ISSN 2385-1376
Testo massima
La Corte di Cassazione, con sentenza n.7918 pronunziata in data 02/04/2013, ha sancito il principio secondo il quale la restituzione delle somme pagate in esecuzione della sentenza cassata NON COSTITUISCE UNA DOMANDA NUOVA, atteso che essa è finalizzata al ripristino della situazione patrimoniale precedente alla sentenza.
Nel caso di specie, i giudici di Piazza Cavour sono stati chiamati a pronunziarsi in merito ad una vicenda relativa ad una serie di decreti ingiuntivi, prima emessi e poi revocati .
In particolare, il Tribunale di Como, a seguito di opposizione presentata aveva dichiarato non dovute le somme, revocando pertanto i decreti ingiuntivi e condannando il PERCETTORE ASL alla restituzione delle somme indebitamente riscosse nel periodo 1983-1993 con gli accessori di legge.
Contro tale decisione aveva proposto appello il PERCETTORE, ma la Corte d’appello di Milano confermava la sentenza impugnata.
A seguito di ricorso per cassazione proposto dal percettore che, nel frattempo, in esecuzione della sentenza di appello, aveva provveduto alla restituzione delle somme riscosse nel periodo anteriore al 1993, i giudici di legittimità hanno cassato la sentenza della Corte d’appello, giudicandola non conforme al diritto.
In motivazione la Corte di Cassazione ha richiamato il principio di diritto secondo il quale “la domanda di restituzione delle somme pagate in esecuzione della sentenza di appello, successivamente cassata, non costituisce domanda nuova in quanto la ripetizione – che non è inquadrabile nell’istituto della condictio indebiti – è diretta alla restaurazione della situazione patrimoniale precedente alla sentenza che, nel caducare il titolo di pagamento rendendolo indebito sin dall’origine, determina il sorgere dell’obbligazione e della pretesa restitutoria che non poteva essere esercitata se non a seguito e per effetto della sentenza rescindente”. (cfr. (Cass.24 maggio 2004 n. 9917, Cass.13 luglio 2004 n. 12905).
In conclusione, con tale sentenza viene sancita l’ammissibilità della domanda volta ad ottenere la restituzione di somme pagate in esecuzione di una decisione cassata.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 24870/2007 proposto da:
AZIENDA OSPEDALIERA,
– RICORRENTE –
contro
B.A. (quale erede di BE.AL., rappresentata da B.E. quale tutore); + ALTRI OMESSI ;
– INTIMATI –
e sul ricorso 28422/2007 proposto da:
A.E., (in persona del suo tutore A.E. A.); + ALTRI
– CONTRORICORRENTI E RICORRENTI INCIDENTALI –
contro
AZIENDA OSPEDALIERA, quale gestione liquidatoria dell’ex USL N.x,
– CONTRORICORRENTE AL RICORSO INCIDENTALE avverso la sentenza n. 1452/2006 della corte d’appello di torino, depositata il 04/10/2006 r.g.n. 2044/2005;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.
Nel dicembre 1994 e nel gennaio 1995 l’USL NA n.x otteneva decreti ingiuntivi nei confronti di numerosi malati psichici ricoverati presso strutture afferenti all’ex Ospedale Psichiatrico di (OMISSIS), aventi ad oggetto il pagamento di spese di degenza relative al 1993.
Proposta opposizione dagli ingiunti e riuniti i giudizi, il Tribunale di Como, in funzione di giudice del lavoro, dinanzi al quale la causa era stata riassunta dopo che il Tribunale ordinario aveva dichiarato la propria incompetenza, con sentenza del 27 ottobre 1999 dichiarava non dovute le somme, revocando i decreti ingiuntivi, e, in accoglimento delle domande riconvenzionali, condannava l’Unità socio sanitaria alla restituzione, a favore dei ricoverati, delle somme indebitamente riscosse nel periodo 1983-1993. con gli accessori di legge.
Contro tale decisione proponeva appello principale l’Azienda Ospedaliera, quale gestione liquidatoria dell’Unità Sanitaria.
La Corte d’appello di Milano, con sentenza del 20 settembre 2000, rigettava tale appello, confermando la sentenza impugnata. In accoglimento dell’appello incidentale dei ricoverati apportava solo alcune correzioni materiali alla sentenza.
L’Azienda Ospedaliera che nel frattempo, in esecuzione delle sentenza dinanzi indicata, aveva provveduto alla restituzione delle somme riscosse nel periodo anteriore al 1993 proponeva ricorso per cassazione e questa Corte, dopo che le Sezioni Unite, pronunziando sulla questione relativa alla giurisdizione, avevano dichiarato che essa spettava all’autorità giudiziaria ordinaria, con sentenza n.21764/04 cassava con rinvio detta sentenza, giudicandola non conforme al diritto laddove aveva posto a carico dell’Azienda le spese relative alle prestazioni socio-assistenziali nelle ipotesi di malati psichici ormai stabilizzati.
Riteneva, in sintesi, questa Corte che, a norma della L.n.833 del 1978, artt.25 e 26, sono erogate dalle Unità Sanitarie Locali le prestazioni sanitarie e farmaceutiche durante il ricovero ospedaliere nella fase di manifestazione acuta della malattia, così come le prestazioni dirette al recupero dei soggetti affetti da malattia psichica per le quali si renda necessario il ricovero (c.d. malati non stabilizzati), ma ciò fino a quando il recupero è giudicato possibile; entro questi limiti facevano carico alle USL anche le eventuali e connesse spese per attività socio-assistenziali.
Nei confronti dei malati psichici stabilizzati, ormai insensibili ad interventi programmati di recupero terapeutico e che necessitano soprattutto di una attuata di assistenza e sorveglianza, continuano a gravare sulle USL, a norma della L. n.730 del 1983, art.30, solo le spese sanitarie necessarie al mantenimento delle condizioni di stabilità dell’assistito, per contro le spese dirette all’assistenza, protezione e sorveglianza del medesimo restano a carico degli enti locali o delle stesse USL e sono ripetibili.
Il giudizio veniva riassunto dinanzi alla Corte d’appello di Torino dai degenti, i quali deducevano che la loro malattia non poteva ritenersi stabilizzata.
Insistevano altresì nella domanda subordinata di risarcimento di danni nei confronti dell’Amministrazione sanitaria, per non avere questa predisposto idonee strutture ad accogliere i malati psichici, domanda già proposta in via riconvenzionale in sede di opposizione ai decreti ingiuntivi.
L’Azienda sanitaria resisteva alle domande, evidenziando come la lunga durata dei ricoveri confermava la stabilizzazione delle patologie, per cui corretta era la richiesta iniziale di rimborso delle spese di degenza, avanzata con i ricorsi per ingiunzione.
La Corte d’appello di Torino, con sentenza del 27 settembre 2006, dopo aver disposto una consulenza tecnica, dichiarava che per taluni ricoverati nel periodo 1983/1993 lo stato di malattia poteva essere considerato in fase acuta, con necessità di cure sanitarie specifiche funzionali ad un eventuale recupero.
Per tali soggetti dunque, in base al principio di diritto enunciato dalla Cassazione, anche le spese di assistenza collegate a quelle sanitarie dovevano intendersi a totale carico dell’Azienda sanitaria, con la conseguenza che i decreti ingiuntivi per la ripetizione delle quote di spesa a loro carico non potevano essere richiesti, onde era corretta la decisione del primo giudice che li aveva revocati.
Viceversa, per gli altri pazienti con necessità di sola assistenza – odierni controricorrenti e ricorrenti incidentali – con patologia in fase di stabilizzazione, la ripetizione delle spese da parte dell’Azienda era legittima, onde gli stessi dovevano essere condannati alla restituzione delle somme recate dai decreti ingiuntivi, relative al 1993, rispettivamente indicate in sentenza, con gli interessi legali.
Era tuttavia inammissibile la domanda di restituzione delle somme relative al periodo anteriore al 1993 (dal 1983 al 1992) che l’Azienda aveva corrisposto ai ricoverati in esecuzione delle sentenza della Corte di Appello di Milano, poi cassata, che aveva confermato quella di primo grado, posto che tali somme non erano state oggetto del giudizio, “vertendo lo stesso unicamente sui decreti ingiuntivi relativi al 1993”.
L’ASL nel disporre la restituzione di tali somme aveva “agito al di fuori della res controversa”.
Rigettava infine la Corte territoriale la domanda di risarcimento dei danni proposta dai ricoverati, per mancanza di prova.
Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione l’Azienda Ospedaliera sulla base di tre motivi.
A.E. e gli altri controricorrenti indicati in epigrafe resistono al ricorso, proponendo ricorso incidentale per un solo motivo.
L’Azienda ha depositato controricorso al ricorso incidentale e successiva memoria ex art.378 cpc.
Motivi della decisione
1. Deve preliminarmente disporsi la riunione dei ricorsi, principale ed incidentale, in quanto proposti avverso la stessa sentenza (art.335 cpc).
2. Con il PRIMO MOTIVO del ricorso principale l’Azienda denunzia nullità della sentenza per violazione dell’art.112 cpc.
Deduce che la Corte territoriale “nel dispositivo della sentenza” si è pronunciata solo sulla domanda relativa agli importi richiesti con i decreti ingiuntivi opposti, concernenti l’anno 1993, e non anche sulla domanda restitutoria relativa alle somme che, in esecuzione della sentenza della Corte di Appello di Milano, poi cassata, l’Azienda ha corrisposto ai degenti che non ne avevano diritto per essere la loro patologia “stabilizzata”.
3. Con il SECONDO MOTIVO l’Azienda denunzia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.
Rileva che la sentenza impugnata ha dichiarato inammissibile la domanda di restituzione delle somme pagate dall’Azienda in esecuzione della sentenza della Corte di Appello di Milano, dinanzi indicata, perché non costituenti “oggetto di giudizio, vertendo lo stesso unicamente sui crediti ingiuntivi relativi all’anno 1993″.
Così statuendo, la Corte territoriale ha reso una motivazione erronea, non considerando che tutti gli atti difensivi dell’Azienda nonché le conclusioni dalla stessa adottate nel corso dei vari giudizi, compreso quello di riassunzione, recavano la domanda di condanna alla restituzione delle somme pagate dall’Azienda ai degenti in esecuzione di detta sentenza, alle quali i medesimi non avevano diritto per essersi la loro malattia stabilizzata.
Ad avviso della ricorrente, la motivazione adottata dalla Corte di merito è inoltre contraddittoria, posto che, da un lato, la sentenza impugnata ha riportato per esteso le conclusioni dell’Azienda, dalle quali risultava che la medesima aveva chiesto la restituzione di dette somme; dall’altro ha affermato che tale questione non aveva fatto mai ingresso nel giudizio, essendo questo circoscritto unicamente ai decreti ingiuntivi relativi all’anno 1993.
Infine, rileva la ricorrente, la Corte territoriale è incorsa in contraddizione, laddove prima ha dato incarico al c.t.u. di accertare la natura della patologia dei degenti con riguardo al periodo 1983 – 1993 e, successivamente, ha ritenuto che le somme da restituire fossero solo quelle relative al 1993, oggetto dei decreti ingiuntivi.
4. Con il TERZO MOTIVO l’Azienda denunzia violazione dell’art.389 cpc, deducendo che la sentenza impugnata, nel dichiarare inammissibile la domanda di restituzione delle somme relative al periodo anteriore al 1993, ha violato la norma dinanzi indicata, la quale dispone che le domande di restituzione o di riduzione in pristino e ogni altra conseguente alla sentenza di cassazione si propongono al giudice di rinvio.
Peraltro, l’affermazione del giudice di rinvio riguardo alla novità della domanda restitutoria degli importi relativi agli anni anteriori al 1993 è del tutto in contrasto con l’accoglimento della domanda relativa agli importi recati dai decreti ingiuntivi, essendo stata anch’essa introdotta per la prima volta solo nel giudizio di rinvio.
5. Con l’unico motivo del ricorso incidentale, cui fa seguito il relativo quesito di diritto ex art.366 bis cpc, allora in vigore, i controricorrenti, deducendo violazione degli artt.116 e 244 cpc, nonché omessa ed insufficiente motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, lamentano che la Corte territoriale nel rigettare le opposizioni da loro proposte avverso i decreti ingiuntivi, ha altresì respinto la domanda subordinata di “risarcimento dei danni subiti a causa dell’inadempimento, da parte dell’Amministrazione, agli obblighi di erogazione di prestazioni socio-sanitarie conformi a livelli qualitativamente accettabili”.
Deducono che l’affermazione circa la presunta assenza di prova è erronea in quanto la Corte territoriale ha del tutto omesso di considerare le prove documentali, le quali dimostravano al di là di ogni ragionevole dubbio la fondatezza della domanda.
Tali prove erano costituite da una relazione della Commissione di indagine amministrativa in ordine alle condizioni organizzative dell’ex ospedale psichiatrico della Usl n. x, da una relazione dell’Istituto di ricerche farmacologiche “M.N.” – Regione Lombardia, da un progetto-obiettivo per la tutela della salute mentale, documenti dai quali risultava che l’Amministrazione aveva lasciato i degenti in condizioni abitative inaccettabili, limitandosi alla loro custodia.
Era altresì ingiustificata la mancata ammissione della prova testimoniale volta a dimostrare la situazione dei reparti in cui vivevano gli ammalati, le gravi carenze delle strutture, il tipo di assistenza loro apprestata.
6. Il primo e il terzo motivo del ricorso principale sono inammissibili.
Essi, infatti denunziano violazioni di legge, ma non recano il quesito di diritto previsto dall’art.366 bis, applicabile ratione temporis, il quale dispone che nei casi previsti dall’art.360, comma 1, nn.1),2),3),4), l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto.
7. Il secondo motivo è fondato.
Proponendo opposizione avverso i decreti ingiuntivi con i quali l’Azienda aveva chiesto ai degenti il pagamento di somme a titolo di rette giornaliere per la loro ospitalità in strutture psichiatriche nell’anno 1993, gli opponenti, nel chiedere la revoca dei decreti ingiuntivi, hanno proposto domanda riconvenzionale al fine di ottenere la condanna dell’Amministrazione alla restituzione delle somme trattenute allo stesso titolo negli anni anteriori al 1993 sulle pensioni, indennità di accompagnamento e assegni vitalizi di cui i degenti erano titolari.
Le opposizioni e le domande riconvenzionali sono state accolte dal giudice di primo grado, il quale, con sentenza successivamente confermata dalla Corte di Appello di Milano (sent. n.214/2000), revocava i decreti ingiuntivi e condannava l’allora Unità sanitaria alla restituzione delle somme indebitamente trattenute da quest’ultima.
Tale ultima sentenza veniva impugnata dall’Azienda Ospedaliera, quale gestione liquidatoria della soppressa Unità sanitaria, e la Cassazione, nell’accogliere il secondo motivo del ricorso, rinviava alla Corte di Appello di Torino, dinanzi alla quale il giudizio veniva riassunto dai degenti.
In tale giudizio l’Azienda, avendo nel frattempo provveduto in esecuzione delle sentenza della Corte di Appello di Milano al pagamento delle somme disposto con tale sentenza, chiedeva il rigetto del gravame e, in via riconvenzionale, la condanna dei degenti alla restituzione di dette somme.
Tali essendo i fatti, appare evidente come la sentenza impugnata è errata laddove ha dichiarato inammissibile la domanda di restituzione delle ulteriori somme chieste dall’Azienda ospedaliera, sul duplice rilievo che esse erano state chieste “solo nel giudizio di rinvio” e che “la trattenuta per il periodo 1983/1993 non è mai stata oggetto di giudizio, vertendo lo stesso unicamente sui decreti ingiuntivi relativi all’anno 1993”.
L’ambito del giudizio di opposizione ai decreti ingiuntivi, originariamente circoscritto ai soli importi relativi al 1993, è stato infatti ampliato dai degenti, i quali, nell’opporre i decreti ingiuntivi, hanno chiesto, in via riconvenzionale, la condanna dell’Azienda al pagamento delle somme da questa trattenute negli anni anteriori al 1993.
L’Azienda ha dapprima dato esecuzione alla sentenza che aveva accolto la domanda dei degenti; successivamente, a seguito della cassazione di tale sentenza, ha chiesto in via riconvenzionale, nel giudizio di rinvio, la condanna dei medesimi alla restituzione di dette somme.
Tale domanda era dunque ammissibile, in quanto volta ad ottenere la restituzione di somme pagate in esecuzione di una decisione cassata.
Va al riguardo richiamato il principio di diritto affermato da questa Corte secondo cui la domanda di restituzione delle somme pagate in esecuzione della sentenza di appello, successivamente cassata, non costituisce domanda nuova in quanto la ripetizione – che non è inquadrabile nell’istituto della condictio indebiti – è diretta alla restaurazione della situazione patrimoniale precedente alla sentenza che, nel caducare il titolo di pagamento rendendolo indebito sin dall’origine, determina il sorgere dell’obbligazione e della pretesa restitutoria che non poteva essere esercitata se non a seguito e per effetto della sentenza rescindente (Cass. 24 maggio 2004 n. 9917, Cass. 13 luglio 2004 n. 12905).
8. Il ricorso incidentale non è fondato.
La Corte territoriale, nel premettere che la domanda dei degenti era volta “al risarcimento dei danni conseguenti all’inadempimento della pubblica amministrazione nel non aver predisposto strutture idonee ad accogliere detti malati nel momento dell’entrata in vigore della L. n. 180 del 1978 (legge Basaglia), ha rigettato tale domanda, essendo rimasti del tutto non provati i danni lamentati”.
Tale statuizione va condivisa, non avendo i ricorrenti incidentali allegato, né tanto meno, provato quali fossero i danni subiti nonché la natura e la tipologia degli stessi, limitandosi ad una generica richiesta risarcitoria ed a censurare la sentenza sotto un profilo diverso, attinente alla mancata predisposizione di strutture idonee ad accogliere i degenti, alla loro mancata adeguata assistenza, alla mancata adozione di metodologie assistenziali diverse dalle precedenti, elementi questi che, anche a voler ammettere la loro sussistenza, non provano i danni lamentati né, ancor prima, il nesso eziologico tra le denunciate mancanze e i danni asseritamente subiti.
9. In conclusione va accolto il secondo motivo del ricorso principale, mentre vanno dichiarati inammissibili il primo e il terzo. Il ricorso incidentale va rigettato. La sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata, anche per le spese, alla Corte d’appello di Torino in diversa composizione.
La Corte riunisce i ricorsi, accoglie il secondo motivo del ricorso principale e dichiara inammissibili gli altri. Rigetta il ricorso incidentale.
Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Torino in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 9 gennaio 2013.
Depositato in Cancelleria il 2 aprile 2013
© Riproduzione riservata
NOTE OBBLIGATORIE per la citazione o riproduzione degli articoli e dei documenti pubblicati in Ex Parte Creditoris.
È consentito il solo link dal proprio sito alla pagina della rivista che contiene l'articolo di interesse.
È vietato che l'intero articolo, se non in sua parte (non superiore al decimo), sia copiato in altro sito; anche in caso di pubblicazione di un estratto parziale è sempre obbligatoria l'indicazione della fonte e l'inserimento di un link diretto alla pagina della rivista che contiene l'articolo.
Per la citazione in Libri, Riviste, Tesi di laurea, e ogni diversa pubblicazione, online o cartacea, di articoli (o estratti di articoli) pubblicati in questa rivista è obbligatoria l'indicazione della fonte, nel modo che segue:
Autore, Titolo, in Ex Parte Creditoris - www.expartecreditoris.it - ISSN: 2385-1376, anno
Numero Protocolo Interno : 197/2013