pronta decisione e non solo in quelli in cui sia stata fissata udienza ai sensi dell’art. 283 c.p.c.
Venendo alla regolamentazione delle spese di questo grado esse vanno poste a carico dell’appellante, in applicazione del criterio della soccombenza, e si liquidano come in dispositivo, facendo riferimento ai valori medi di liquidazione previsti dal d.m. 140/2012 per le fasi di studio, introduttiva e decisoria per le controversie di valore fino ad euro 25.000,00, aumentati del 50 %. Nessun compenso può riconoscersi per la fase istruttoria, in assenza della stessa.
PQM
Il Giudice unico del Tribunale di Verona, definitivamente pronunciando, ogni diversa ragione ed eccezione disattesa e respinta, dichiara inammissibile ai sensi dell’art. 342, comma 1, n. 1 c.p.c. l’appello, relativamente alla prima doglianza, e lo rigetta, con riguardo alla seconda, e per l’effetto conferma la sentenza impugnata e condanna l’appellante a rifondere all’appellata le spese di questo grado del giudizio che liquida nella somma di euro 2.275,00, oltre Cpa.
Verona 28 maggio 2013
Il Giudice Unico
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Numero Protocolo Interno : 314/2013